— Consigliere Trevize, il fatto che vi sia stato ritirato il privilegio non ha nulla a che vedere con le mie affermazioni sul Piano Seldon.
— A che cosa è dovuto allora?
— Siete accusato di tradimento, consigliere. Desidero, per rispetto al Consiglio, non farvi arrestare dentro questa sala, ma alla porta ci sono agenti della sicurezza incaricati di prendervi in custodia: vi chiedo ora di uscire di qui senza opporre resistenza. Se farete una qualsiasi mossa sospetta scatterà naturalmente l’allarme, e gli uomini della sicurezza entreranno in questa sala: confido che non ci renderete le cose difficili.
Trevize aggrottò la fronte: il silenzio intorno era assoluto. (Che tutti, a parte lui e Compor, avessero previsto quell’epilogo?) Si voltò a guardare l’uscita: non vide niente, ma era sicuro che il sindaco non stesse bluffando.
Balbettò per la rabbia. — Io rap-rappresento un collegio elettorale importante, sindaco Branno...
— Certo, un collegio di cui avete deluso le speranze.
— Sulla base di quali prove mi rivolgete quest’accusa insensata?
— Le prove verranno fuori a tempo debito, ma state sicuro che disponiamo di tutti gli elementi necessari. Siete un giovane assai avventato, avreste dovuto capire che anche un amico può non essere disposto a seguirvi lungo la strada del tradimento.
Trevize si girò di scatto ed incontrò lo sguardo di Compor: si fissarono con espressione dura.
Il sindaco Branno disse, calma: — Siete tutti testimoni del fatto che dopo il mio intervento il consigliere Trevize si sia voltato a guardare il consigliere Compor.
Volete andarvene adesso, consigliere, od intendete farci assistere alla scena poco dignitosa di un vostro arresto nella Sala del Consiglio?
Golan Trevize girò le spalle, salì i gradini e quando fu alla porta fu preso in custodia da due uomini in uniforme, armati di tutto punto.
Harla Branno, seguendolo impassibile con gli occhi, mormorò schiudendo appena le labbra: — Stupido!
3
Liono Kodell era Capo della Sicurezza da quando Harla Branno occupava la poltrona di sindaco. Gli piaceva dire «non era un lavoro particolarmente faticoso», ma era naturalmente impossibile sapere se mentisse o meno.
Non sembrava un bugiardo, ma questo non provava niente. Aveva un’aria tranquilla e benevola, il che probabilmente era utile per il suo lavoro. Un po’ più basso della media, un po’ più grasso della media, aveva folti baffi (molto insoliti per un cittadino di Terminus) ormai più bianchi che grigi, occhi castani, ed una striscia colorata che gli attraversava il taschino della divisa marrone.
— Sedetevi, Trevize — disse. — Cerchiamo se possibile di avviare un colloquio amichevole.
— Amichevole? Con un traditore? — Trevize infilò entrambi i pollici nella fusciacca e rimase in piedi.
— Con uno “accusato” di essere un traditore: l’accusa, anche se formulata dal sindaco, non è ancora una condanna, e spero che non lo sarà mai. Io, nei limiti delle mie possibilità, cercherò di farvi prosciogliere. Preferirei di gran lunga assolvere questo compito adesso, finché non sono ancora stati fatti danni, se non forse al vostro orgoglio, che essere costretto ad arrivare ad un processo pubblico. Spero che siate d’accordo con me.
Trevize non si ammorbidì. — Non facciamo salamelecchi — disse. — Voi avete il compito di tartassarmi come se fossi veramente un traditore. Non lo sono, e mi sento offeso dal fatto di doverlo dimostrare per far piacere a voi. Perché non dimostrate voi di essere un cittadino leale per far piacere a me?
— In linea di principio, non avrei obiezioni. Purtroppo, però, io dispongo di un certo potere, voi di nessuno. È per questo che tocca a me, non a voi fare domande.
Quanto al vostro discorso, se per caso su di me si addensassero sospetti di slealtà o di tradimento, verrei interrogato da una persona che mi tratterebbe, spero, non peggio di come io intendo trattare voi.
— E come intendete trattarmi?
— Come un essere umano uguale a me, un amico. Sempre che accettiate di serbare verso di me lo stesso atteggiamento.
— Posso offrirvi un drink? — disse Trevize, sarcastico.
— Più tardi, magari. Adesso vi prego di sedervi: ve lo chiedo da amico.
Trevize esitò, poi si sedette. D’un tratto gli sembrò inutile continuare con le provocazioni. — Allora? — disse.
— Allora, vi chiederei di rispondere alle mie domande con sincerità e precisione, senza sotterfugi.
— E se non lo facessi? Che minaccia c’è dietro questo discorso? Una sonda psichica?
— Spero proprio di no.
— Lo spero anch’io. Sarebbe grave, la sonda psichica usata per un consigliere. In ogni modo rivelerebbe che non sono un traditore, e quando fossi prosciolto chiederei la vostra testa, e probabilmente anche quella del sindaco: forse varrebbe quasi la pena farsi sondare.
Kodell aggrottò la fronte e scosse appena la testa. — Ah no, no sicuro: c’è troppo pericolo di causare danni al cervello. A volte la guarigione è lenta, ed il gioco non varrebbe proprio la candela. Sapete, a volte quando si ricorre alla sonda è perché si è esasperati...
— È una minaccia, Kodell?
— Una constatazione di fatto, Trevize. Non fraintendetemi, consigliere: se dovrò usare la sonda la userò, ed anche se foste innocente non avreste modo di sottrarvi all’esame.
— Che cosa volete sapere?
Kodell premette un bottone sulla scrivania davanti a sé e disse: — Quello che vi chiederò e quello che mi risponderete sarà registrato. La registrazione sarà sonora e visiva. Non dovete fare affermazioni non pertinenti, limitatevi a rispondere alle domande. Capirete perché, spero.
— Capisco che registrerete solo quello che garberà a voi — disse Trevize con disprezzo.
— Esatto, ma vi prego di nuovo di non fraintendermi. Non distorcerò in alcun modo quanto direte, semplicemente userò certo materiale e non altro. Ma sapendo quale sia il materiale che non userò, voi cercherete naturalmente di non far perdere tempo né a me, né a voi stesso.
— Vedremo.
— Abbiamo ragione di credere, consigliere Trevize — disse Kodell con un tono formale da cui si deduceva che la registrazione fosse cominciata — che in più di un’occasione abbiate affermato apertamente di ritenere inesistente il Piano Seldon.
Trevize disse lentamente: — Se l’ho detto così apertamente come dite, ed in più di un’occasione, che altre conferme vi occorrono?
— Non perdiamo tempo in cavilli, consigliere. Sapete certo che cosa voglio da voi: una franca ammissione resa con la vostra voce e le vostre impronte vocali, dalla quale risulti che al momento in cui la facevate eravate nel pieno possesso delle vostre facoltà.
— Già, perché l’uso di sostanze chimiche, di ipnosi o altro altererebbe le impronte vocali, vero?
— Sì, decisamente.
— E siete ansioso di dimostrare che non vi siate servito di metodi illegali per interrogare un consigliere: non posso biasimarvi.
— Sono lieto che non mi biasimiate, consigliere. Allora continuiamo. Avete affermato apertamente, ed in più di un’occasione, di non credere nell’esistenza del Piano Seldon. Lo ammettete?
Lentamente, scegliendo le parole, Trevize disse: — Credo che quello che chiamiamo Piano Seldon non abbia il significato che solitamente gli si attribuisce.
— Una dichiarazione vaga: vi spiace spiegarvi meglio?
— A mio avviso, l’idea generalmente accettata che cinque secoli fa Hari Seldon, grazie alla scienza matematica della Psicostoria, abbia calcolato fino all’ultimo dettaglio lo sviluppo degli avvenimenti umani e ci abbia indotto a seguire un percorso che dovrebbe portarci dal Primo Impero Galattico al Secondo Impero Galattico lungo la linea della massima probabilità, è ingenua. Non ha senso.