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L’improvvisa interruzione di quel suono fin troppo familiare dovette però svegliare Testa-Calva. Shrick lo vide muoversi, e poi agitarsi freneticamente; vide le sue mani protendersi all’infuori a sciogliere i lacci che lo tenevano fisso al suo posto mentre dormiva. E quando l’Uccisore-di-Giganti, coi piedi che cercavano freneticamente un appoggio, atterrò sul suo petto, Testa-Calva era pronto. E stava gridando a gran voce, cosicché Shrick seppe che era solo questione di pochi battiti di cuore prima che il Piccolo Gigante accorresse in suo aiuto.

Pancia-Grassa era stato colto di sorpresa; il Magro e Forte-Voce erano stati uccisi nel sonno. Ma qui non c’era più una facile vittoria per l’Uccisore-di-Giganti.

Per un po’, parve che il capo dei giganti avrebbe vinto. Infatti, quasi subito smise di urlare, lottando invece con tenace e silenziosa disperazione. Una delle sue mani riuscì, a un certo punto, ad afferrare Shrick in una morsa da schiacciare le ossa, e parve che, con questo, la battaglia fosse conclusa. Shrick poteva sentire il sangue che gli pulsava sempre più assordante in testa, mentre i bulbi oculari quasi gli schizzavano fuori dalle orbite. Gli ci volle ogni briciola di decisione da lui posseduta per non lasciar cadere la lama, mettendosi ad artigliare freneticamente il polso dell’altro, nel modo più confuso e inefficace…

Qualcosa cedette — erano le sue costole — e in quel fugace istante in cui la pressione si allentò, riuscì a torcersi, a girarsi e a colpire quel mostruoso polso irto di peli. Il sangue ne sprizzò fuori, caldo e schiumoso, e il gigante cacciò un grido stridulo. A più riprese Shrick usò la sua lama, finché divenne chiaro che il gigante non sarebbe più stato in grado di usare di nuovo quella mano.

Adesso Testa-Calva aveva una mano sola per lottare contro un avversario — almeno per quanto riguardava i suoi arti — non mutilato. Era ben vero che ogni movimento della parte superiore del corpo causava e Shrick tremende fitte di dolore al petto, ma poteva muoversi e colpire e… trucidare.

Giacché Testa-Calva s’indeboliva sempre più mentre il sangue continuava a zampillargli dalle ferite. Non era più in grado di respingere gli attacchi contro il viso e il collo. Eppure avrebbe continuato a combattere, come la sua razza aveva sempre fatto, fino all’ultimo respiro. Il suo nemico non gli avrebbe dato tregua, questo era ovvio, ma avrebbe sempre potuto ricevere aiuto dal Piccolo Gigante, facendolo accorrere dal Luogo-delle-Piccole-Luci.

Verso la fine, ricominciò a urlare.

E mentre moriva, il Piccolo Gigante entrò nella caverna.

Fu per un colpo di fortuna che l’Uccisore-di-Giganti scampò da una rapida morte per mano dell’intruso. Se il Piccolo Gigante avesse saputo quanto esigue erano le forze schierate contro di lui, sarebbe stata dura per Shrick. Ma Senza-Dita, lasciata sola coi suoi protetti, aveva finito per annoiarsi, là, nel Luogo-d’Incontro. Aveva sentito Shrick parlare delle meraviglie dell’Interno, e aveva perciò pensato che adesso avrebbe avuto la possibilità di vederle da sola.

Seguita dai suoi protetti, aveva vagato senza una meta lungo le gallerie che costeggiavano la Barriera. Non conosceva l’esatta posizione delle porte che si aprivano sull’Interno, e ciò che riusciva a vedere da qualche occasionale spioncino, qua e là, era troppo poco. Giunse infine davanti alla porta che Shrick aveva lasciata aperta quando aveva iniziato il suo attacco ai giganti addormentati. Una vivida luce entrava a fiotti da quell’apertura — una luce più viva di quante Senza-Dita ne avesse viste nella sua breve vita. L’attirò come un faro.

Non esitò. A differenza dei suoi genitori, non era cresciuta con qualcuno che le inculcava un superstizioso terrore nei confronti dei giganti. Shrick era il solo adulto che ricordava di aver mai conosciuto — e lui, parlandole dei giganti, si era vantato di averne ucciso uno in un feroce corpo a corpo. Le aveva anche garantito che, un giorno o l’altro, avrebbe ucciso tutti i giganti.

Malgrado la sua mancanza di età e di esperienza, Senza-Dita non era una sciocca. Già femmina, aveva valutato Shrick. Aveva dato per scontato che la maggior parte dei suoi discorsi fossero soltanto vanterie oziose, ma non aveva mai visto nessuna ragione per non credere alle sue storie sulla morte di Zanna-Grossa, Sterret, Tekka, Pancia-Grossa… e dell’intero Popolo.

Così fu che — temeraria nella sua ignoranza — fluttuò oltre la porta. Dietro di lei venivano i piccoli, squittendo eccitati. Anche se il Piccolo Gigante non li vide fin dal primo istante, si accorse della loro presenza a causa del gran baccano di grida e strilli.

Poteva spiegare in un solo modo ciò che i suoi occhi gli dicevano: il piano per far morire soffocato tutto il Popolo era fallito. Erano usciti dalle loro caverne e dalle gallerie per massacrare gli altri giganti, suoi compagni… e adesso stavano arrivando rinforzi freschi per liquidare lui.

Si voltò e fuggi.

Shrick raccolse tutte le sue forze e spiccò un lunghissimo balzo dalla mostruosa di Testa-Calva. Ma a metà volo una superficie dura e lucida si interpose fra lui e il gigante in fuga. Stordito, vi rimase appeso per molti battiti di cuore prima di rendersi conto che si trattava d’una porta gigantesca che gli si era chiusa in faccia. Ben sapeva, comunque, che il Piccolo Gigante non stava semplicemente cercando salvezza nella fuga, giacché, dove mai, lì dentro il mondo, poteva sperare di sfuggire alla collera del Popolo? Forse era andato a procurarsi un’arma. Oppure — e a questo pensiero Shrick si sentì ghiacciare il sangue — era andato a scatenare la morte finale predetta da Tre-Occhi? Adesso che i suoi piani avevano incominciato a fallire, Shrick ricordò la profezia nella sua interezza, non gli era più possibile ignorare quelle parti che, nella sua arroganza, non aveva trovato di suo gradimento.

E poi Senza-Dita, con un volo impacciato — poiché questi immensi spazi erano una sconvolgente novità per lei — fu al suo fianco.

«Sei ferito?» gli chiese, angosciata. «Sono così grandi!… E tu hai combattuto contro di loro».

Mentre diceva queste parole, il mondo si riempì d’un sordo ronzio. Shrick ignorò la femmina eccitata. Quel rumore poteva significare una sola cosa. Il Piccolo Gigante era tornato nel Luogo-delle-Piccole-Luci, e stava scatenando forze immense e incomprensibili che avrebbero causato la totale, irrevocabile distruzione del Popolo.

Scalciò coi piedi contro la colossale porta e filò veloce verso il basso, fino alla porta della Barriera. Protese le mani per frenare l’impatto, e cacciò un urlo quando l’urto gli trasmise al petto un’ondata di nauseante dolore. Cominciò a tossire, e quando vide il sangue che gli sprizzava fuori dalla bocca, provò una grande paura.

Senza-Dita gli comparve di nuovo accanto. «Sei ferito, stai sanguinando. Posso…»

«No!» Shrick si voltò di scatto verso di lei, ringhiando. «No! Lasciami solo!»

«Ma dove vuoi andare?»

Shrick fece una pausa. Poi: «Vado a salvare il mondo», le disse, scandendo le parole.

Assaporò l’effetto di quanto aveva detto. Lo fece sentir meglio. Lo fece sentir grande nella propria mente, perfino più grande, forse, degli stessi giganti. «Vado a salvarvi tutti».

«Ma come…»

Questo fu troppo per l’Uccisore-di-Giganti. Urlò di nuovo, ma questa volta di rabbia. Col dorso della mano sferrò un colpo alla faccia della giovane femmina.

«Tu resti qui!» le ordinò.

I giroscopi stavano ancora cantando in coro la loro silenziosa canzone, pregna d’irrefrenabile potenza, quando Shrick raggiunse la cabina di comando. Allacciato al seggiolino, il navigatore si affacendava sopra i suoi grafici e il calcolatore. Fuori dagli oblò, le stelle ruotavano lentamente, in ordinata successione.

Shrick ebbe paura.

Fino a quel momento, non aveva mai creduto del tutto all’ingarbugliata descrizione che Wesel gli aveva fatto del mondo. Ma adesso, poteva vedere coi suoi stessi occhi che la nave si stava muovendo. La meraviglia di quel fantastico spettacolo lo tenne li, immobile, finché l’orlo d’una insopportabile incandescenza comparve alla vista da oltre il bordo di uno degli oblò. Il navigatore toccò qualcosa, e d’un tratto degli schermi di vetro azzurro-scuro calarono sugli oblò, a smorzare l’accecante bagliore. Ma era sempre troppo luminoso, e l’orlo divenne molto in fretta un ovale, e poi un disco perfetto.