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Per un po’, quella mattina, mentre stava cercando di prepararsi all’incontro con Kresh e Paolucci, Elszabet aveva soppesato seriamente la possibilità di chiedere di sottoporsi lei stessa alla mondatura. Tanto l’aveva spaventata uscire dal sogno del Mondo Verde e scoprire che le vestigia di quella stranezza le erano ancora appiccicate addosso, un sogno che non voleva scomparire.

La mondatura non era una scelta disponibile, naturalmente, e lei lo sapeva. Nessuno del personale era mai stato mondato; era rigorosamente riservato ai pazienti. Non si poteva farsi una mondata così come ci si faceva un martini o si prendeva un tranquillante tutte le volte che si sentiva il bisogno di distendere i nervi. Preparare qualcuno per una mondata era un affare complicato che comportava settimane di test, per regolare le curve elettroneurali con la massima precisione cosicché non ne risultasse nessun danno. La mondatura doveva essere una cura terapeutica, non qualcosa di distruttivo. Quando si resecavano i banchi mnemonici di qualcuno, bisognava essere ben sicuri di resecare soltanto ciò che era patologico, e ciò richiedeva elaborate misurazioni e analisi pre-mondatura.

Cionondimeno, il momento del risveglio era stato talmente terrificante per lei, che avrebbe voluto dissipare quel sogno quanto più in fretta possibile, così, semplicemente, con qualunque mezzo disponibile. Obliterarlo. Dimenticarlo per sempre.

Era la bellezza del sogno che l’aveva terrorizzata.

Era fin troppo attraente, quel mondo avvolto in una verde nebbia, fresca e seducente. Irresistibili, quelle eleganti creature luccicanti dai molti occhi. Squisita l’intricata danza barocca della loro quotidiana esistenza. Quegli esseri magnificamente civilizzati, che si muovevano con grazia vivendo un’esistenza indenne da conflitti, brutture, rovine, disperazione: una civiltà milioni di anni più oltre rispetto ai meschini, sordidi, nauseanti, opprimenti difetti dell’umana esistenza, tutte quelle cose sgradevoli come l’invecchiamento, le malattie, la gelosia, la cupidigia e la guerra. Essendosi una volta tuffata in quel mondo, Elszabet non avrebbe più voluto lasciarlo. Svegliarsi, era stato come venir espulsi dall’Eden.

Naturalmente, lei sapeva che non esistevano posti come quello, salvo che nel mondo dei sogni. Era fantasia pura, un fantasma della notte. Tuttavia, voleva tornare in quel luogo. Le pareva ingiusto, un’imposizione brutale, doversi svegliare… crudele come una tempesta di neve in un pomeriggio d’estate.

La possente attrazione del Mondo Verde l’aveva svuotata della sua vitalità per tutta la mattina. Fare il suo solito giro, visitare Padre Christie e Philippa e April e Nick Doppio Arcobaleno e tutti gli altri… era riuscita appena appena a prestare attenzione ai loro problemi e bisogni e lamentele. La sua mente continuava a tornare a quell’altro luogo, con i suoi duchi e le contesse, le sue feste, le sue sinfonie di forme e colori e d’interazioni psichiche. Si era già dimenticata i nomi di coloro in mezzo ai quali si era trovata durante il suo sogno, e gli stessi particolari stavano diventando confusi: sapeva che avevano più di due sessi, e c’era qualcosa su un nuovo palazzo d’estate, e un poeta e la sua poesia. Sapere che cominciava a dimenticare la riempiva di disperazione. Cercò di aggrapparsi ai ricordi che stavano svanendo. Ardeva dal desiderio di tornare in quel mondo benedetto.

Nessuno le aveva mai detto che i sogni spaziali erano così meravigliosi. Era forse dovuto al fatto che lei aveva sognato più intensamente di chiunque altro? Oppure perché loro se ne dimenticavano dopo un’ora o due dal loro risveglio. Oppure perché tenevano per sé la ricchezza e la complessità di quanto avevano visto, un tesoro intimo e dolce che conservavano rinchiuso nel proprio cuore come in uno scrigno?

Elszabet aveva temuto i sogni prima ancora di farne uno. Adesso li temeva ancora di più, adesso che sapeva quale rischio rappresentassero per il suo senno. Come poteva permettere che i sogni fossero la risposta? Si rendeva conto che un sogno splendido come quello poteva facilmente attirarla e farla cadere nella follia. Il ciglio era sempre vicino, pericolosamente vicino. I sogni erano irreali. I sogni, sì, erano la negazione della realtà. Quella Terra di sogno, aveva detto il poeta, così bella, così nuova: nella realtà non offriva né gioia, né amore, né luce, né sollievo dal dolore.

Verso la metà del mattino, comunque, cominciò a pensare di essersi scrollata di dosso quel mondo di sogno. Aveva la distrazione dei due visitatori, Paolucci da San Francisco e Leo Kresh da San Diego, a riportarla alla realtà.

Dave Paolucci era arrivato con un fascio di tabelle e di grafici che mostravano le ultimissime informazioni in suo possesso sull’estensione geografica dei sogni spaziali, e un pacchetto di cubi che contenevano registrati i resoconti verbali dei pazienti del suo Centro di San Francisco. Elszabet si sentiva rassicurata e a proprio agio in presenza di Paolucci. Era un tipo d’uomo tranquillo, robusto, il volto rotondo, la pelle olivastra scura e occhi profondamente infossati e amabili. Lei aveva seguito dei corsi di addestramento a San Francisco sulla tecnica della mondatura, prima di venire a Mendocino. In un certo senso Paolucci era stato il suo mentore. Quello stesso giorno, più tardi, aveva intenzione di raccontargli la propria esperienza con il sogno della notte precedente, e di chiedergli consiglio.

Kresh, l’uomo di San Diego, non era affatto il tipo con cui ci si potesse sentire a proprio agio. Minuto, pignolo, un po’ sul pedante, pareva avere un controllo completo delle proprie emozioni, e probabilmente non provava una grande simpatia per quelli che non l’avevano. Era stata una considerevole concessione da parte sua aver fatto un viaggio così lungo, sette od ottocento chilometri, per arrivare fin lassù. Forse aveva voluto semplicemente uscire dalla California Meridionale, brulicante di moltitudini di profughi della seconda generazione della Guerra della Polvere, per passare qualche giorno in mezzo all’aria fresca e pulita del paese delle sequoie. Quando Elszabet si era incontrata con lui poco prima che la riunione generale dello staff stesse per cominciare, aveva mostrato un interesse assai relativo per ciò che stava accadendo a Nepenthe. Invece aveva voluto parlare d’un fenomeno religioso che era accentrato nelle città abitate da profughi intorno a San Diego vera e propria. — Sa niente dei tumbondé? — le aveva chiesto Kresh.

— Non sono sicura di saperne qualcosa — aveva risposto lei.

— Non ne sono sorpreso. Si tratta d’una cosa puramente locale, limitata a San Diego. Ma non lo sarà ancora per molto.

— Tumbondé? — chiese Elszabet.

— È un culto ibrido, brasiliano-africano, con qualche influsso caraibico e messicano. Un ex conducente di tassì di San Diego che si fa chiamare Senhor Papamacer lo dirige, e ci sono migliaia di seguaci. Tengono cerimonie rituali, a quanto pare si tratta di cose piuttosto sfrenate, fra le colline a est di San Diego. Il nucleo essenziale di questa religione è apocalittico: la nostra attuale civiltà è vicina alla fine e noi stiamo per venir condotti alla prossima fase del nostro sviluppo da divinità che faranno irruzione nel nostro mondo, provenienti da remote galassie.

Elszabet riuscì ad abbozzare un sorriso. Sentì un viticcio del Mondo Verde sfiorarle la coscienza, e fu colta da un brivido. — Questi sono tempi molto strani…

— È vero. Ci sono due aspetti interessanti che ci riguardano, dottoressa Lewis. Uno è il fatto che sembra esserci una straordinaria correlazione fra gli dèi spaziali che il Senhor Papamacer e i suoi seguaci invocano e venerano, e gli insoliti sogni e visioni che sono stati riferiti di recente da un gran numero di persone, sia nei centri di mondatura che fra la popolazione in genere. Voglio dire che il linguaggio delle immagini sembra essere lo stesso: è evidente che i tumbondé ricevono anch’essi i sogni spaziali, e li hanno usati per creare le basi della loro… ah, teologia. In particolare Maguali-ga, che si dice sia colui che aprirà il cancello, rendendo possibile l’accesso alla terra delle divinità spaziali, sembra identico all’enorme essere extraterrestre che viene invariabilmente visto nel cosiddetto sogno dei Nove Soli. E la loro suprema figura redentrice, il dio supremo conosciuto come Chungirà-Lui-Verrà, sembra essere la creatura cornuta incontrata da coloro che hanno fatto il sogno definito Stella Doppia Uno, con il sole rosso e quello azzurro.