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— Di Halcyon non è rimasto niente. I Contadini sono stati gettati in una fossa.

— Taung, silenzio totale.

— Luce del Mattino: morte.

XII

Tre giorni dopo Xanten si sedette su una portantina e ordinò agli Uccelli di fargli fare un giro intorno al castello e poi di dirigersi verso Sud, verso la Valle Lontana.

Gli Uccelli, con le usuali lamentele, si mossero lungo la terrazza con movimenti sgraziati che minacciavano di far cadere il passeggero sulla massicciata. Finalmente presero il volo formando una spirale: Castel Hagedorn divenne una piccola miniatura nella quale i singoli palazzi restavano riconoscibili in virtù delle torrette e della linea del tetto con il lungo orifiamma svolazzante.

Gli Uccelli nel volo sfiorarono i picchi e i pini della Catena Settentrionale, quindi, piegandosi obliquamente, si diressero verso la Valle Lontana.

Xanten e gli Uccelli sorvolarono gli incantevoli possedimenti di Hagedorn: orti, campi, vigne, villaggi. Oltrepassarono il lago Maude con i suoi padiglioni e i suoi moli, i prati dove pascolavano le pecore e le mucche e infine giunsero nella Valle Lontana, negli estremi territori del castello.

Xanten fece vedere agli Uccelli il punto in cui desiderava atterrare. Questi obbedirono incolleriti: avrebbero preferito un posto più vicino al villaggio, dal quale osservare tutto quello che succedeva, così deposero a terra il loro passeggero tanto bruscamente che se non fosse stato pronto a scattare sarebbe finito a rotoloni sul terreno.

Non fu un atterraggio molto elegante, ma almeno mantenne l’equilibrio.

— Aspettatemi qui! — ordinò. — Non allontanatevi e non fate scherzi con le cinghie. Quando tornerò voglio vedere sei Uccelli tranquilli, in formazione e con le cinghie non aggrovigliate. E non litigate, mi raccomando! E non mettetevi in mostra! Fate quello che vi ho detto!

Gli Uccelli si scocciarono, riottosi, pestarono le zampe e piegarono il collo lanciando degli impercettibili insulti all’indirizzo di Xanten, che dopo aver lanciato loro un ultimo sguardo ammonitore si diresse verso il villaggio.

Le more dei vigneti erano mature e parecchie ragazze ne stavano riempiendo dei canestri. Tra quelle Xanten vide anche la fanciulla desiderata da O.Z. Garr. Quando le passò davanti si fermò per salutarla cortesemente.

— Se non ricordo male ci siamo già visti.

La ragazza gli rivolse un sorriso capriccioso e malinconico insieme.

— Ricordate benissimo. Ci siamo conosciuti ad Hagedorn, quando ero stata fatta prigioniera. E siete stato proprio voi a portarmi qui, anche se non vi avevo potuto vedere in faccia. — Gli tese il canestro. — Avete fame? Volete mangiare qualcosa?

Xanten prese una manciata di more. Venne a sapere che la ragazza si chiamava Glys Meadowesweet. Non si sapeva chi fossero i suoi genitori, ma quasi sicuramente appartenevano a una famiglia gentilizia di Castel Hagedorn che aveva avuto più nascite di quelle permesse dalle leggi. Xanten la guardò con attenzione ma non riuscì a trovare nessuna somiglianza.

— Magari venite da Castel Delora. Le uniche persone alle quali mi sembra che assomigliate sono i Cosanza di Delora… famosi per la bellezza delle loro donne.

— Siete sposato? — chiese la ragazza con semplicità.

— No — rispose Xanten, che aveva sciolto il suo legame con Araminta proprio il giorno innanzi — e voi?

La fanciulla scosse il capo.

— Se lo fossi, non mi troverei qua a raccogliere le more: questa incombenza spetta alle ragazze… Perché siete venuto fin qui?

— Per due motivi. Il primo è che volevo rivedervi. — Xanten si sorprese da solo a proferire quelle parole e la sua sorpresa fu ancora più grande quando si rese conto che era la verità. — Non abbiamo mai potuto parlare a lungo e mi domandavo se il vostro carattere rispecchia la vostra bellezza.

La ragazza alzò le spalle in un gesto che Xanten non riuscì a interpretare. A volte, i complimenti generavano delle spiacevoli circostanze.

— Lasciamo perdere. Il secondo motivo per cui sono venuto è che desidero parlare con Claghorn.

— È laggiù — lo informò Glys con una voce quasi fredda e allungando il braccio per indicargli la direzione. — Vive in quella casetta. — E ritornò al suo lavoro. Xanten fece un inchino e si incamminò verso il piccolo edificio.

Claghorn portava dei pantaloni grigi fatti a mano che gli arrivavano al ginocchio. Stava tagliando delle fascine per la stufa con un’ascia. Quando vide l’amico si fermò, si appoggiò all’ascia e si deterse il sudore dalla fronte.

— Xanten! Sono contento di vedervi. Come vanno le cose a Castel Hagedorn?

— Al solito, non c’è molto di nuovo da raccontare, anche se sono venuto proprio per darvi alcune notizie.

— Cosa? cosa? — Claghorn fece pressione sul manico dell’ascia fissando l’altro con i vivaci occhi azzurri.

— Durante il nostro ultimo incontro — gli rammentò Xanten — avevo accettato di interrogare il prigioniero. Mi è spiaciuto tantissimo che voi non foste presente, perché avreste potuto sciogliere molte delle ambiguità presenti nelle sue risposte.

— Dite — lo invitò Claghorn — forse potrò farlo ora.

— Alla fine della riunione sono andato subito nel magazzino dove il Mek era stato rinchiuso. Non aveva niente da mangiare. Gli ho offerto dello sciroppo e dell’acqua e lui ne ha bevuti alcuni sorsi, quindi ha chiesto dei molluschi tritati. Ho dato disposizioni agli sguatteri della cucina e il Mek ne ha ingoiati alcuni litri. Come sa già, si trattava di un Mek particolare, alto come me e privo del sacco dello sciroppo. L’ho portato in un altro locale, un magazzino pieno di mobili, e gli ho ordinato di sedersi.

«Ci siamo guardati a vicenda. Le antenne che gli avevo reciso stavano ricrescendo e forse era già in grado di ricevere i messaggi dei suoi compagni. Sembrava un essere superiore, non era ossequioso né rispettoso e rispondeva senza esitare alle mie domande.

«Innanzitutto gli ho detto che i nobili dei castelli erano rimasti stupefatti dalla loro ribellione, perché erano convinti che la vita dei Mek fosse soddisfacente: si erano forse sbagliati?

«Sono del tutto sicuro che mi abbia risposto: “Evidentemente”, anche se non avrei mai creduto che un Mek potesse usare un tono tanto asciutto e sarcastico.

«A questo punto gli ho domandato spiegazioni e la sua risposta mi ha a dir poco sbalordito. “Eravamo stanchi di affaticarci per voi, desideravamo condurre la nostra vita secondo i nostri principi tradizionali” mi ha detto. Non sapevo che avessero dei principi, tantomeno “tradizionali”.»

Claghorn fece un cenno d’assenso.

— Anch’io sono rimasto sorpreso dalla vastità della loro mentalità.

— Per quale motivo uccidere? per quale motivo distruggere la nostra vita per arricchire la loro, gli ho chiesto. Non appena formulate queste domande mi sono reso conto che avevo sbagliato tono e credo che anche lui se ne sia accorto. Comunque, la sua risposta è stata immediata: dovevano muoversi in fretta a causa del nostro protocollo. Avrebbero potuto andarsene su Etamin Nove, ma hanno preferito la Terra e hanno intenzione di impadronirsene completamente, creando le loro scivolovie, le vasche e le rampe.

«Fin qui mi sembrava tutto abbastanza chiaro, ma ho capito che dietro c’era molto di più e così ho replicato che per ottenere questo non era necessario distruggere tutto. Più semplicemente avrebbero potuto spostarsi altrove, e nessuno li avrebbe infastiditi. Secondo lui una situazione di questo tipo non era fattibile, perché un mondo è troppo piccolo per due razze in competizione e noi avremmo finito per rispedirli su Etamin Nove.

«Ho ribadito che tutto questo era semplicemente ridicolo e che io non ero pazzo, ma lui ha insistito nel dire che uno dei due contendenti per la carica di Hagedorn lo aveva promesso se fosse stato eletto.