Rifletté sui possibili interventi di ristrutturazione, per riportare l’edificio agli antichi splendori, ricostruendolo mentalmente, un esercizio che combinava ingegneria ed estetica.
Gli sembrava quasi di sentire l’odore della segatura.
Quell’ultimo pensiero rovinò improvvisamente il sogno a occhi aperti. S’intromisero altri ricordi, non invitati e indesiderati: la falegnameria di suo padre in garage, dove lavorava con lui dopo la scuola. Ciò che iniziava come un semplice progetto di restauro, si concludeva spesso in scontri a base di urla e parole troppo dure da ritirare. Alla fine, le continue battaglie avevano spinto Gray a lasciare la scuola superiore e arruolarsi nell’esercito. Solo di recente padre e figlio avevano trovato nuovi modi di comunicare e un terreno comune, accettando le differenze.
Tuttavia, Gray era ancora ossessionato da un’osservazione estemporanea fatta dalla madre. Sosteneva che padre e figlio fossero più simili che dissimili. Perché ultimamente quella frase lo disturbava così tanto? Gray cercò di scacciare quei pensieri e scosse la testa.
Aveva perso la concentrazione. Guardò l’orologio, ansioso di proseguire quella giornata. Aveva già passato al vaglio la sede dell’asta e piazzato due telecamere ai punti d’accesso, sul davanti e sul retro. Non gli restava che parlare col proprietario di quella bottega, per indagare sulla Bibbia, e fare qualche fotografia dei partecipanti all’asta. Così il suo compito si sarebbe esaurito, lasciando spazio a un lungo fine settimana da trascorrere con Sara.
Il pensiero del sorriso di lei sciolse il nodo che gli si era formato tra le scapole. Finalmente, dall’altro lato della strada, suonò una campana. La porta della bottega si aprì e la saracinesca di sicurezza cominciò a salire.
Gray drizzò la schiena, sorpreso nel constatare chi aveva aperto il negozio. Una lunga treccia nera, carnagione caffellatte, grandi occhi a mandorla. Era la stessa ragazza che lo aveva seguito quella mattina. Portava anche la stessa felpa e lo zaino verde malconcio.
Gray tirò fuori una manciata di banconote e la lasciò sul tavolino del caffè. Attraversò a grandi passi la stradina, mentre la ragazza finiva di agganciare la saracinesca.
Lei gli lanciò un breve sguardo, per nulla sorpresa. «Vediamo se riesco a indovinare», disse in un inglese asciutto, ma infarcito da un accento britannico, mentre lo scrutava da capo a piedi. «Americano.»
Quei modi bruschi lo infastidirono, però mantenne un’espressione di mite curiosità, non dando a intendere in nessun modo di sapere che lei lo aveva seguito. «Come fai a saperlo?»
«Il modo di camminare. Come se avessi un manico di scopa infilato dove puoi immaginare. Ti tradisce subito.»
«Davvero?»
Lei chiuse la serratura della saracinesca. Gray notò che portava diverse spille sulla felpa: una bandiera arcobaleno di Greenpeace, un simbolo celtico argentato, un ankh egiziano dorato e un variopinto assortimento di distintivi con slogan in danese, oltre a uno in inglese che diceva GO LEMMINGS GO. Indossava anche un braccialetto di gomma bianco con impressa la parola HOPE.
Gli fece cenno di togliersi dai piedi, ma, prima ancora che potesse scostarsi, lo urtò mentre gli passava davanti. Attraversò la strada camminando a ritroso. «Il negozio apre fra un’ora. Mi spiace, amico.»
Gray rimase sulla soglia, guardando alternativamente la porta del negozio e la ragazza. Era diretta al caffè. Passando accanto al tavolino che lui aveva appena lasciato, raccolse una delle banconote depositate da Gray ed entrò. Lui restò in attesa. Attraverso la vetrina, la guardò ordinare due caffè e pagare con la banconota appena rubata.
Ritornò con due grandi bicchieri di polistirolo. «Ancora qui?»
«Non so dove altro andare, al momento.»
«Peccato.» La ragazza indicò la porta chiusa con un cenno del capo e sollevò entrambe le mani. «Be’?»
«Ah.» Gray si voltò e le aprì la porta.
La ragazza entrò di volata. «Bertal!» gridò, poi si voltò a guardare Gray. «Hai intenzione di entrare o cosa?»
«Credevo che avessi detto…»
«Basta con questa commedia», disse, facendo roteare gli occhi. «Come se non mi avessi visto, prima.»
Gray s’irrigidì. Allora non era soltanto una coincidenza. La ragazza lo aveva seguito davvero.
Lei gridò ancora, rivolta verso l’interno del negozio: «Bertal! E muovi il… codone!»
Confuso e diffidente, Gray la seguì nel negozio. Rimase nei pressi della porta, pronto a ogni evenienza. La bottega era stretta come un vicolo. Su ogni lato si ergevano scaffalature alte fino al soffitto, piene zeppe di ogni genere di libri, volumi, testi e opuscoli. Qualche passo più avanti, il corridoio centrale era costeggiato da due vetrinette chiuse a chiave. All’interno c’erano libri di cuoio sgretolati e, a quanto sembrava, rotoli di pergamena conservati in provette bianche a prova di acidi.
Gray continuò a guardarsi attorno.
Nella luce obliqua del sole mattutino, l’aria pullulava di granellini di polvere sospesi e sapeva di vecchio. Sembrava che si sgretolasse come l’ammasso di carta custodito nella bottega.
Eppure, nonostante la decrepitezza dell’edificio, la bottega risplendeva di una grazia accogliente, dalle nicchie di vetro colorato nelle pareti alle scalette appoggiate agli scaffali. C’era anche un’invitante coppia di poltrone imbottite accanto alla vetrina, all’entrata.
E la cosa migliore…
Gray fece un respiro profondo.
Niente gatti.
Il motivo divenne ben presto evidente. Da dietro uno degli scaffali, comparve una grande forma irsuta, che avanzava pesantemente. Sembrava un incrocio di San Bernardo, un vecchio cagnone con gli occhi marroni cascanti. Si trascinò pigramente verso di loro, zoppicando sulla zampa anteriore sinistra, che era una protuberanza deforme.
«Ecco qua, Bertal.» La ragazza si chinò e versò il contenuto di uno dei bicchieri di polistirolo in una ciotola di ceramica sul pavimento. «Questo beone rognoso è inservibile senza la sua tazza di caffellatte alla mattina.» L’ultima frase fu pronunciata con evidente affetto.
Il San Bernardo si avvicinò a loro e cominciò a lappare avidamente dalla ciotola.
«Penso che il caffè non faccia bene ai cani», l’ammonì Gray.
La ragazza si raddrizzò, gettandosi la treccia dietro le spalle. «Nessun problema, è decaffeinato», replicò, e continuò a addentrarsi nella bottega.
«Che ha fatto alla zampa?» chiese Gray, tanto per parlare, mentre si adeguava alla nuova situazione. Diede una pacca sul fianco al cane mentre passava, meritandosi in cambio un colpetto di coda.
«Congelamento. Mutti l’ha raccolto dalla strada molto tempo fa.»
«Mutti?»
«Mia nonna. Ti sta aspettando.»
Dal fondo del negozio giunse una voce. «Fiona?»
«C’è il compratore americano, nonna. Mutti ti riceverà nel suo ufficio.» La ragazza, Fiona, lo condusse verso il retro. Il cane, dopo aver finito il suo caffè mattutino, li seguì, a ridosso di Gray.
A metà del negozio, passarono davanti a una piccola scrivania attrezzata con un registratore di cassa, un computer e una stampante Sony. A quanto sembrava, l’era moderna aveva preso piede anche lì.
«Abbiamo un sito web tutto nostro», spiegò Fiona, notando il suo sguardo.
Superata la cassa, entrarono in una stanza sul retro. Lo spazio era organizzato più come un salotto che come un ufficio. C’erano un divano, un tavolino e due sedie. Anche la scrivania nell’angolo sembrava servire soprattutto da appoggio per la piastra elettrica e il bollitore per il tè piuttosto che per funzioni impiegatizie. Contro una delle pareti, però, era allineata una serie di casellari. Più su, una finestra con le sbarre lasciava passare la luce del mattino, a illuminare l’unica occupante dell’ufficio.