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Claghorn osservò tutti quei visi e scosse il capo.

— Per ora non vi dirò niente perché non è una cosa fattibile. Voglio comunque sottolineare che a Castel Hagedorn niente sarà più come prima, anche se riusciamo a resistere all’attacco dei Mek.

— Secondo me stiamo già perdendo la nostra dignità accettando di parlare di quelle bestie — commentò Beaudry.

Xanten si mosse.

— È vero, l’argomento è nauseante, ma tenete a mente che Halcyon e Delora sono già stati distrutti e chi sa quanti altri castelli si trovano nelle stesse condizioni. Non facciamo gli struzzi! I Mek non spariranno solo perché noi li ignoriamo!

— E comunque — disse O.Z. Garr — siamo al sicuro, come Janeil. Per quanto riguarda gli altri, farebbero bene a venire qui, se non sono stati ancora uccisi e se riescono a sopportare la vergogna della fuga. Personalmente credo che entro breve tempo i Mek si prostreranno ai nostri piedi implorandoci di riprenderli con noi.

Hagedorn scosse tristemente la testa.

— Faccio molta fatica a crederci, comunque per il momento la seduta è chiusa.

VIII

Tra le innumerevoli apparecchiature elettriche e meccaniche del castello la prima a guastarsi fu il sistema delle radiocomunicazioni. Il fatto avvenne così presto e fu tanto grave che alcuni teorici, specialmente I.K. Harde e Uegus, ipotizzarono che si trattasse di un sabotaggio messo in opera dai Mek prima di andarsene. Ci fu chi fece notare che rimpianto non aveva mai funzionato bene e che gli stessi Mek lo avevano dovuto riparare più volte. Il guasto, secondo costoro, non sarebbe stato altro che la conseguenza di una fabbricazione difettosa. I.K. Harde e Uegus ispezionarono l’apparecchiatura ma non riuscirono a scovarne la causa. Dopo essere stati a consulto per mezz’ora decisero che per rimettere in funzione la radio si sarebbe dovuto ridisegnarla, rimontarla e costruire i pezzi ex novo.

— Non possiamo farlo — affermò Uegus davanti al Consiglio. — Persino l’impianto più banale richiederebbe anni e anni di lavoro, senza contare che non abbiamo neanche un tecnico a disposizione. Bisogna aspettare di avere almeno la manodopera qualificata.

— Guardando le cose in prospettiva — commentò Isseth, il più anziano tra i capi clan — bisogna ammettere che noi non siamo abbastanza previdenti. Abbiamo giudicato volgari gli uomini dei Mondi Patrii trascurando i rapporti con loro. Avremmo fatto meglio a mantenere i collegamenti interplanetari, invece!

— Non è stato per mancanza di previdenza che abbiamo rotto i rapporti — precisò Claghorn. — Lo abbiamo fatto solo perché i primi signori non volevano che la Terra fosse invasa dagli arrivisti dei Mondi Patrii, non per altro.

Isseth stava per replicare quando Hagedorn si intromise.

— Purtroppo, però, Xanten ha detto che le astronavi sono fuori uso e nonostante alcuni di noi abbiano approfondite conoscenze teoriche, nessuno sarebbe in grado di fare materialmente il lavoro anche con la disponibilità delle astronavi.

— Con sei plotoni di Contadini a mia disposizione e sei energovagoni dotati di cannoni ad alta energia riconquisto io le rimesse! — esclamò O.Z. Garr. — Non è difficile!

— Per lo meno è un punto di partenza — commentò Beaudry. — Parteciperò all’addestramento dei Contadini e sebbene non abbia la minima esperienza in fatto di cannoni, sarò a disposizione per qualsiasi consiglio.

Hagedorn si guardò in giro corrugando la fronte e tormentandosi il mento.

— Sì, ma ci sono dei problemi. Per prima cosa disponiamo solo dell’energovagone portato da Xanten. In secondo luogo chi sa dirmi in che condizioni sono i cannoni a energia? Erano nelle mani dei Mek e nessuno li ha più ispezionati, dopo: potrebbero essere stati sabotati anche loro. O.Z. Garr, voi che avete fama di grande esperto in questioni di teoria militare, cosa ci potete dire al riguardo?

— Non è ancora stata fatta nessuna ispezione — ammise O.Z. Garr. — La Parata delle Antiche Cotte d’Armi ci occuperà tutta la giornata, fino al tramonto — consultò l’orologio. — Sarebbe meglio riprendere il discorso quando sarò meglio informato sullo stato dei cannoni.

Hagedorn chinò il capo massiccio in segno di consenso.

— Si sta davvero facendo tardi. Oggi avremo la possibilità di ammirare le vostre Phane?

— Solo due — rispose O.Z. Garr. — Lapislazzula e Undicesimo Mistero. Sono ciò che di più adatto ho trovato per le Delizie del Velo e per la mia piccola Fatina Azzurra. Gloriana, invece, non è ancora pronta. Al centro dell’attenzione oggi saranno invece le Variflore di B.Z. Maxelwane.

— È vero — ammise Hagedorn. — Ne ho già sentito parlare. Allora la seduta è aggiornata a domani. Claghorn, avete qualcosa da dire?

— A dire il vero sì — confessò Claghorn in tono tranquillo. — Il tempo a disposizione è molto limitato e dovremmo approfittarne. Dubito molto dell’efficienza di un esercito di Contadini. Contro i Mek saranno come conigli contro lupi, mentre noi avremmo bisogno di pantere.

— Vero — rispose Hagedorn vago — è verissimo.

— E dove potremmo trovare delle pantere? — Claghorn si volse intorno con aria interrogativa. — Nessuno lo sa? È un peccato, ma se non abbiamo pantere dobbiamo accontentarci dei conigli. Mettiamoci subito all’opera per trasformarli a loro volta in pantere e rimandiamo tutti i festeggiamenti e gli spettacoli a quando il futuro ci apparirà più sereno.

Hagedorn corrugò la fronte e fece per parlare ma si fermò. Fissò Claghorn per cercare di capire se aveva parlato sul serio o se aveva scherzato, quindi si guardò intorno.

Beaudry scoppiò in una risata alquanto stonata.

— Sembra che il colto Claghorn sia caduto in preda al panico.

— A essere sinceri, mi sembra al di là della nostra dignità lasciare che l’impertinenza dei nostri servi ci crei tanto scompiglio. Il solo pensarci mi imbarazza — commentò O.Z. Garr.

— A me invece non imbarazza per niente — lo rimbeccò Claghorn pieno di quella compiacenza che tanto indispettiva O.Z. Garr. — E non vedo il motivo per cui vi debba disturbare. Le nostre vite sono in grave pericolo e mi sembra che in tale frangente l’imbarazzo passi in secondo piano.

O.Z. Garr, alzatosi, salutò bruscamente Claghorn, quasi a rivolgergli un affronto. Quello, alzatosi a sua volta, lo ricambiò nello stesso modo, tingendo di ridicolo l’insulto dell’altro. Xanten, che odiava Garr, scoppiò in una forte risata.

O.Z. Garr ebbe un attimo di esitazione. Poi, resosi conto che eccedere in quella situazione sarebbe stato scorretto, se ne andò.

IX

La Parata delle Antiche Cotte d’Armi, l’annuale sfilata delle Phane in abiti sontuosi, aveva luogo sulla Grande Rotonda, nella parte a Nord della piazza centrale. Metà circa dei nobiluomini e un quarto delle dame teneva abitualmente delle Phane. Creature provenienti dalle caverne della luna di Albireo Sette, erano una razza docile, lieta e affettuosa. Con migliaia di anni di riproduzione controllata erano diventate sifilidi di provocante bellezza. Circondate da una garza che usciva dai pori posti dietro le orecchie, sulle braccia e sulla schiena, erano completamente inoffensive, desiderose di piacere e ingenuamente vanitose. Molti uomini le trattavano affettuosamente, ma talvolta capitava di sentire che una dama aveva bagnato di ammoniaca una Phane particolarmente odiata. L’ammoniaca rendeva opaca la sua pelliccia e impediva la riproduzione della garza.

Un nobile invaghito di una Phane veniva messo in ridicolo. Le Phane, nonostante il loro aspetto prettamente femminile, se usate sessualmente si sgualcivano e le loro garze si scolorivano, per cui si capiva subito tutto. Da questo punto di vista le dame dei castelli vantavano la loro superiorità, e lo facevano con tale provocazione che di fronte a loro le Phane sembravano le più ingenue creature del mondo. La loro vita durava circa una trentina d’anni. Durante l’ultimo decennio della loro esistenza, una volta persa la bellezza, si sprofondavano in mantelli di garza grigia e si dedicavano alle mansioni più umili negli spogliatoi, nelle cucine, nelle dispense e nelle camere dei bambini.