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Ma sicuro. Esci fuori da qui a passo di valzer e arruolati con il Senhor, chiunque sia. Bastava soltanto quello. La dottoressa Lewis ha già letto la lettera, Lacy, pupa. Se ci fosse una possibilità su un milione di andarmene di qui, pensi che adesso me ne starei qua dentro ad ascoltarti? Ma davvero?

— … e sono fiduciosa che la benedizione di Maguali-ga verrà concessa anche a te, che la luce splendente di Chungirà-Lui-Verrà entrerà nella tua anima… se soltanto tu ti unissi a noi, caro Ed, vieni da noi e insieme intraprenderemo il pellegrinaggio fino al Settimo Posto…

Ferguson corrugò la fronte e spense il cubo. Che merda demenziale. Partire per avere un’unione con gli dèi. E l’altra che se ne tornava dalla sua famiglia alle Hawaii, per lo meno qui c’era qualcosa di sensato. Ma questo, questa roba da matti…

Si era sbarazzato di tutte e due, così almeno pareva. E va bene. Va bene. C’era ancora Alleluia, che valeva loro due messe assieme. In qualche maniera c’era sempre una donna migliore dell’ultima, quando lui ne aveva bisogno. Ferguson scosse la testa cercando di schiarirsela. Si chiese cosa stesse facendo adesso Alleluia. Sarebbe uscito a vedere se poteva trovarla. Forse una passeggiatina nel bosco… il loro abituale folleggiare di mezzogiorno…

— Ed? — lo chiamò una voce da fuori. — Ed, sei là?

Ferguson aggrottò le sopracciglia. — Chi è?

— Sono io, Tom. Hai un po’ di tempo libero?

Un altro matto. Be’, perché no? — Ma sicuro — rispose. — Aspetta, ti faccio entrare.

Aprì la porta. Un groviglio di capelli arruffati, occhi strani, spiritati, che lo fissavano. C’era qualcosa di sorprendente, in quel tizio, non c’era dubbio. Decisamente non giocava con un mazzo intero. Ferguson rimase lì incerto, chiedendosi cosa mai Tom avesse in mente. Sempre che avesse in mente qualcosa.

— Oggi è il gran giorno per te — gli disse Tom.

— Sì? Davvero?

— Ricordi la settimana scorsa, la prima volta che abbiamo parlato? Quando ti dissi che ti avrei fatto vedere come fare i sogni spaziali?

— Hai detto questo?

— Nella sala mensa. Sì. Eravamo seduti con quel piccolo sacerdote, e tu mi hai dato un po’ di bourbon, e…

— Non mi ricordo una merda della settimana scorsa — ribatté Ferguson, in tono esausto. — Non lo sai? Ricordo che ci siamo incontrati da qualche parte, so che il tuo nome è Tom, tutto il resto è scomparso. Mondato. È quello che fanno in questo posto, piallano la tua mente. Lo sai, no?

Tom fece un piccolo, strano gesto come per liquidare ciò che Ferguson aveva detto, neanche fosse un pettegolezzo, poco più. — Bene, se tu non lo ricordi, io invece sì. Posso sentire la tua infelicità, amico. E intendo aiutarti a uscirne. Su, vieni, andiamo a fare una passeggiatina. In mezzo al bosco, dove c’è il silenzio, dove c’è la pace. Non hai ancora fatto un sogno spaziale, giusto?

— No — rispose Ferguson. — Da quello che riesco a ricordare, no, non l’ho mai fatto. Salvo… — Fece una pausa.

— Salvo cosa?

Ferguson corrugò la fronte. — Non ne sono sicuro, ma c’è stato qualcosa… Aspetta. Fammi controllare. — Andò alla toilette, perché Tom non potesse vedere quello che stava facendo, toccò il suo anello e chiese la sezione relativa agli avvenimenti insoliti, per la settimana dall’otto ottobre. La sua voce, bassa e tranquilla, sgorgò dal registratore, descrivendo ogni genere di cose, qualunque cosa gli fosse capitata negli ultimi giorni e che lui avesse giudicato degna di essere preservata dalla mondata. La maggior parte erano soltanto cianfrusaglie. Ma poi arrivò una registrazione che risaliva a due notti prima: — Qualcosa che assomiglia un po’ a un sogno spaziale, la notte scorsa, forse. Soltanto quello che potrebbe essere un guizzo esterno, comunque… la sensazione che il mondo fosse avvolto in una nebbia verde. Credo sia qualcosa di simile ai sogni che fanno loro, il sogno del Mondo Verde. È tutto quello che ho sognato, la nebbia. Non credo sia la cosa vera. Ma forse era un inizio.

Tom lo stava guardando in maniera strana, quando uscì.

— Hai parlato con te stesso, là dentro?

— Già — disse Ferguson. — Una piccola conferenza con me stesso. Ascolta, uno dei sogni spaziali ha a che fare con la nebbia verde, non è vero?

— È il Mondo Verde, un luogo meraviglioso.

— Non saprei. Ho visto soltanto la nebbia nel sonno, l’altra notte.

La nebbia verde.

— È tutto? Soltanto la nebbia?

— Soltanto la nebbia.

— Va bene — disse Tom. — I sogni stanno cercando d’irrompere, allora. È un inizio. Forse perché io sono qui, l’influenza è più forte. Ma hai visto. Puoi fare proprio come chiunque altro, Ed. E adesso vieni con me, fuori nel bosco.

— A far cosa?

— Te l’ho detto. Ti darò un sogno spaziale. Ma dovremmo andare dove nessuno ci può disturbare, perché tu devi concentrarti. D’accordo, Ed? Vieni. Vieni, adesso.

— Non funzionerà. Dimmi: come posso sognare quando sono completamente sveglio?

— Basterà che tu venga con me — disse Tom.

Ferguson scrollò le spalle. Non aveva niente da perdere, vero? Tanto valeva che ci provasse. Annuì, e uscirono insieme nel caldo mattino d’autunno, percorsero il lato della palestra e infilarono il sentiero che si perdeva nel bosco. Passarono accanto ad alcune persone, mentre camminavano: Dante Corelli, April Cranshaw, Mug Watson il giardiniere. Dante sorrise e li salutò con un cenno della mano, il giardiniere non prestò loro la minima attenzione, la grassa April rivolse loro una rapida occhiata spaventata e si voltò subito dall’altra parte come se avesse visto un paio di lupi mannari usciti a farsi una camminatina. Povera, matta grassona, pensò Ferguson. La sola cosa che l’avrebbe fatta star meglio era farsi fottere una o due volte. Ma chi avrebbe voluto farlo con lei? Non io, ci puoi scommettere. Gesù Santo, non io.

— Che ne dici se ci fermassimo qui? — disse, rivolto a Tom.

— Benissimo, questo posto va benissimo. Siediti su questa roccia, vicino a me. Così va bene. Adesso, la cosa che devi sapere — aggiunse Tom, — è che l’universo è pieno zeppo di essere benevoli. Va bene? Ci sono più soli di quanti chiunque possa contare, e tutti questi soli hanno pianeti, e su questi pianeti c’è della gente, non gente come noi, ma gente lo stesso. Sono tutti vivi e si trovano là fuori in questo stesso istante, intenti a vivere la loro vita. Va bene? E loro sanno che noi siamo qui. Ci stanno chiamando. Ci amano. Amano ognuno di noi e ci vogliono raccogliere nel loro seno. Mi segui, Ed? Devi crederci. Attraverso il veicolo dei sogni si sono messi in contatto con me, ed io sono l’emissario, io sono il battistrada che condurrà tutti alle stelle. — Adesso si era sporto ancora di più verso Ferguson. I suoi strani occhi scuri lo penetravano come due trapani. — Ti sembra tutto un mucchio di cose pazzesche, Ed. Devi provare a credere. Soltanto per il momento, deponi la tua rabbia, deponi tutto il tuo odio, tutta quella roba micidiale che si trova dentro di te come un grumo di ghiaccio. Di’ a te stesso che questo tizio, Tom, è pazzo, certo, ma fingi, soltanto per un minuto, che sappia di cosa sta parlando. Va bene. Va bene. Fingi. Nessuno saprà mai che Ed Ferguson ha creduto a qualcosa di bizzarro per una sessantina di secondi. Tom non lo dirà a nessuno. Credimi, Tom non lo dirà a nessuno. Tom ti ama. Tom vuole aiutarti, Ed, guidarti. Dammi le mani, adesso. Mettile nelle mie.

— Che cazzo? — esclamò Ferguson. — Ci teniamo anche per mano, adesso?

— Credi in me. Credi in loro. Vuoi continuare a sentirti come ti sei sentito durante tutta la tua vita? Soltanto per una volta, lascia andare ogni altra cosa. Lascia che tutto si spalanchi. Lascia che la grazia ti inondi. Dammi le mani. Cosa pensi? Che io sia una specie d’invertito? Uh. Uh. Sto soltanto cercando di aiutarti. Le mani, Ed.