Senza vergogna, Wesel stava accarezzando Shrick.
«Mio Glabro», gli disse ad alta voce, «un tempo ero accoppiata a costui. Tu avrai la sua pelliccia per coprire il tuo corpo liscio». E poi: «Grosse-Orecchie! Tu sai cosa devi fare!»
Sogghignando, Grosse-Orecchie raccolse la punta affilata d’una lancia, che si era staccata. Sogghignando, si mise al lavoro. Trillo cominciò a uggiolare, poi a urlare. Shrick si sentì un po’ male. «Fermo!» esclamò. «Non è morto. Devi prima…».
«Che importanza ha?» Gli occhi di Wesel erano avidi, e la sua piccola lingua uscì fuori a leccare le labbra sottili, piegate in un sorriso. Grosse-Orecchie aveva esitato un attimo ma poi, a un suo gesto imperioso, riprese il lavoro.
«Che importanza ha?» disse di nuovo Wesel.
Così come la tribù di Tekka, finì la tribù di Sterret, e una mano o giù di lì di comunità minori che erano in qualche modo vincolate a queste due.
Nella guerra contro Sterret, però, Shrick quasi incontrò il disastro. I pochi sopravvissuti al massacro dell’esercito di Tekka si erano rifugiati dall’astuto vecchio. Le guardie di frontiera li avevano ammazzati quasi tutti, quando infine uno o due riuscirono a convincere i loro catturatori di portar notizie di grande importanza.
Sterret li ascoltò.
Ordinò che i superstiti fossero nutriti e trattati come membri del suo Popolo, poiché si era subito reso conto che avrebbe avuto bisogno anche dell’ultima briciola di forza combattente che avrebbe potuto raccogliere intorno a sé.
A lungo e profondamente meditò sulle loro parole, e poi mandò i suoi maschi più giovani a compiere tutta una serie d’incursioni nel Luogo-della-Vita-che-Non-é-Vita. Non si curò della possibilità che i giganti li scoprissero. Forse avrebbero agito contro di lui, forse no, ma si era convinto che, malgrado le loro dimensioni, essi fossero relativamente stupidi e innocui. Certo, in quel frangente, non costituivano una minaccia paragonabile a quella di Shrick, che già si era autonominato Signore dell’Esterno.
E così, il suo magazzino di frammenti acuminanti di metallo crebbe, mentre i suoi armaioli lavoravano senza sosta per legarli solidamente ai manici fatti col materiale di cui era formata la Barriera. E anche lui era in grado d’immaginare cose nuove ed efficaci. Alcuni frammenti metallici, ad esempio, erano inutili come punte di lancia, essendo tozzi, smussati e irregolari. Ma, legati anch’essi all’estremità di un’asta, consentivano di sferrare colpi di estrema violenza, in grado di schiantare ossa e maciullare teste. Di ciò Sterret si sentiva sicuro dopo qualche esperimento compiuto su alcuni membri vecchi e indesiderati della tribù.
Cosa forse ancora più importante, la sua mente, ricca d’esperienza, ma non priva, ancora, d’un giovanile vigore, si diede da fare coi problemi strategici. Nella galleria principale, in un tratto che aveva fatto parte del paese di Tekka, le sue femmine tagliarono e strapparono via grossi pezzi dalle pareti spugnose, e il materiale così rimosso fu pressato dentro un’altra galleria più piccola che veniva usata assai di rado.
Alla fine, i suoi esploratori portarono la notizia che le forze di Shrick erano in movimento. Incurante, perché convinto del peso schiacciante della sua forza militare, Shrick disdegnava ogni soluzione che non comportasse un attacco frontale. Forse avrebbe dovuto esser messo sul chi vive dal fatto che tutti gli orifizi che avevano fatto trasparire la luce dall’Interno erano stati tappati, e la galleria lungo la quale stava avanzando era immersa nell’oscurità più totale.
Tuttavia, ciò l’ostacolava assai poco. Il corpo di lancieri scelti che avanzò per primo a contrastarlo, combatteva in maniera convenzionale: furono inesorabilmente respinti, lasciando dietro di sé morti e feriti. Ognuna delle due parti si affidava, molto più che alla vista, all’odore e all’udito e a una sorta di percezione extrasensoriale posseduta da molti, se non da tutti, i membri del Popolo. E a distanza ravvicinata, ciò era più che sufficiente.
Shrick non era fra quelli dell’avanguardia — quell’onore era stato riservato a Grosse-Orecchie, il suo generale sul campo. Se fosse toccato a lui decidere, si sarebbe trovato in prima linea, ma Wesel asseriva che il capo era molto più importante di un semplice lanciere, e doveva venir protetto da inutili rischi. Shrick era stato più che disposto a lasciarsi convincere.
Circondato dalla sua guardia, con Wesel al fianco, il capo seguiva a distanza le fasi della fragorosa battaglia. Fu piuttosto sorpreso, quando gli fu riferito il numero apparente dei nemici, ma suppose che quella fosse soltanto un’azione per guadagnar tempo e che Sterret avrebbe opposto la sua ultima resistenza nel Luogo-d’Incontro. Nella sua arroganza, non gli venne mai in mente che anche altri, come lui, potessero portare innovazioni alla guerra.
D’un tratto, Wesel gli strinse il braccio.
«Shrick! Pericolo… dal fianco!»
«Dal fianco? Ma…».
Vi fu uno strillo acuto, e un’enorme sezione della galleria crollò verso l’interno. Quel materiale spugnoso era in fogli sottili, e galleggiò in mezzo alle guardie, ostacolandone i movimenti. Poi, guidati da Sterret in persona, i difensori sciamarono fuori. Come montanari, erano legati insieme da corde, poiché in quel combattimento al buio la loro migliore speranza era quella di mantenere uno schieramento ordinato e compatto. Separati, sarebbero facilmente caduti preda del numero straripante dell’orda di Shrick.
Con lance e mazze colpivano tutt’intorno a sé, gagliardamente. Già al primo battito di cuore quello scontro avrebbe visto la morte di Shrick, e fu soltanto la pelliccia non lavorata di Trillo, rigida e puzzolente di sangue rappreso, che gli salvò la vita. Ma anche così, la lama di Sterret penetrò in quella rozza armatura e, ferito in modo assai doloroso, Shrick si ritirò vacillando dalla battaglia.
In testa allo schieramento, Grosse-Orecchie vedeva le cose prendere una piega del tutto diversa da quella da lui desiderata. I rinforzi di Sterret si erano ormai riversati in tutta la galleria, e lui non osò tornare indietro a dar man forte al suo capo. E le mazze di Sterret stavano avendo il loro effetto. Sfregi, graffi e lacerazioni, quelli il Popolo riusciva a capirli… ma un colpo schiantante era qualcosa di nuovo e orribile.
Fu Wesel a salvare quella giornata campale. Aveva portato con sé il congegno che creava la piccola fiamma. Era stata sua intenzione provarne gli effetti su quei pochi prigionieri che si sarebbero fatti in quella guerra… era troppo astuta per sperimentare su qualcuno del Nuovo Popolo, gente, ad esempio, che avesse provocato lo scontento suo o del suo compagno.
Quasi senza sapere ciò che stava facendo, premette la levetta.
Con abbacinante repentinità, la scena della carneficina comparve vividamente illuminata agli occhi di tutti. Da ogni parte si levarono grida di paura.
«Indietro!» gridò Wesel. «Indietro! Liberate lo spazio!»
La gente del Nuovo Popolo si ritirò prontamente.
Sbattendo gli occhi, abbagliati, i soldati di Sterret tentarono di seguirli, sforzandosi di trasformare quella che era più o meno una ritirata in bell’ordine in una rotta catastrofica. Ma le corde, che fino a poco prima erano egregiamente servite, ora si rivelarono un motivo di disfatta. Alcuni cercarono d’inseguire i nemici diretti al Luogo-d’Incontro, altri la gente del Nuovo Popolo che si stava ritirando verso il proprio territorio.
Ringhiando ferocemente, il sangue che gli scorreva fuori da una dozzina di ferite superficiali, Sterret riuscì infine a recuperare il controllo delle sue forze e a spronarle, restituendo loro una parvenza di ordine. Cercò di guidare una carica proprio là dove Wesel, col congegno della piccola fiamma ancora in funzione, stava retrocedendo, circondata dalle amazzoni che erano la sua guardia personale.
Ma ancora una volta le corde — quelle corde troppo efficienti — frustrarono il suo scopo. Non pochi, infatti, erano i cadaveri rimasti appesi alle corde, che ostacolavano qualunque rapida manovra, e quasi nessuno dei suoi combattenti ebbe l’intelligenza di liberarsi dall’impaccio tagliando la corda che lo legava agli altri.