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Era chiaro che Harla Branno non avrebbe mai permesso una cosa del genere. Per lunghi periodi di grande impopolarità era rimasta nella sua decisione: Terminus era per tradizione la capitale della Fondazione, e lo sarebbe rimasta. I nemici politici della Branno avevano fatto circolare caricature (piuttosto efficaci, bisogna dire) di lei in cui la mascella volitiva era sostituita da un grosso blocco di granito.

Adesso che Seldon aveva appoggiato il suo punto di vista, il sindaco si sarebbe conquistato (almeno per il momento) un vantaggio politico schiacciante. Si diceva che un anno prima avesse dichiarato che, se Seldon l’avesse appoggiata, avrebbe considerato completamente esaurito il suo compito, e si sarebbe ritirata con il titolo di statista anziano, anziché affrontare i rischi di ulteriori battaglie politiche.

Nessuno le aveva creduto, in realtà. Lei, nelle contese politiche, si trovava molto più a suo agio di tanti suoi predecessori, ed adesso che l’immagine di Seldon era apparsa e scomparsa, Harla Branno non accennava affatto a ritirarsi.

Parlò con voce limpida, senza preoccuparsi del proprio accento della Fondazione (un tempo era stata ambasciatrice su Mandress, ma non aveva adottato il vecchio accento imperiale, che era l’ultima moda usare nei discorsi, e che rappresentava il residuo di quella che era stata una spinta quasi imperiale verso le Province Interne).

Disse: — La Crisi Seldon è finita, ed una saggia tradizione vuole che non si facciano rappresaglie di sorta, né con i fatti né con le parole, contro chi abbia sostenuto l’idea sbagliata. Molte persone oneste hanno creduto di avere buoni motivi per desiderare quello che Seldon non voleva: non ha senso umiliarle a tal punto da costringerle a riacquistare il rispetto di sé solo attraverso la denuncia del Piano stesso.

È anche tradizione radicata e lodevole che chi è stato dalla parte sbagliata accetti la sconfitta a cuor leggero, senza ulteriori discussioni. Il problema ormai è risolto, in via definitiva, sia per la parte perdente sia per quella vincente.

Fece una pausa, guarda un attimo in faccia i membri del Consiglio, quindi proseguì: — È passato metà del tempo, signori consiglieri; sono passati metà dei mille anni che devono intercorrere tra un Impero e l’altro: è stato un periodo irto di difficoltà, ma abbiamo fatto molta strada. In effetti, siamo già quasi un Impero Galattico, e non abbiamo importanti nemici esterni da affrontare.

«L’Interregno sarebbe durato trentamila anni, se non fosse stato per il Piano Seldon. Dopo trentamila anni di progressiva disgregazione, probabilmente non si sarebbero create le premesse per formare un altro Impero, ci sarebbero stati solo pianeti isolati ed in piena decadenza.

«Ciò che abbiamo oggi lo dobbiamo a Hari Seldon, ed è sulla sua mente morta da tempo che bisogna fare assegnamento anche per il futuro. D’ora innanzi, consiglieri, il pericolo siamo noi stessi, e d’ora innanzi occorre che non ci sia più il minimo dubbio sull’efficacia del Piano. Vogliamo convenire, qui, adesso, con calma e con fermezza, che non debbano più esserci dubbi, critiche, condanne ufficiali del Piano?

Bisogna sostenerlo incondizionatamente: ha dimostrato di funzionare per ben cinque secoli. Rappresenta la sicurezza dell’umanità, ed abbiamo il dovere di non interferire con esso. Siete tutti d’accordo?

Si levò un mormorio sommesso. Il sindaco non alzò nemmeno gli occhi per cercare nei visi il segno dell’approvazione: conosceva tutti i membri del Consiglio, e sapeva come avrebbero reagito. Adesso che lei era nella scia della vittoria, non ci sarebbero state obiezioni. Forse di lì ad un anno, ma non ora. E i problemi dell’anno successivo Harla Branno li avrebbe affrontati l’anno successivo.

— Salvo che, naturalmente...

— Controllo del pensiero, sindaco Branno? — disse Golan Trevize, percorrendo a grandi passi il corridoio e parlando ad alta voce come per controbilanciare il silenzio degli altri. Non si preoccupò nemmeno di sedere nel posto dell’ultima fila che gli spettava in quanto nuovo membro.

La Branno non alzò gli occhi neanche questa volta. Disse: — Qual è il vostro punto di vista, consigliere Trevize?

— Il mio punto di vista è che il governo non può impedirci di parlare liberamente.

Tutti gli individui, e quindi anche i consiglieri, che sono stati eletti proprio per questo, hanno il diritto di discutere gli argomenti politici del momento, e non esiste argomento politico che non coinvolga in qualche modo il Piano Seldon.

La Branno intrecciò le dita ed alzò gli occhi. Il suo viso era inespressivo. — Consigliere Trevize — disse — siete intervenuto nel dibattito in modo irregolare e così facendo avete agito male. Io però vi ho invitato lo stesso ad esprimere le vostre opinioni, ed ora vi rispondo. Non c’è limite alla libertà di espressione nel contesto del Piano Seldon, è semplicemente il Piano in se stesso che, per la sua stessa natura, ci impone alcuni limiti. Possiamo interpretare gli avvenimenti in tanti modi, prima che l’immagine prenda la decisione finale, ma una volta che Seldon abbia deciso, in Consiglio non si può più discutere la sua scelta.

«Né si può in anticipo fare un ragionamento di questo genere: se Hari Seldon dovesse deliberare la tal cosa, avrebbe torto.

— Se però uno onestamente la pensasse così, signor sindaco?

— Potrebbe dirlo, purché come cittadino privato intenda discutere un argomento in un contesto privato.

— Intendete dire allora che i limiti che invocate alla libertà di espressione siano da applicarsi solo ed esclusivamente ai funzionari di governo?

— Proprio così. Non è un principio nuovo, nelle leggi della Fondazione. È stato applicato in precedenza da sindaci di tutti i partiti: un’opinione personale espressa in privato non significa nulla. La stessa opinione espressa ufficialmente ha tutt’altro valore, e può diventare pericolosa. Adesso che abbiamo percorso tanta strada, sarebbe sciocco correre rischi inutili.

— Signor sindaco, mi sia consentito osservare che questo vostro principio è stato applicato rare volte e non sistematicamente a provvedimenti specifici del Consiglio, e mai a qualcosa di così vasto ed indefinibile come il Piano Seldon.

— Il Piano Seldon va assolutamente protetto, perché sono proprio i dubbi su di esso che possono esserci fatali.

— Non avete mai pensato, sindaco Branno... — Trevize si girò verso i consiglieri seduti che sembravano trattenere tutti quanti il fiato, come in attesa dell’esito di un duello. — Non avete mai pensato, signori consiglieri, che ci sia più di una ragione per credere che non esista alcun Piano Seldon?

— Oggi abbiamo avuto tutti modo di vedere che funzioni alla perfezione — disse Harla Branno, contrapponendo al tono oratorio di Trevize un tono più che mai neutro.

— Signori consiglieri, è proprio dal suo funzionamento perfetto che si deduce che il Piano Seldon, così come ci è stato sempre presentato, non possa esistere.

— Consigliere Trevize, il vostro intervento è fuori regola, e non potete continuare il discorso da queste premesse.

— Ho il privilegio concessomi dalla mia carica, sindaco.

— Quel privilegio vi è stato ritirato, consigliere.

— Non potete farlo. Le vostre affermazioni a proposito della libertà di espressione non possono avere in se stesse qualità di legge: non c’è stata alcuna votazione formale in Consiglio, sindaco Branno, ed anche se ci fosse stata, avrei il diritto di contestarne la legittimità.