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E più la Fondazione era diventata importante come forza politica e commerciale, meno carismatici erano diventati i suoi governanti e i suoi condottieri. Lathan Devers era stato pressoché dimenticato: se ancora qualcuno lo ricordava era più per via della sua tragica morte nelle miniere degli schiavi che per la sua lotta, inutile ma vittoriosa, contro Bel Riose.

Quanto a Bel Riose, il più nobile fra gli avversari della Fondazione, anche lui era stato praticamente dimenticato, eclissato dal Mulo, l’unico che fosse riuscito a mandare all’aria il Piano Seldon ed a sconfiggere e governare la nazione: il Mulo era il Grande Nemico, ed in verità l’ultimo dei Grandi.

Pochi in fondo ricordavano che il Mulo fosse stato sconfitto in pratica da una sola persona, una donna, Bayta Darell, e che lei l’avesse vinto senza l’aiuto di nessuno, senza nemmeno l’aiuto del Piano Seldon. E sempre pochi ricordavano che suo figlio Toran e sua nipote Arkady Darell avessero sconfitto la Seconda Fondazione e conferito la vittoria definitiva alla Prima Fondazione.

Quei vincitori dell’epoca recente non erano più figure eroiche. I parametri moderni erano così vasti, che diventava inevitabile che anche gli eroi fossero ridotti a comuni mortali. Per di più, la biografia che Arkady aveva scritto di sua nonna riduceva Bayta da eroina a personaggio romanzesco.

Da allora non c’erano più stati eroi, e nemmeno personaggi romanzeschi. La guerra kalganiana, un conflitto non grave, era stato l’ultimo episodio di violenza scoppiato nella Fondazione, seguito da quasi due secoli di pace.

Da centoventi anni non si registrava il benché minimo incidente.

La pace era un fatto positivo, fruttuoso, Harla Branno non intendeva certo negarlo.

La Fondazione non aveva creato un Secondo Impero Galattico, dato che aveva percorso solo metà della strada prevista dal Piano Seldon, ma con la sua Federazione aveva stabilito un forte controllo economico su più di un terzo delle varie unità politiche della Galassia, ed era riuscita ad influenzare ciò che non poteva controllare.

Erano pochi i posti dove chi affermasse di appartenere alla Fondazione non fosse considerato con rispetto. In tutti i milioni di mondi abitati non c’era nessuno che avesse un grado più alto del sindaco di Terminus.

Il titolo era rimasto quello, quello del capo di una città piccola e quasi disprezzata, situata su un pianeta solitario ai margini estremi della civiltà. Dopo cinque secoli, nessuno si sarebbe mai sognato di cambiarlo o di renderlo un poco più altisonante.

Nella situazione attuale, solo il titolo per nulla dimenticato di “Maestà Imperiale” poteva rivaleggiare con esso.

Il posto dove il titolo di sindaco di Terminus contava meno era forse Terminus stesso. Lì restava ancora il ricordo degli Indbur: non era tanto la loro tirannia che la gente non aveva dimenticato, quanto il fatto che si fossero arresi al Mulo.

Così si era arrivati a lei, Harla Branno, il sindaco più tenace dall’epoca della scomparsa del Mulo (la Branno ne era perfettamente consapevole), e soltanto la quinta donna ad occupare quella carica. Solo in quel particolare giorno era riuscita ad usare apertamente i suoi poteri.

Aveva lottato per convincere gli altri delle proprie idee, aveva tenuto testa all’opposizione ostinata di quelli che anelavano all’Interno della Galassia ed alla sua aura di potere imperiale e di prestigio, ed aveva vinto.

Non è ancora il momento, aveva ammonito. Non è venuto ancora il momento di trasferirsi all’Interno. Perdereste per questo e quell’altro motivo. E Seldon alla fine aveva appoggiato le sue idee usando un linguaggio praticamente uguale al suo.

Così, agli occhi di tutta la Fondazione, Harla Branno appariva saggia quanto Seldon stesso. Tuttavia il sindaco sapeva benissimo che di quel fatto la gente si poteva dimenticare da un momento all’altro.

E in quel giorno memorabile era arrivato Golan Trevize a sfidarla. Lei sapeva che Trevize aveva ragione! Quello era il guaio. Il giovane consigliere aveva ragione, e avendo ragione poteva distruggere la Fondazione stessa.

Adesso erano loro due soli, nella stanza.

— Non potevate venire a parlarmi in privato? — disse la Branno, con tristezza. — Nel vostro stupido desiderio di prendermi in giro dovevate proprio gridare tutto quanto in piena Sala del Consiglio? Siete proprio uno sciocco ragazzo avventato.

2

Trevize si sentì arrossire e lottò per controllare la collera. Il sindaco era una donna matura che avrebbe presto compiuto sessantatré anni, e lui aveva ritegno a rispondere male ad una persona che aveva quasi il doppio della sua età.

Inoltre, lei aveva esperienza di lotte politiche e sapeva che spiazzare un avversario subito all’inizio significava avere già metà vittoria assicurata. Ma perché una simile tattica fosse efficace occorreva un pubblico, e lì non c’era alcun pubblico davanti al quale uno potesse essere umiliato.

Così Trevize fece finta di niente ed osservò con calma Harla Branno. Indossava la divisa unisex che era in voga da due generazioni e che non le donava affatto. Il capo della Galassia, se di capo si poteva parlare, era solo una vecchia scialba che avrebbe potuto benissimo essere scambiata per un uomo, se non fosse stato per i capelli grigio-ferro che portava raccolti dietro la nuca e non, come usava per gli uomini, lasciati liberi.

Trevize sfoderò il suo sorriso affascinante. Quando gli avversari di una certa età si divertivano ad usare la parola “ragazzo” come un epiteto, il “ragazzo” in questione restava sempre con un vantaggio: quello di essere giovane e bello e consapevole di esserlo.

— È vero — disse. — Ho trentadue anni e quindi, in un certo senso, sono ancora un ragazzo. Poi sono un consigliere, e quindi ex officio, una persona sciocca ed avventata. La mia età è quella che è, non posso farci niente. Quanto alla seconda faccenda, posso solo dire che mi dispiace.

— Vi rendete conto di che cos’avete combinato? Su, non state in piedi a cercar di fare lo spiritoso, sedetevi. Cominciate a ragionare sensatamente, se vi riesce, e rispondetemi di conseguenza.

— So benissimo cos’ho combinato. Ho detto quella che ritenevo e ritengo sia la verità.

— E con la vostra verità venite a provocarmi proprio in questo giorno? Il giorno in cui il mio prestigio era così alto che ho potuto scacciarvi dalla Sala del Consiglio e farvi arrestare senza che nessuno osasse intervenire?

— Il Consiglio prima o poi si riavrà dalla sorpresa e protesterà. Forse sta protestando già ora. E considerata la persecuzione di cui mi avete fatto oggetto, mi darà più ascolto.

— Ma se io, convinta che intendiate continuare ad agire come avete fatto finora, vi trattassi veramente come traditore, seguendo alla lettera la legge, nessuno vi ascolterebbe.

— Allora dovrei essere processato: potrei dire la mia in tribunale.

— Non contateci. Il sindaco ha poteri straordinari che nemmeno immaginate, anche se li usa raramente.

— Con quale pretesto li usereste?

— Inventerei una scusa plausibile. Un po’ di fantasia ce l’ho ancora, e non ho paura di correre rischi dal punto di vista politico. Non provocatemi, giovanotto. O veniamo ad un accordo, qui, o non sarete mai più libero. Starete in prigione per il resto della vostra vita, ve lo garantisco.

Si fissarono: la Branno una figura in grigio, Trevize vestito di un marrone dalle molteplici sfumature. — Che tipo di accordo? — disse lui.

— Ah, siete curioso. Così va meglio: potremo finalmente conversare, anziché litigare. Quali sono le vostre idee?

— Lo sapete benissimo. Avete bevuto tutto il fango che ha gettato su di me il consigliere Compor, no?