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Aveva un che di lustro e perfetto: non c’era un solo millimetro che non fosse stato sfruttato nel modo giusto, non c’erano curve o linee superflue, né fuori, né dentro.

Ciascun metro cubo di volume era utilizzato al massimo, sicché all’interno, paradossalmente, si aveva un’impressione di spaziosità. Nessuno dei discorsi del sindaco sull’importanza della missione aveva impressionato Trevize quanto il vedere la nave con cui quella missione sarebbe stata compiuta.

Branno la Bronzea, pensò Trevize mortificato, era riuscita con le sue manovre ad invischiarlo in un’impresa indubbiamente pericolosa. Forse non avrebbe accettato con tanta determinazione se lei non avesse disposto le cose in modo da fargli desiderare di mostrare che cosa sapesse fare.

Quanto a Pelorat, era pieno di meraviglia. — Mi credete se vi dico che non sono mai stato nemmeno vicino ad un’astronave? — disse toccando con un dito la carena, poco prima di salire all’interno.

— Vi credo, professore. Ma come mai?

— Ad essere franco non lo so, caro amic... cioè, caro Trevize. Credo che sia successo perché ero troppo preso dalle mie ricerche. Quando uno nella propria casa ha un computer veramente eccellente, in grado di raggiungere altri computer in qualsiasi parte della Galassia, non ha praticamente bisogno di spostarsi, capite. Per qualche motivo mi aspettavo che le astronavi fossero più grandi di questa.

— Questa è un modello piccolo, tuttavia riesce lo stesso ad essere, dentro, più spaziosa di qualsiasi altra astronave della medesima grandezza.

— Come può essere? Non approfitterete mica della mia ignoranza per prendermi in giro, vero?

— No, no, dico sul serio: questo è uno dei primi modelli completamente gravitazionalizzati.

— Che significa? Non ditemelo, però, se questo comporta complicate spiegazioni di fisica. Vi prenderò in parola, come mi avete preso in parola voi quando abbiamo discusso del pianeta d’origine e dell’unicità della specie umana.

— Proverò a spiegarmi, professor Pelorat. Nella storia millenaria del volo spaziale, abbiamo avuto motori chimici, motori ionici, motori iperatomici, e tutti quanti occupavano molto spazio. L’antica Marina Imperiale aveva navi lunghe cinquecento metri, con uno spazio abitabile pari soltanto a quello di un piccolo appartamento. La Fondazione, non disponendo di risorse materiali ingenti, si è dovuta specializzare attraverso i secoli nella miniaturizzazione: questa nave rappresenta il culmine delle ricerche compiute finora. Usa l’antigravità, e il congegno che rende possibile tale uso non occupa praticamente niente spazio e di fatto è incluso nella carena. Senza di esso dovremmo ricorrere ancora ai motori iperatomici e...

Si avvicinò loro una guardia della Sicurezza. — Dovete salire a bordo, signori.

Il cielo stava diventando sempre più chiaro, benché mancasse una buona mezz’ora all’alba.

Trevize si guardò intorno. — Hanno caricato il mio bagaglio?

— Sì, consigliere: sulla nave, come vedrete, c’è tutto.

— Compresi vestiti non della mia taglia, né di mio gusto, immagino.

La guardia d’un tratto sorrise con espressione quasi infantile. — Credo che invece li troverete di vostro gusto — disse. — Nelle ultime trenta-quaranta ore, il sindaco ci ha fatto fare dello straordinario. Siamo stati attenti a prendere vestiti che si adattassero bene a ciò che già avevate. Potevamo spendere quello che volevamo. — Si guardò intorno come per assicurarsi che nessuno notasse la sua aria complice, poi aggiunse: — Sapete, voi due siete fortunati: avete la miglior nave del mondo, perfettamente equipaggiata, a parte le armi. Si può dire che nuotiate nella panna montata.

— Panna acida, forse — disse Trevize. — Be’, professore, siete pronto?

— Con questo, sì — disse Pelorat, mostrando un oggetto quadrato di circa venti centimetri di lato, chiuso in una busta di plastica argentata. Trevize si rese conto solo allora che dal momento in cui era uscito di casa Pelorat aveva tenuto sempre in mano l’oggetto, senza mai deporlo nemmeno quando si erano fermati per consumare una rapida colazione.

— Che cos’è quello, professore?

— La mia biblioteca. L’indice è per argomento e per fonte: tutto lo scibile in una tavoletta di silicio. Un’intera biblioteca, tutto quello che ho raccolto! Non è meraviglioso?

— Bene — disse Trevize. — Forse nuotiamo veramente nella panna montata.

2

Trevize ammirò l’interno della nave. Lo spazio era stato utilizzato ingegnosamente. C’era una dispensa dove erano accumulati provviste di cibo, abiti, pizze di film e giochi. Poi c’erano una palestra, un salottino e due camere da letto quasi identiche.

— Questa dev’essere la vostra, professore — disse Trevize. — Lo deduco almeno dal fatto che contiene un Lettore FX.

— Bene — disse Pelorat. soddisfatto. — Che stupido sono stato ad evitare finora il volo spaziale: sento di poter vivere molto tranquillamente qui, caro Trevize.

— È più spaziosa di quanto pensassi — disse Trevize, compiaciuto.

— Ed i motori sono proprio nella carena, come avete detto?

— Per lo meno, i congegni di controllo sicuramente. Non abbiamo bisogno di immagazzinare combustibile da usare nel corso del viaggio. Sfruttiamo la naturale riserva di energia dell’Universo, sicché il combustibile e i motori sono tutti... là — e fece un gesto vago.

— Ma, ora che ci penso, e se si verifica un qualche guasto?

Trevize alzò le spalle. — So navigare nello spazio, ma non ho mai provato a viaggiare su questo tipo di nave: se si verifica qualche guasto al congegni gravitazionali, temo di non poterci fare niente.

— Ma sapete come funziona? Sapete pilotarla?

— Me lo sto chiedendo io stesso.

— Pensate che sia automatizzata? — disse Pelorat. — Forse siamo soltanto dei passeggeri, ed il nostro compito consiste nello stare qui seduti senza toccare un bottone.

— A volte sono così i traghetti che collegano i pianeti con le stazioni spaziali del medesimo sistema solare, ma non ho mai sentito parlare di viaggio iperspaziale automatizzato, almeno fino ad ora.

Si guardò intorno di nuovo, con un filo di apprensione. Che quella vecchiaccia della Branno fosse riuscita a tenere nascosta la cosa a lui e ad altri come lui? Forse la Fondazione aveva sul serio messo a punto il volo interstellare automatizzato, e lui sarebbe stato depositato su Trantor contro la sua volontà e non avrebbe avuto modo di dire nulla, non più di quanto potessero farlo i mobili di bordo...

Disse, con una vivacità che non sentiva: — Sedetevi, professore. Il sindaco ha detto che questa nave è completamente computerizzata. Se nella vostra stanza c’è un Lettore FX nella mia dovrà esserci un computer: mettetevi comodo e lasciate che dia un’occhiata in giro da solo.

Pelorat divenne di colpo ansioso. — Trevize, amico caro, non avrete mica intenzione di scendere dalla nave, vero?

— Non ci penso neanche lontanamente, professore. E se poi tentassi di farlo, state certo che qualcuno mi fermerebbe: il sindaco non ha alcuna intenzione di farmi scendere. Desidero soltanto sapere come si pilota la “Far Star”. — Sorrise. — Non vi abbandonerò, professore.

Stava ancora sorridendo quando entrò in quella che aveva giudicato la sua camera da letto, ma appena richiuse la porta alle proprie spalle assunse un’espressione seria.

Doveva esserci per forza il mezzo di comunicare con l’eventuale pianeta che si fosse trovato nelle vicinanze della nave. Non si poteva nemmeno pensare ad una nave tagliata fuori deliberatamente da ciò che la circondava; perciò da qualche parte, magari in una nicchia collocata in una parete, doveva esserci un contattore. Trevize avrebbe potuto usarlo per chiamare l’ufficio del sindaco e chiedere dove fossero i comandi.