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All’improvviso si udirono delle grida dai bastioni.

— I Mek! Stanno invadendo il castello! Vengono dai passaggi più bassi! Attaccateli! Aiuto!

Gli uomini nella valle sollevarono gli occhi costernati e videro le porte del castello sul punto di chiudersi.

— Ma com’è possibile? — esclamò Hagedorn — eppure mi era sembrato che fossero entrati tutti nelle gallerie!

— E invece è tutto chiaro — spiegò Xanten amaramente. — Mentre minavano la base del picco sono arrivati fino ai livelli più bassi.

Hagedorn fece qualche passo in avanti, come se volesse attaccare da solo, poi si arrestò.

— Dobbiamo respingerli! Non possiamo lasciare che saccheggino il castello!

— E invece… — disse Claghorn — le mura ci impediscono di entrare, come lo impedivano ai Mek.

— Potremmo servirci degli Uccelli e non appena rafforzata la nostra posizione scacciarli e sterminarli.

Claghorn fece un cenno di diniego.

— Potrebbero aspettarci sulla terrazza di lancio e sui bastioni e abbattere gli Uccelli appena si avvicinano. Anche se riuscissimo ad atterrare, lo spargimento di sangue sarebbe immenso e per ogni loro morto ci sarebbe un caduto tra di noi… e i Mek sono molto più numerosi.

Hagedorn gemette.

— Il solo pensiero di quelle bestie che toccano le mie cose e si pavoneggiano con i miei vestiti mi fa venire la nausea!

— Ascoltatemi! — esclamò Claghorn mentre dall’alto si udivano le urla degli uomini e il crepitio dei cannoni a energia. — Alcuni stanno opponendo resistenza sui bastioni!

Xanten si avvicinò di corsa a un gruppo di Uccelli che, una volta tanto, se ne stavano in silenzio, impauriti.

— Portatemi sopra il castello, fuori tiro ma in modo che io possa vedere cosa succede.

— Stai attento — gracchiò uno degli Uccelli. — Lassù stanno succedendo cose orribili.

— Non vi preoccupate, portatemi sopra i bastioni!

Gli Uccelli lo sollevarono e si alzarono in cerchio sopra il picco del castello, a debita distanza per evitare le pallottole dei Mek. Vicino ai cannoni ancora in funzione si vedeva una trentina di persone, uomini e donne. I Mek erano ovunque, fra i Grandi Palazzi, nella Rotonda, in qualsiasi luogo non raggiungibile dai colpi dei cannoni. La piazza era colma di cadaveri: nobili, dame, ragazzi… tutti quelli che avevano deciso di rimanere al castello.

Di fianco a uno dei cannoni stava O.Z. Garr. Non appena vide Xanten gli puntò contro l’arma con un urlo isterico e sparò. Gli Uccelli gridarono e tentarono di allontanarsi, ma due vennero colpiti. Xanten e il carro precipitarono in un grande groviglio. Fortunosamente i quattro Uccelli superstiti riuscirono a recuperare l’equilibrio quando ormai mancavano solo una trentina di metri all’impatto con il terreno, riuscendo ad attutire il colpo. Xanten si liberò da quel groviglio barcollando e parecchi uomini gli corsero incontro.

— Siete salvo? — urlò Claghorn.

— Sì, e anche spaventato. — Xanten emise un profondo respiro e si sedette su uno spuntone roccioso.

— Cosa sta accadendo lassù? — domandò Claghorn.

— Sono morti tutti, tranne una dozzina. Garr è impazzito e mi ha sparato addosso. — riferì Zanten.

— Guardate! I Mek sono arrivati sui bastioni! — urlò A.L. Morgan.

— Là! — gridò un’altro. — Quegli uomini! Si buttano… no, li buttano giù!

Alcuni di loro erano uomini, altri Mek che gli uomini si erano tirati dietro. Precipitarono spaventosamente adagio e si sfracellarono al suolo. Poi non avvenne più nulla. Il castello era nelle mani dei Mek.

Xanten osservò quei contorni. Gli erano tanto familiari ma anche tanto estranei.

— Non credo che ce la faremo a resistere, ma se distruggiamo le celle solari non potranno più sintetizzare lo sciroppo.

— Facciamolo immediatamente — propose Claghorn, — prima che i Mek prendano i cannoni. Uccelli!

Diede gli ordini e quaranta Uccelli si alzarono in volo trasportando ciascuno una pietra più grande della testa di un uomo. Aggirarono il castello e tornarono annunciando la distruzione delle celle solari.

— A questo punto non dobbiamo fare altro che chiudere gli ingressi delle gallerie per impedirgli di coglierci alla sprovvista, e aspettare — disse Xanten.

— E i Contadini?… E le Phane? — domandò Hagedorn con voce straziata.

Xanten scrollò la testa, adagio.

— Chi non è ancora Espiazionista dovrà convertirsi.

Claghorn mormorò: — I Mek possono tirare avanti due mesi, non di più.

Ma i due mesi trascorsero, e anche il terzo, e il quarto. Infine, un mattino si aprirono le grandi porte e un Mek sparuto ne uscì. — Stiamo morendo di fame — comunicò. — Abbiamo lasciato intatti i vostri tesori. Prometteteci che avremo salva la vita altrimenti distruggeremo tutto prima di morire.

— Ascoltate le nostre condizioni — disse Claghorn. — Vi lasceremo vivere se ripulirete il castello e seppellirete i morti. Dovrete riparare le astronavi e insegnarci a usarle, quindi sarete trasferiti su Etamin Nove.

XIX

Cinque anni dopo, Xanten e Glys si recarono a Nord insieme ai loro due figli e ne approfittarono per fare un giro a Castel Hagedorn, adesso abitato solo da poche dozzine di persone tra le quali lo stesso Hagedorn.

Era invecchiato, pensò Xanten non appena lo vide. I suoi capelli erano diventati bianchi e il suo viso un tempo cordiale era scarno e quasi cereo. Xanten non riuscì a capire i suoi sentimenti.

Si erano seduti all’ombra di un immenso castagno ai piedi del picco.

— Adesso il castello è diventato un grande museo — lo informò Hagedorn — e io ne sono il custode. Sarà questo, d’ora innanzi, il compito degli Hagedorn, perché il tesoro da guardare è inestimabile. C’è già aria di antichità in questi luoghi. I palazzi sono abitati da fantasmi che si fanno vedere spesso, anche da me, specialmente nelle notti di festa… bei tempi quelli, vero?

— Sì — ammise Xanten, sfiorando il capo dei suoi due bambini — ma non ci tornerei. Adesso siamo veramente uomini e questo è davvero il nostro mondo.

Hagedorn fece un cenno d’assenso, sebbene a malincuore, e sollevò gli occhi verso i palazzi, come se li vedesse per la prima volta.

— I posteri… chissà cosa penseranno di Castel Hagedorn e dei suoi tesori, delle sue cotte d’armi…?

— Verranno e si meraviglieranno — disse Xanten — come sto facendo io oggi.

— Ci sono tante cose dentro che stupiscono. Volete entrare, Xanten? Sono rimaste ancora delle fiasche di essenze squisite.

— Grazie, no. Troppe cose mi tornerebbero in mente. Procederemo verso la nostra meta, e subito.

Hagedorn annuì tristemente.

— Vi capisco. Anch’io spesso fantastico e torno con la mente a quei giorni. Bene, allora. Addio, e che il vostro sia un felice rientro.

— Sarà così, Hagedorn, grazie.