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— Jill? — fece.

Il suo sguardo era un po’ sfocato. — Hai fatto visita al Senhor?

— Sì. E tu?

Lei parve compiere uno sforzo per vedere dritto; e poi, d’un tratto, gli occhi si rinserrarono sui suoi, la sua espressione era gelida, di sfida. — Sono stata a intervistare il Nucleo Interno — disse. — Un po’ d’antropologia pratica. — Scoppiò in una risatina.

— Jill — disse lui. — Oh, Jill, Cristo.

2

In piedi fra quelle due nuove, strane persone, la bella donna dai capelli scuri che non era vera, e l’uomo aggrondato con la gamba ferita, Tom si sentì sicuro che stava arrivando una visione. Proprio là, davanti a tutti, su quella solitaria strada di campagna, mentre il sole stava calando.

Ma per qualche motivo, la visione non arrivò. C’era il rombo nel suo cervello, c’era un tremolio luminoso, ma questo era tutto. La visione rimase in attesa. Stava accadendo qualcos’altro, forse una specie di presagio si stava dispiegando dentro di lui. Guardò Charley. Guardò la donna dai capelli scuri e l’uomo dalla faccia aggrondata che si era fatto male alla gamba. Charley stava facendo domande sul posto che l’uomo dalla faccia aggrondata aveva chiamato un Centro. Cos’è, chi lo dirige, cosa fanno. Tom ascoltò con interesse. Si trovò a pensare che gli sarebbe piaciuto andare in quel Centro, andarci quella sera stessa, sedersi a riposare un po’ nei suoi giardini. Era stato per strada troppo a lungo, a vagare di qua e di là, ed era stanco.

— Vuoi dire che quel posto è una specie di manicomio? — chiese Charley.

— Non proprio — spiegò l’uomo dalla faccia aggrondata. — Hanno un sacco di gente che soffre di turbe, là dentro. Non credo tanto quanto il tuo amico, per lo meno la maggior parte di loro. Ma turbati lo stesso, sai. Scombussolati nell’intimo. E là li curano. Hanno sistemi per calmarli e guarirli.

Tom disse: — Anche Tom avrebbe bisogno di un po’ di cure. Povero Tom.

Nessuno parve accorgersi che aveva parlato. Gettò un’occhiata verso il cielo, ancora dominato dall’azzurro del pomeriggio, ma che si andava oscurando ai bordi. Adesso il sole era nascosto dalle cime delle enormi sequoie. La foresta cominciava subito, un po’ più in là della strada, e si perdeva fin dove arrivava lo sguardo. Sopra di lui vide comparire le prime stelle, puntini di luce colorati, rossi e verdi e arancione e turchese.

Minuscole scintille galleggianti. Ma ognuna nel cuore d’un impero che comprendeva migliaia di mondi, e ciascuno di quegli imperi era legato in una confederazione che conglobava intere galassie. E su quei mondi miliardi di miliardi di città meravigliose. Confrontata alla più piccola di quelle città, Babilonia era un villaggio, l’Egitto niente più d’una pozzanghera. E la luce di tutte quelle stelle era messa a fuoco su quel piccolo mondo senza importanza, quella triste Terra.

Charley domandò: — Ma voi, chi siete?

— Io sono Ed, e questa è Allie.

— Ed… Allie… D’accordo. A farvi una passeggiata fra i boschi?

— Uh. Uh. Una passeggiatina, sì. Ho messo un piede nell’imboccatura di una tana e mi sono storto la caviglia.

— Già. Dovevi stare più attento. — Charley li stava soppesando. — E qual è il nome di questo posto, di questo Centro?

— Il Centro Nepenthe — disse l’uomo chiamato Ed. — È gestito da una fondazione. Prendono gente da tutta la California. È quasi come un albergo di campagna, passeggiate, svaghi e tutto il resto, soltanto che, in più di tutto questo, ti curano. Mi piace il posto. Si trova subito oltre il lato opposto di questa foresta, fra i boschi e la costa. Sul davanti c’è un grande cancello, e ci sono le insegne. È impossibile che vi sbagliate. Se prima non vi dispiace accompagnare Allie e me fino a Ukiah, poi da lì c’è una strada che porta direttamente a Mendocino, e da Mendocino c’è uno svincolo che porta direttamente fino al Centro.

— Come mai ne sai così tanto? — domandò Charley.

— Laggiù c’è mia moglie in cura — disse Ed.

— Allie? E cosa c’è che non va con lei?

— No, non Allie. — Ed si mostrò a disagio. — Allie è un’amica. Mia moglie… — Scrollò le spalle. — Insomma, è una lunga storia.

— Già. Ci scommetto.

Tom si rese conto che Charley avrebbe ucciso quelle due persone quando avesse smesso di parlare con loro. Doveva farlo. Adesso potevano identificarlo. Se la polizia del luogo fosse arrivata e avesse chiesto: — Stiamo cercando dei grattatori che hanno ucciso un vigilante a San Francisco… avete visto qualcuno d’insolito passare da queste parti in macchina? — quei due avrebbero potuto rispondere: — Be’, abbiamo visto otto uomini su un furgone passare di qua e il loro aspetto è così e così. — Charley non poteva rischiare. Charley aveva detto che non gli piaceva uccidere. E molto probabilmente l’intendeva davvero così. Ma neppure si tirava indietro, se sentiva che doveva farlo.

La donna disse: — Ditemi una cosa. Voi, li fate mai dei sogni spaziali?

L’uomo si girò di scatto verso di lei, diventando rosso in faccia, ed esclamò: — Allie, per l’amor di Cristo…

Sì. Li avrebbe uccisi di sicuro. Tom lo sapeva. L’idea che doveva farlo cominciava ad apparire sulla faccia di Charley: che quell’uomo era pericoloso per lui, che quell’uomo poteva in qualche modo avvertire la polizia. Charley aveva fermato il furgone soltanto perché aveva creduto che la donna fosse sola per strada. I grattatori la volevano usare. Ma poi, quando quell’uomo era sbucato dal bosco, zoppicando, tutto era cambiato. Quell’uomo doveva morire perché era troppo pericoloso per Charley. E ciò significava che anche la donna dai capelli scuri doveva morire. Una volta che si uccideva qualcuno, bisognava continuare ad uccidere. Era questo che Charley aveva detto non molto tempo addietro.

La donna stava dicendo, intestardendosi più che mai: — No, voglio saperlo. È importante. Queste sono le prime persone che abbiamo visto da… da… Mi chiedo se fanno oppure no i sogni anche loro.

— Sogni spaziali? — disse Tom, come se avesse sentito per la prima volta ciò che la donna stava dicendo.

La donna annuì: — Come delle visioni, sì… visioni di altri mondi. Soli diversi nel cielo. Strani esseri che si muovono intorno. Io ho fatto sogni del genere, ma non sono la sola. Li ha fatti un mucchio di gente che conosco. Non Ed, però. Ma un mucchio di altra gente.

— Araldi — disse Tom. — Il Tempo della Traversata è vicino. — Vide Stidge che si girava verso Tamale, si batteva la fronte e descriveva un cerchio nell’aria con le dita. Insomma… quello era Stidge. Tom disse ancora: — Io ricevo le visioni in continuazione. Tu, vedi mai il Mondo Verde? E quello dei Nove Soli?

— E ce n’è uno con un sole rosso e anche un altro azzurro — annuì lei, mostrando d’essere in preda a un’eccitazione crescente. — Adesso mi torna alla mente. Pensavo di averli persi… ma no, adesso riesco a trovarli nella mia mente. Perché mai? Era tutto scomparso. Ma ricordo un grande sole azzurro che sfrigolava nel cielo, e città sfolgoranti, che parevano bolle galleggianti…

— Già — intervenne Charley. — Quello lo conosco anch’io. Tom me l’ha descritto. È il pianeta di Loollymoolly, giusto, Tom?

— Luiiliimeli — lo corresse Tom. Adesso anche lui si sentiva eccitato. Forse Charley non li avrebbe uccisi, dopotutto, adesso che aveva scoperto che anche la donna faceva i sogni. Charley poteva interessarsi alla gente, e a volte questo faceva molta differenza. Tom disse alla donna: — Quali altri posti hai visto? Ce n’è uno dove il cielo è pieno di luce che s’irradia giù da ogni punto.