— Io spero che la Seconda Fondazione esista veramente, Liono — disse Harla Branno. — In ogni caso, il Piano Seldon ha ormai terminato la sua funzione. Il grande Hari Seldon lo ideò all’epoca della decadenza dell’Impero, quando il progresso tecnologico si era praticamente fermato. Anche Seldon era un prodotto dei suoi tempi, e per quanto brillante possa essere stata la Psicostoria, questa scienza semi-mitica, è stata pur sempre condizionata dall’ambiente che l’ha vista nascere.
Nelle sue previsioni non rientrava certo quella di un progresso tecnologico rapido. La Fondazione questo progresso l’ha raggiunto, specie nell’ultimo secolo. Abbiamo rilevatori di massa che un tempo non ci saremmo mai sognati, computer che rispondono al pensiero e, soprattutto, schermi mentali: se la Seconda Fondazione è in grado di controllarci adesso, non potrà farlo ancora per molto. Voglio che gli ultimi anni in cui sarò al potere siano quelli in cui Terminus s’incamminerà su una nuova strada.
— E se invece, di fatto, non esiste nessuna Seconda Fondazione?
— Allora potremo incamminarci sulla nuova strada anche subito.
5
Il sonno irrequieto di Trevize non durò a lungo. Qualcuno gli toccò la spalla due volte, per svegliarlo. Trevize scattò a sedere sul letto con aria intontita, senza capire come mai si trovasse in quello strano letto. — Cosa...
— Scusate, consigliere Trevize — disse Pelorat, contrito. — Siete mio ospite ed avete tutto il diritto di riposare, ma c’è qui il sindaco. — Il professore, in piedi a lato del letto, aveva indosso un pigiama di flanella ed era scosso da un lieve tremito.
Trevize a poco a poco cominciò a rendersi conto di dove fosse ed a ricordare.
Il sindaco, impassibile come sempre, si trovava nel soggiorno di Pelorat. Con lei c’era Kodell, che si accarezzava piano i baffi bianchi.
Accomodandosi in vita la fusciacca, Trevize si chiese se quei due, la Branno e Kodell, girassero mai separati.
— Il Consiglio si è già riavuto dalla sorpresa? — disse, ironico, al sindaco. — I suoi membri sono preoccupati per la mia assenza?
— Qualche reazione c’è stata, sì — disse il sindaco, — non tale da giovarvi in qualche modo. Nessuno mette in dubbio che io abbia il potere di costringervi a partire. Sarete accompagnato allo Spazioporto Terminale...
— Non allo Spazioporto Centrale, signor sindaco? Non sarò dunque salutato come si converrebbe da migliaia di persone in lacrime?
— Vedo che avete riacquistato il consueto gusto per le stupidaggini infantili, consigliere, e mi fa piacere. Così l’eventuale punta di rimorso che potrebbe sorgere in me non spunterà certo. Allo Spazioporto Terminale voi e il professor Pelorat avrete modo di partire senza dare nell’occhio.
— Per non tornare mai più?
— Forse per non tornare mai più. Naturalmente — e qui il sindaco fece un breve sorriso, — se scoprirete qualcosa di così importante ed utile da rendere gradito il vostro ritorno persino a me, tornerete. Con le debite informazioni, s’intende. E forse vi verranno addirittura tributati degli onori.
Trevize annuì con aria noncurante. — Potrebbe anche succedere.
— Non c’è quasi niente che non possa succedere. In ogni caso, il vostro viaggio sarà comodo. Vi è stata assegnata una pocket-cruiser[3] che hanno finito di costruire da poco. Si chiama “Far Star”, come l’incrociatore di Hober Mallow. Una sola persona basta a pilotarla, ma può accogliere fino a tre passeggeri, garantendo loro una certa comodità.
Trevize abbandonò per un attimo l’atteggiamento lievemente ironico che aveva assunto studiatamente. — Armata come un vero e proprio incrociatore?
— No, non armata, ma per il resto equipaggiata perfettamente. Dovunque andrete, sarete cittadini della Fondazione e ci sarà sempre un console a cui potrete rivolgervi, per cui non vi occorreranno armi. In caso di necessità potrete attingere ai fondi a voi destinati. Aggiungerò che non si tratta di fondi illimitati.
— Siete generosa.
— Lo so, consigliere. Una cosa però voglio che vi sia chiara: voi aiutate il professor Pelorat nella sua ricerca della Terra. Qualsiasi cosa pensiate di cercare, tenete presente che state cercando la Terra. Tutti quelli che incontrerete devono capire bene questo, e questo solo. E ricordatevi sempre che la “Far Star” non è armata.
— Sono alla ricerca della Terra — disse Trevize. — Ho capito perfettamente.
— Allora andate pure, adesso.
— Scusatemi, ma ci sono alcune cose di cui non abbiamo parlato e che credo bisognerebbe discutere. In passato ho pilotato navi, ma non ho nessuna esperienza di incrociatori-miniat ultimo modello. E se non riesco a pilotare la “Far Star”?
— Mi è stato detto che sia completamente computerizzata, e prima che me lo chiediate, vi dico subito che non occorra sapere come si usi il computer di una nave ultimo modello: sarà esso stesso a comunicarvi tutto ciò che dovrete sapere. C’è altro di cui avete bisogno?
Trevize si guardò con aria triste. — Un vestito di ricambio.
— Ne troverete a bordo della nave. E troverete anche quelle cinture, o fusciacche come le chiamano, che portate. Anche il professore è stato rifornito di quanto gli occorra. A bordo c’è già tutto il necessario, anche se mi affretto a puntualizzare che in questo tutto non è compresa la compagnia femminile.
— Peccato — disse Trevize. — Sarebbe stato piacevole, ma tanto in questo momento non avevo una candidata adatta. In ogni modo la Galassia è popolosa, e una volta che sarò lontano di qui immagino che potrò fare ciò che vorrò.
— Per quanto riguarda le donne, intendete? Certamente.
Harla Branno si alzò faticosamente dalla sua sedia. — Non vi accompagnerò allo spazioporto — disse, — ma c’è chi vi accompagnerà al posto mio. Non cercate di fare niente che contravvenga agli ordini: se tenterete di scappare, credo che vi uccideranno. Non essendo io presente, si sentiranno liberi di spararvi.
— Non contravverrò agli ordini, signor sindaco — disse Trevize. — C’è una cosa, però...
— Sì?
Trevize rifletté in fretta e alla fine disse, con un sorriso che si augurò apparisse naturale: — Verrà forse il giorno in cui mi chiederete come un piacere personale di prendere un’iniziativa, signor sindaco. Quel giorno sceglierò liberamente la mia linea d’azione, ma mi ricorderò di quanto mi abbiate fatto passare.
Harla Branno sospirò. — Risparmiatemi il melodramma, Trevize. Se verrà quel giorno, verrà, ma per il momento vi invito a non prendere iniziative di sorta.
Parte quarta
Lo spazio
1
La nave era ancora più bella di quanto si aspettasse Trevize, che ricordava la grossa campagna pubblicitaria che era stata fatta all’epoca in cui era stato prodotto il nuovo tipo di incrociatore.
A colpire non erano le dimensioni, perché la nave era piccola. Era stata progettata in modo da essere manovrabile e veloce, concepita per motori esclusivamente gravitazionali e, soprattutto, per un alto grado di computerizzazione. Le grandi dimensioni quindi non servivano, anzi erano antifunzionali.
Pilotabile da una sola persona, l’incrociatore era in grado di sostituire vantaggiosamente le navi più vecchie, cui occorreva un equipaggio di una dozzina di uomini o più. Con una seconda od una terza persona a bordo, capaci di garantire un’equa distribuzione dei turni, una nave del genere poteva surclassare una flottiglia di navi assai più grandi, non appartenenti alla Fondazione. In più, batteva in velocità qualsiasi altra astronave esistente e le era facile quindi la fuga.
3
La traduttrice Laura Serra, per tradurre questo nome, usa il neologismo “nave-miniat”. In questa revisione, si decide di attenersi al termine originale dell’autore