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— L’effetto prossimità. Tom.

— Ha detto che incontrava difficoltà a pensare in maniera coerente. A volte le era difficile dire qual era il mondo reale e quale il mondo del sogno. Tu hai fatto un’osservazione analoga stanotte.

— Sì — annuì Elszabet. — Me ne ricordo. L’averlo sentito da April è stato… be’… inquietante. Ha cominciato a parlare in maniera confusa, biascicata, ha barcollato. Poi è svenuta. Tom ed io l’abbiamo afferrata appena in tempo e siamo riusciti a deporla sul pavimento. Il resto lo sai.

— D’accordo — disse Robinson. — Mi sembra del tutto conclusivo che la presenza di Tom qui da noi accentui il livello delle allucinazioni.

— Eppure i sogni sono stati fatti a distanze enormi gli uni dagli altri. La prossimità sembra intensificarli, ma non è essenziale.

— Suppongo che sia così.

— Abbiamo le mappe in cui è segnata la distribuzione. I sogni spaziali sono stati riferiti simultaneamente dappertutto. Se è lui l’origine, allora dev’essere un trasmettitore tremendamente potente.

— Trasmettitore di Sogni — scandì Robinson con voce sommessa, scuotendo la testa. — Non ti sembra completamente sballato, Elszabet?

— Lavoriamoci sopra — replicò Elszabet. — Come ipotesi. Tom ribolle d’immagini, fantasie, allucinazioni. Ne trabocca. Le trasmette dalle Montagne Rocciose al Pacifico, da San Diego a Vancouver, per quanto noi ne sappiamo. La suscettibilità varia praticamente da zero all’estremo. Forse c’è una correlazione con il livello di turbamento emotivo… le vittime della sindrome di Gelbard sembrano colpite assai più in fretta degli altri. Ma non è una correlazione completa, poiché individui come Naresh Patel e Dante Corelli non sono affatto disturbati, e fanno i sogni spaziali quasi da quanto hanno cominciato a farli alcuni dei pazienti, mentre qualcuno come Ed Ferguson, che è un paziente, si è mostrato completamente resistente a…

— Credi davvero che Ferguson abbia la sindrome di Gelbard, Elszabet?

— Direi che qualcosa ha.

— Ha un brutto caso di deficienza di scrupoli, è tutto. Più lo osservo, più mi sto convincendo che quel tizio è soltanto un artista della truffa che è riuscito a garantirsi un soggiorno in cura qui da noi con un raggiro, perché gli pareva meglio che venir buttato in prigione per la Riab Due. Adesso, se vuoi dirmi che qualcuno d’indifferente come Ed Ferguson alle questioni morali deve essere ipso facto emotivamente disturbato, potresti avere un caso, ma anche così penso che… — Robinson fece una pausa. — E questo mi ricorda… hai fatto controlli per vedere se Ferguson mostri qualche effetto di prossimità? Ha fatto colazione con Tom, la settimana scorsa, ed è stato visto che parlava con lui un paio di volte, da allora.

Elszabet disse: — Ho chiesto a Naresh di esaminare i rapporti delle mondature di Ferguson per controllare se ci fossero sintomi di sogni spaziali. È evidente che non ci sono stati sogni in sé, ma l’altra notte Ferguson ha mostrato tracce di qualcosa. I contorni appena abbozzati di un po’ dell’immagine del Mondo Verde. Ho cercato di chiamarlo per un colloquio questo pomeriggio, ma non c’era. Mi hanno detto che era uscito a fare una passeggiata nel bosco.

— Un altro tentativo di fuga, pensi?

— No. Anche se lo faccio controllare a tempo pieno. Ma è là fuori con Tom. Ed è là fuori da un bel po’.

Gli occhi di Dan Robinson si strinsero fino a diventare due fessure. — Una coppia molto strana quei due: il santo e il peccatore.

— Pensi che Tom sia un santo?

— Soltanto una frase buttata là.

— Perché sì, io lo credo. È un’idea che mi frulla in testa da un paio di giorni. È cosi strano. Così innocente… come un pazzo santo, come il prescelto da Dio, sai. Come il profeta del Vecchio Testamento. Santo non è neppure una cattiva etichetta per lui. Vaga nella desolazione e nel deserto… com’è la frase? «disprezzato e respinto dagli uomini…».

— «Un uomo di dolori che conosce la sofferenza».

— Ecco — annuì lei. — E per tutto il tempo porta dentro di sé questo formidabile dono, questo potere, questa benedizione. È come un ambasciatore di tutti i mondi dell’universo…

— Ehi — l’interruppe Robinson. — Fermati un momento. Un santo, hai detto? Un messia è quello che vuoi dire, in realtà. Ma adesso stai parlando come se la roba che lui emette, se è davvero lui ad emetterla, sia una visione autentica di altri mondi, veri alla lettera.

— Forse è proprio così, Dan. Non so.

— Parli seriamente?

Lei batté la mano sulla piccola capsula mnemonica sopra la scrivania. — Gli ho parlato. Mi ha dato tutte le informazioni sui luoghi dei sogni: i nomi dei mondi, delle razze che li abitano, degli imperi, le dinastie, frammenti storici, tutta l’immensa, intricata e aggrovigliata struttura della civiltà galattica, incredibilmente fitta di dettagli, ma internamente coerente entro i limiti di ciò che sono riuscita a seguire, i quali, devo confessarlo, non sono molto ampi. Ma tuttavia ciò che emerge è dannatamente convincente, Dan. Decisamente, non è uno che improvvisa. È vissuto con quella roba per moltissimo tempo.

— Così ha una copiosa vita immaginifica. Ha passato venticinque anni a sognarsi quei dettagli. Perché non dovrebbero essere intricati? Perché lui non dovrebbe essere convincente? Ma questo significa forse che quegli imperi e quelle dinastie esistono davvero?

— Tutto quello che lui dice coincide in ogni particolare con le cose che ho sperimentato io stessa mentre facevo quei sogni spaziali.

— No. Non è significativo, Elszabet. Se lui trasmette immagini e concetti e un mucchio di altra gente li riceve, questo ancora non vuol dire che Tom trasmetta qualcosa che non è di origine allucinatoria.

— Concesso — rispose Elszabet. — D’accordo. Qui abbiamo un fenomeno. Ma di che tipo? Se Tom è davvero la fonte, allora sembra che sia dotato d’una specie di potere extrasensorio che gli permette di trasmettere immagini ad altra gente per contatto mentale.

— Sembra un po’ tirato per i capelli, ma non inconcepibile.

— Posso tirarne fuori un caso concreto dall’angolazione dell’ESP. Questa mattina, Tom mi ha detto d’essere nato subito dopo lo scoppio della Guerra della Polvere e che sua madre si trovava nell’est del Nevada quand’era incinta. Proprio ai margini della zona radioattiva.

— Una mutazione telepatica… è questo che mi stai dicendo?

— È un’ipotesi ragionevole, no?

— Dovrebbe esser qui ad ascoltarti Bill Waldstein. Lui pensa che sia io quello incline a congegnare teorie stravaganti! — replicò Dan.

— Questa non mi pare poi tanto stravagante. Se esiste una spiegazione per le capacità di Tom, un leggero tocco di radiazioni al momento del concepimento non è certo l’idea più fantastica che si possa concepire.

— D’accordo. Un mutante telepatico, allora?

— Un fenomeno, comunque. Okay. Adesso, per quanto riguarda il contenuto del materiale che produce, forse è nella stretta di qualche potente fantasticheria inventata da lui stesso, che grazie alle sue capacità extrasensorie è in grado di disseminare tutt’intorno, verso qualsiasi mente suscettibile che si trovi alla sua portata. Oppure, d’altro canto, forse lui è l’unico ad essere sensibile ai messaggi irradiati nella nostra direzione per via telepatica da civiltà realmente esistenti intorno alle altre stelle.

— Tu vuoi credere questo con tutte le tue forze, non è vero, Elszabet?

— Credere cosa?

— Che tutto ciò che Tom trasmette è vero.

— Forse sì. La cosa ti preoccupa, Dan?

Lui la studiò per un lungo istante. — Un po’ — ammise, alla fine.