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— Lasciala andare — gli ordinò Jaspin. — Toglile le mani di dosso.

L’uomo annuì. La lasciò andare. Jaspin lo fece girare su se stesso e spinse in direzione opposta, mandandolo a barcollare in mezzo alla folla. Jill si precipitò su per i gradini ed entrò nell’autobus, seguita da Jaspin.

L’interno dell’autobus era un’isola di arcana tranquillità in tutto quel caotico maelstrom. Buio e silenzio, con un odore d’incenso inacidito, un tremolio di candele. I pesanti tendaggi parevano filtrare il tambureggiare della pioggia e le grida tonanti della folla. Cautamente Jaspin e Jill si portarono in fondo all’anticamera e scostarono la tenda di broccato che nascondeva la sezione mediana dell’autobus, la cappella del Senhor Papamacer.

— Guarda, eccolo là — bisbigliò Jill. — Oh, grazie a Dio! Sta bene, non è vero?

Il Senhor pareva in trance. Sedeva immobile nella sua familiare posizione del loto, il volto girato verso la parete, fissando rigido un’immagine di Chungirà-Lui-Verrà. Intorno al suo collo c’era l’enorme pettorale d’oro costellato di smeraldi e di rubini, che indossava soltanto nelle occasioni più solenni. Chiaramente era partito per qualche altro mondo. Jaspin fece per avvicinarsi a lui, ma poi sentì un suono, come un uggiolio di panico, provenire dalla sezione più lontana, l’alloggio del Senhor e della Senhora. Una donna che gridava in una lingua sconosciuta, un’inequivocabile implorazione di aiuto…

Jill si girò di scatto verso di lui. — C’è la Senhora là dentro, Barry…

— Già. — Jaspin tirò un profondo sospiro e sollevò la tenda.

Sul lato opposto, il regno più intimo del Senhor, ogni cosa era in disordine, le tende penzolavano semistrappate, le immagini di legno di Maguali-ga e Chungirà-Lui-Verrà erano state rovesciate, e gli armadietti del Senhor erano ribaltati. Il contenuto degli armadietti era stato disseminato alla rinfusa sul pavimento: vesti cerimoniali, caschi, sciarpe e stivali decorati, tutte le sgargianti insegne dei riti dei tumbondé.

Nell’angolo in fondo la Senhora Aglaibahi era in piedi addossata alla parete, subito davanti a lei c’era il grattatore robusto e tarchiato, dai capelli rossi, quello che Jill aveva visto arrampicarsi dentro il finestrino laterale dell’autobus. L’ampio sari della Senhora era lacerato per il lungo sul davanti e le sue pesanti mammelle, luccicanti di sudore, erano saltate fuori in piena vista. I suoi occhi luccicavano di terrore. Il grattatore la stringeva per un polso e stava cercando di afferrarle l’altro. Probabilmente era entrato nell’autobus con l’idea d’un furto con scasso, ma non doveva aver trovato niente, là dentro, che valesse la pena di rubare, così adesso rivolgeva la sua attenzione allo stupro.

— Lasciala stare, figlio di puttana — esclamò Jill con una voce così feroce che Jaspin per un attimo ne rimase stupefatto.

Il grattatore si girò di scatto. I suoi occhi andarono da Jill a Jaspin, e poi di nuovo a Jill. Era l’espressione d’una bestia in trappola. — Stai attenta — fece Jaspin. — Sta per venirci dritto addosso.

— State indietro — disse l’uomo tozzo. Stringeva ancora la Senhora Aglaibahi per il polso. — Mettetevi lì contro la parete. Ora uscirò da qui e voi non tenterete di fermarmi.

Adesso Jaspin vide un’arma nell’altra sua mano, una di quelle cose che chiamavano lance, piccole ma micidiali, le quali proiettavano piccole ma letali scariche elettriche.

— Attenta — disse a Jill con voce sommessa. — È un assassino.

— Ma la Senhora…

— State indietro — disse di nuovo l’uomo dai capelli rossi. Tirò il braccio della Senhora. — Vieni, signora. Tu ed io scendiamo dall’autobus, va bene? Tu ed io. Andiamo.

Jaspin li guardò, non osando muoversi.

La Senhora cominciò a gemere e a ululare. Era un pianto acutissimo e ultraterreno che avrebbe potuto essere un canto dello stesso Maguali-ga, uno stridio intenso e altalenante, un suono terrificante che molto probabilmente avrebbe potuto esser udito fino a San Francisco. L’uomo dai capelli rossi la scrollò ferocemente per il braccio e ringhiò: — Taglia corto!

Poi le cose cominciarono ad accadere molto in fretta.

La tenda si sollevò e il Senhor comparve sulla soglia, con un’aria stralunata, come se in parte fosse ancora in trance profonda. Per un lungo istante fissò stupefatto ciò che stava accadendo; poi quella terribile espressione di gelo profondo gli affiorò negli occhi, e sollevò entrambe le braccia come Mosé sul punto di frantumare le tavole dei Dieci Comandamenti, e urlò parole inintelligibili con una voce colossale, come se cercasse di schiantare al suolo l’intruso con il puro impatto dei decibel. Nello stesso istante Jill balzò in avanti e cercò di liberare la Senhora strappandola alla sua stretta. Il grattatore si girò verso di lei e senza la minima esitazione, con un rapido movimento, passò la lancia sopra la gabbia toracica di. Jill da un lato all’altro. Vi fu un piccolo lampo di luce azzurra e Jill fini con uno schianto all’indietro, contro la parete. Poi il grattatore lasciò la Senhora Aglaibahi e si tuffò in avanti, cercando di oltrepassare il Senhor. Quando arrivò al suo fianco, ristette, come se avesse notato per la prima volta il pettorale ingioiellato che il Senhor indossava. Il grattatore gli diede uno strappo, ma il fermaglio resistette. Il grattatore non lo lasciò andare. Proseguì lungo la parete mediana dell’autobus diretto verso l’uscita anteriore, trascinando con sé il Senhor per il pettorale.

Jaspin si voltò a guardare Jill. Giaceva accartocciata e immobile, le braccia e le gambe contorte e annodate. La Senhora era raggomitolata sull’altro lato dell’autobus. Tremava e singhiozzava convulsamente. Adesso il grattatore, tirando con sé il Senhor Papamacer, aveva attraversato metà della cappella, diretto verso l’anticamera. Jaspin si guardò intorno alla ricerca di un’arma. La cosa migliore che riuscì a trovare fu la piccola statua di Maguali-ga. La prese su di scatto e si precipitò verso l’altra estremità dell’autobus.

Il Senhor e il grattatore avevano raggiunto lo scompartimento riservato al conducente. Mentre Jaspin andava verso di loro, entrambi uscirono sulla piccola piattaforma che conduceva giù, al livello del suolo. Qui si fermarono, sempre lottando: il grattatore che strattonava il pettorale, tentando di strapparlo via, il Senhor Papamacer che lanciava imprecazioni con voce tonante picchiando il grattatore con i suoi pugni, tutti e due in piena vista della folla stupefatta dei seguaci del Senhor.

Jaspin sbirciò fuori in mezzo alla folla tumultuosa, fradicia di pioggia. Adesso vi regnava un autentico isterismo. Li sentiva gridare: — Papamacer! Papamacer! — Ma nessuno andava in aiuto del Senhor. Gesù, pensò Jaspin, dov’è il Nucleo Interno? Devono pur vedere quello che sta succedendo. Perché non vengono ad aiutare il Senhor? Poi si rese conto che era impossibile muoversi per chiunque si trovasse intorno all’autobus, tanto erano schiacciati gli uni addosso agli altri. Un reticolato umano a maglie fittissime.

Allora tocca a me, si disse Jaspin.

Sollevò la statua di Maguali-ga come un randello e manovrò per trovare un varco, cercando di portarsi in posizione per colpire il braccio che reggeva la lancia. Ma i due si agitavano in maniera troppo incontrollabile perché lui potesse riuscire a colpire con precisione l’arma.

Forse adesso… adesso…

Jaspin vibrò la statua con tutte le sue forze. Calò giù la mazzata, ma sul braccio sbagliato, quello con cui il grattatore cercava di strappare il pettorale al Senhor Papamacer. Il grattatore cacciò un forte grugnito e lasciò andare il Senhor, che venne sbattuto dal suo stesso slancio contro la portiera aperta dell’autobus. Jaspin cercò di spingerlo di nuovo dentro, ma con suo stupore il Senhor Papamacer scosse la testa e si precipitò in avanti, afferrando il grattatore per entrambe le spalle, costringendolo a girarsi, scuotendolo furiosamente, tempestandolo di quelle che parevano oscenità brasiliane. Tutta la mostruosa intensità dell’anima del Senhor Papamacer si stava riversando fuori in un frenetico attacco contro quel lurido estraneo che aveva osato violare il suo sacro santuario. Il grattatore, sbattendo gli occhi e con la bocca spalancata, pareva non sapesse cosa fare davanti a un’aggressione così folle.