Fu lui che si accorse per primo dei nuovi venuti.
«Oh, Zanna-Grossa!» gridò. «Senza-Pelo ha abbandonato il suo posto!»
Ma il capo era disposto alla clemenza.
«Ha un prigioniero», dichiarò. «Una Diversa. Sarà un grande banchetto!»
«Ha paura di te», sibilò Wesel. «Sfidalo!»
«Non è una prigioniera». La voce di Senza-Pelo suonò arrogante. «È la mia nuova compagna. E tu, Lungo-Naso, vai subito alla galleria».
«Vai, Lungo-Naso. Il mio paese non deve restare incustodito. Senza-Pelo, consegna la femmina straniera alle guardie cosicché sia macellata».
Senza-Pelo sentì la propria fermezza vacillare sotto lo sguardo severo del capo. Quando due dei bravacci di Zanna Grossa si avvicinarono, allentò la stretta sul braccio di Wesel. Lei si girò verso di lui, implorante, lo sguardo colmo di disperazione.
«No, no. Ha paura di te, ti dico. Non cedergli. Insieme, potremo…»
Per colmo d’ironia, fu proprio l’intervento di Senza-Coda a capovolgere la situazione. Senza-Coda affrontò il suo compagno col disprezzo chiaramente scritto sulla sua faccia sgraziata. La sua lingua bisbetica, temuta da tutto il Nuovo Popolo e perfino dal capo, entrò fulmineamente in azione.
«Così», esclamò, «mi preferisci questa sciocca femmina Diversa. Su, consegnacela, cosicché possiamo finalmente riempire le nostre pance. In quanto a te, bello mio, la pagherai per questo insulto!»
Senza-Pelo considerò la forma storta e sgraziata di Senza-Coda, e poi quella snella e agile di Wesel. Quasi senza volerlo, dichiarò: «Wesel è la mia compagna… È una del Nuovo Popolo!»
A Zanna-Grossa mancava un vocabolario adeguato per riversare tutto il suo disprezzo su quell’insolente ribelle. Lottò per cercare le parole più forti e sferzanti, ma non ne trovò nessuna adeguata a quella situazione. I suoi piccoli occhi luccicarono rossastri, e le sue orrende zanne si snudarono in un ringhio crudele.
«Adesso!» lo sollecitò la straniera. «La sua testa è confusa. Agirà troppo precipitosamente. Il suo vivo desiderio di sbranarti e farti a pezzi oscurerà il suo giudizio. Attacca!»
Senza-Pelo balzò all’attacco con freddezza, sapendo che, se avesse tenuto la testa sgombra, senza farsi travolgere dall’emozione, avrebbe senz’altro vinto. Sollevò la lancia per arginare il primo assalto del capo infuriato. Zanna-Grossa vide appena in tempo la rozza punta e, usando la coda come un timone, guizzò di lato. Non fu abbastanza rapido, anche se la sua azione lo salvò da una morte immediata: la lancia lo colse alla spalla e si ruppe, lasciando la punta dentro la ferita. Pazzo di rabbia e di dolore, il capo si era trasformato, adesso, in un nemico, talmente pericoloso ma — allo stesso tempo — carne facile per un avversario che avesse saputo conservare il controllo di sé.
All’inizio, Senza-Pelo fu appunto un avversario di questo tipo. Ma il suo autocontrollo fece presto a cedere. Per quanto si sforzasse, non riusciva a contenere la crescente marea di paura isterica, mista a un’animalesca bramosia di sangue. Si trovò a parare i reiterati attacchi del nemico con un’arma quasi inutile, mentre Zanna-Grossa disponeva della sua efficacissima lancia dalla punta metallica. Occorse tutta la forza di volontà, a Senza-Pelo, per non cercar rifugio nella fuga, o per non gettarsi ciecamente in un corpo a corpo che gli sarebbe stato fatale, vista la maggior prestanza del capo. La ragione riuscì a farsi sentire e a dirgli che entrambe le scelte sarebbero state disastrose: la prima l’avrebbe visto braccato dalla intera tribù e certamente raggiunto e massacrato; la seconda l’avrebbe messo alla portata degli enormi denti assassini che avevano dato a Zanna-Grossa, appunto, il suo nome.
Così continuò a parare e a colpire, a parare e a colpire, fino a quando il bordo affilato dell’arma del capo non gli incise il braccio. Il dolore pungente lo trasformò in un puro animale, e con un urlo acuto di furore si scagliò a corpo morto contro l’avversario.
Ma se la natura aveva fornito a Zanna-Grossa il suo bell’armamentario offensivo, non era stata neppure avara con l’equipaggiamento difensivo del ribelle. Era vero che Senza-Pelo non era per niente eccezionale, quanto a denti e ad artigli, e che non possedeva nessuno di quegli arti supplementari così comuni fra i suoi conterranei del Nuovo Popolo. Il suo cervello poteva anche essere un po’ più agile, ma a quello stadio del combattimento ciò non contava niente. Quello che gli salvò la vita fu la sua pelle glabra.
A più riprese il capo cercò di attirarlo a una distanza tale da poterlo colpire con efficacia, ma lui sempre riuscì a schivarlo. La sua pelle scivolosa era ormai un intreccio di dozzine di graffi, alcuni dei quali assai profondi, ma nessuno di essi era grave. E durante tutto quel tempo anche lui aveva graffiato e colpito con le mani e coi piedi, mordendo e sfregiando.
Pareva che Zanna-Grossa si stesse stancando, ma anche Senza-Pelo sentiva le proprie energie farsi via via più deboli. E il capo aveva ormai imparato che era inutile tentar di agguantare il nemico per la folta pelliccia, che non aveva, bensì doveva tentare di stringerlo in un abbraccio rompi-ossa. E infine ci riuscì: Senza-Pelo fu trascinato sempre più vicino a quelle zampe bavose, sentì sulla propria faccia l’alito fetido dell’altro, seppe che era questione ormai di pochi battiti di cuore prima che la sua gola fosse squarciata… Urlò, proiettò, in alto le gambe, scalciando con estrema violenza il ventre di Zanna-Grossa. Sentì i piedi che affondavano nella carne cedevole, ma il capo grugnì e non allentò la stretta. Cosa ancora peggiore, il fallimento del contrattacco aveva condotto Senza-Pelo ancora più vicino alla morte.
Con un braccio, il destro, esercitò una disperata pressione contro il petto dell’altro. Cercò di sollevare le ginocchia per vibrare un colpo paralizzante, ma esse erano strette in una sorta di tenaglia formata dai massicci muscoli delle gambe di Zanna-Grossa. Con il braccio sinistro libero sferzò, rabbioso e disperato, ma sarebbe stato lo stesso se avesse colpito la Barriera.
Il Popolo, adesso che il risultato della battaglia era deciso stava urlando incoraggiamenti al vincitore. Senza-Pelo udì tra queste voci anche quella della sua compagna, Senza-Coda. Il piccolo angolo del suo cervello, in cui la ragione conservava ancora una punta di lucidità, gli disse che non poteva biasimarla. Se Senza-Coda avesse gridato per sostenere lui, si sarebbe potuta aspettare soltanto la morte per mano del capo trionfante. Dimenticò di averla insultata e umiliata, ricordò soltanto che era la sua compagna. E l’amarezza della cosa lo spinse a continuare a combattere là dove altri avrebbero rinunciato ad aggrapparsi a una vita già condannata.
Il taglio della sua mano calò giù con forza là dove il grosso collo di Zanna-Grossa si congiungeva con la spalla. Fu appena conscio del sussulto dell’altro, del piccolo uggiolio di dolore che era seguito a quel colpo. Poi, alta e acuta udì la voce di Weseclass="underline"
«Di nuovo! Di nuovo! È quello il suo punto debole!»
Annaspando alla cieca cercò lo stesso punto. E Zanna-Grossa aveva paura, di ciò non c’era dubbio. Torse di scatto la testa, cercando di coprire la propria vulnerabilità. Tornò a uggiolare, e Senza-Pelo seppe che la battaglia era sua. Le sue dita sottili e robuste, dalle unghie taglienti, affondarono nella carne e la straziarono. Là non c’era pelo, e la carne era tenera. Sentì il caldo sangue sgorgare sotto le sue mani. Il capo cacciò un urlo terribile, poi la sua stretta ferrea cessò d’un tratto. Prima che Zanna-Grossa potesse usare le mani o i piedi per scagliare lontano da sé Senza-Pelo, il suo nemico, questi si era girato di scatto e, ghermendo pelle e pelo con ciascuna mano, affondò i denti nel collo dell’altro. E i denti trovarono la giugulare. Quasi subito gli ultimi, disperati tentativi di lotta del capo cessarono.