Se Trevize fosse riuscito a far usare al computer le microonde e a farle tradurre in un modello visibile, avrebbero potuto vedere tutte le diecimila isole abitate di Terminus, compresa l’unica abbastanza grande da essere considerata un continente: quella su cui si trovavano Terminus City. E...
Allontanarsi!
Fu solo un pensiero, un esercizio della volontà, ma la prospettiva cambiò subito.
La mezzaluna luminosa si spostò verso i margini del quadro visibile, poi scomparve, lasciando al suo posto l’oscurità dello spazio senza stelle.
Pelorat si schiarì la voce. — Perché non fate riapparire Terminus, ragazzo mio?
Mi pare di essere diventato cieco! — C’era tensione, nella sua voce.
— Non siete cieco. Guardate!
Nel buio dello spazio era apparsa una nebbiolina pallida, diafana. Si diffuse sempre più, diventando maggiormente luminosa, e alla fine l’intera stanza parve brillare.
Ritirarsi!
Un altro esercizio della volontà, e la Galassia si ritrasse, apparendo come attraverso un telescopio che allontanasse la visione anziché avvicinarla. La Galassia si contrasse e diventò una struttura di luminosità mutevole.
Renderla più luminosa!
Senza cambiare dimensioni, la Galassia divenne più brillante, e poiché il sistema solare cui apparteneva Terminus era sopra il piano galattico, non la si vedeva esattamente nella sua forma oggettiva: era una doppia spirale con striature curve di nebulose oscure che rigavano il contorno brillante del lato dove si trovava Terminus.
Il chiarore color panna del nucleo, lontano e rimpicciolito dalla distanza, appariva insignificante.
Impressionato, Pelorat disse, sottovoce: — Avete ragione: è tutt’un’altra cosa, vista così. Non mi sarei mai sognato uno spettacolo tanto grandioso.
— E come potevate sognarvelo? Non si può vedere la metà esterna quando l’atmosfera di Terminus si trova tra noi ed essa. Dalla superficie del pianeta si fa fatica persino a vedere il nucleo.
— Peccato che non la contempliamo proprio nella sua forma oggettiva, ma solo frontalmente.
— Se è per quello, il computer può mostrarcela da qualsiasi punto di vista. Basta che esprima il desiderio, e nemmeno a voce alta.
Cambiare coordinate!
Non si trattava in realtà di un ordine, eppure l’immagine, in seguito all’esercizio della volontà di Trevize, subì un lento cambiamento guidato dal computer.
A poco a poco la Galassia si collocò ad angolo retto rispetto al piano galattico. Si allargò come un gigantesco vortice scintillante dove si scorgevano linee curve e scure, grumi particolarmente luminosi, ed una chiazza centrale vivida e affascinante.
Pelorat chiese: — Come fa il computer a vedere la galassia da una posizione nello spazio che sarà a cinquantamila parsec da qui? — Poi, in un sussurro soffocato, aggiunse: — Perdonatemi la domanda, ma in queste cose sono proprio ignorante.
— Ne so quanto voi, su questo computer — disse Trevize. — Anche il più semplice degli elaboratori però è in grado di regolare le coordinate e di mostrare la Galassia da qualsiasi posizione, a cominciare da quella che gli appare più naturale, cioè quella relativa al luogo particolare dove si trova l’elaboratore stesso nello spazio.
Naturalmente fa uso solo delle informazioni che riesce a ricevere all’inizio, sicché quando passa, ad esempio, ad un’altra prospettiva, possiamo trovare vuoti e lacune nella visione che ci viene offerta. Nel caso di questo computer invece...
— Sì?
— Ecco, la vista che abbiamo è eccellente. Ho l’impressione che sia fornito da una mappa completa della Galassia e che quindi possa vedere quest’ultima ugualmente bene da qualsiasi posizione.
— Che cosa intendete per mappa completa?
— Nelle banche-dati dei computer devono trovarsi le coordinate spaziali di tutte le stelle della Galassia.
— Tutte? — Pelorat era sgomento.
— Forse non tutti i trecento miliardi di stelle che conta, certamente però sono comprese nel numero le stelle che illuminano i pianeti abitati, e probabilmente tutte quelle della classe spettrale K, e quelle più luminose ancora. Il che significa almeno settantacinque miliardi di stelle.
— Tutte le stelle dei sistemi solari abitati?
— Non vorrei essere smentito; forse non proprio tutte. All’epoca di Hari Seldon c’erano venticinque milioni di sistemi abitati; sembrano molti, però bisogna pensare che si tratta solo di una stella ogni quindicimila. Poi, nei cinque secoli successivi, lo smembramento dell’Impero non impedì ulteriori colonizzazioni, anzi, direi che semmai le avrà incoraggiate. Ci sono ancora moltissimi pianeti abitabili che attendono di essere colonizzati, e tutto sommato direi che quelli realmente abitati saranno ormai trenta milioni. Può darsi che non tutti i mondi di più recente colonizzazione siano registrati negli archivi della Fondazione.
— Ma i vecchi? Ci saranno tutti senza eccezione, immagino.
— Penso di sì. Non posso garantirlo, naturalmente, ma mi stupirei che di un sistema abitato da lungo tempo non ci fosse traccia negli archivi. Lasciate che vi mostri una cosa, sempre che la mia capacità di controllare il computer me lo permetta...
Le mani di Trevize s’irrigidirono un poco nello sforzo, e parvero affondare maggiormente nell’abbraccio in cui le stringeva il computer. Probabilmente era uno sforzo non necessario: bastava pensare con calma e naturalezza una parola. Terminus.
Trevize la pensò, e subito, in risposta, apparve ai margini del vortice una gemma rossa e scintillante.
— Ecco il nostro sole — disse, eccitato. — Ecco la stella che gira intorno a Terminus.
— Ah — disse Pelorat con un sospiro sommesso e tremulo.
Un punto di luce giallo vivo comparve in mezzo ad un fitto grappolo di stelle, nel cuore della Galassia, ma a lato della macchia biancastra centrale. Era un po’ più vicino alla zona dove c’era Terminus che all’altra.
— E questo — disse Trevize — è il sole di Trantor.
Un altro sospiro, e Pelorat disse: — Siete sicuro? Ho sempre sentito dire che Trantor si trovi al centro della Galassia.
— È vero, sotto un certo profilo. È quanto più vicino al centro possa essere un pianeta abitabile. Più vicino al centro di qualsiasi altro grosso sistema popolato. Il vero e proprio nucleo della Galassia è costituito da un buco nero con una massa di quasi un milione di stelle: si tratta insomma di un’area pericolosa. A quanto ne sappiamo non c’è vita, nel nucleo. Forse non è nemmeno possibile che un luogo del genere ospiti un qualche tipo di vita. Trantor è il mondo più interno dei bracci della spirale e, credetemi, se vedeste il suo cielo notturno, lo giudichereste al centro della Galassia. È circondato da un ammasso fittissimo di stelle.
— Siete stato su Trantor, Golan? — chiese Pelorat, con una punta di invidia.
— No, in realtà non ci sono stato, però ho visto rappresentazioni olografiche del suo cielo.
Trevize contemplò con una certa tristezza la Galassia. All’epoca del Mulo, quando si cercava con ansia la Seconda Fondazione, tutti si erano affannati sopra le mappe galattiche, e sull’argomento Galassia erano stati scritti innumerevoli volumi. E tutto perché all’inizio Hari Seldon aveva detto che la Seconda Fondazione sarebbe stata fondata «al capo opposto della Galassia», ed aveva definito il posto “Star’s End”.
Al capo opposto! Mentre Trevize era immerso in questi pensieri, nell’immagine olografica comparve una linea azzurra sottile, che partendo da Terminus attraversava il buco nero del nucleo galattico ed arrivava all’estremità opposta. Trevize per poco non sobbalzò sulla sedia. Non aveva ordinato esplicitamente che apparisse quella linea, ma aveva pensato ad essa chiaramente, e questo era bastato al computer.