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— C’è uno che vuole un passaggio. È pesante!

— Perché non fai spuntare le ali dai piedi?

— Non fidarti mai di un Uccello! Ti porteremo in alto nel cielo e poi ti faremo precipitare!

— Zitti! — urlò Xanten. — Voglio sei uccelli veloci e silenziosi per affidargli una missione della massima importanza. Qualcuno se la sente di assumersi tale incarico?

— Domanda se qualcuno è capace di farlo!

— Un ros ros! Ma se nessuno di noi vola da una settimana!

— Zitti noi? Sarai tu a dover stare zitto, giallo e nero!

— E allora vieni tu, sì, tu con quegli occhi tanto da furbetto. E poi tu, con la spalla piegata, e tu, con il pompon verde. Al canestro.

I prescelti si lasciarono colmare i sacchi di sciroppo dai Contadini coprendoli di frasi sarcastiche e insulti, quindi svolazzarono fino alla portantina di vimini nella quale aspettava Xanten.

— Andiamo al deposito spaziale di Vincenne. Dobbiamo cercare di capire se hanno danneggiato le astronavi.

— Al deposito, allora!

Gli Uccelli afferrarono le corde dell’intelaiatura e la portantina si sollevò con un brusco strattone provocato apposta per far sobbalzare Xanten. Gli uccelli presero il volo ridendo, accusandosi a vicenda di non fare abbastanza per sostenere il peso… infine si adattarono a quell’incarico e iniziarono a volare sbattendo le ali contemporaneamente. La loro garrulità diminuì, con grande sollievo di Xanten, e si diressero verso Sud viaggiando a ottanta-novanta chilometri l’ora. La giornata stava per finire e la campagna, teatro di andirivieni, trionfi e sventure, era coperta da lunghe ombre nere. Guardandola, Xanten rifletté che nonostante la Terra fosse la patria dell’uomo e nonostante i suoi predecessori più vicini avessero cercato di mantenerla immutata, essa appariva ancora estranea.

Il motivo di quello, comunque, non era affatto un mistero. Dopo la Guerra delle Sei Stelle, gli uomini erano rimasti lontani dalla Terra per tremila anni, fatta eccezione per un pugno di disgraziati derelitti che non si sa come erano sopravvissuti al cataclisma diventando dei Nomadi semibarbari. Settecento anni prima, alcuni nobili di Altair, sulla scia di delusioni politiche e spinti dal capriccio, avevano deciso di tornare e avevano in tal modo dato origine alle nove grandi fortezze nelle quali vennero a vivere le loro famiglie gentilizie e alcuni andromorfi specializzati… Xanten vide alcuni scavi che avevano riportato alla luce una piazza lastricata di bianco, un obelisco spezzato, una statua abbattuta… Per una strana associazione di idee quelle immagini spinsero Xanten a fantasticare tanto che si ritrovò a guardare quella terra un tempo così grande con occhi nuovi. Vide i Nomadi respinti nelle zone selvagge e ovunque campi coltivati dagli uomini.

Ma proprio in quel frangente una visione del genere era assurda e Xanten, seguendo con lo sguardo i molli contorni della Vecchia Terra si soffermò a pensare alla rivolta dei Mek, che aveva cambiato tanto e tanto rapidamente la sua vita.

Era molto che Claghorn li metteva in guardia sulla caducità di ogni situazione, sostenendo che quanto più le circostanze erano complicate, tanto più in fretta erano suscettibili di cambiamento. Se era vero, i settecento anni di vita di Castel Hagedorn, vita stravagante e complessa, erano già di per sé una cosa stupefacente. Claghorn era andato ancora oltre e affermava che essendo il mutamento inevitabile i nobili dovevano attutirlo e prevederlo controllando i cambiamenti. Questa teoria era stata violentemente avversata. I conservatori accusavano le idee di Claghorn di fallacia e le confutavano mostrando la stabilità della vita del castello. Xanten aveva dato ragione prima agli uni, poi agli altri, senza lasciarsi però coinvolgere troppo nella diatriba. Per reazione al conservatorismo di Garr aveva abbracciato le teorie di Claghorn, e ora gli eventi gli stavano dando ragione. Il cambiamento era arrivato improvviso e violento.

Erano ancora molte le domande che non avevano avuto una risposta. Per quale motivo i Mek avevano scelto quel momento per mettere in atto la loro rivolta? La situazione era stagnante da ben cinquecento anni e mai i Mek avevano dato anche il minimo segno di insofferenza. A dire il vero non avevano mai manifestato i loro veri sentimenti e nessuno si era mai preoccupato di conoscerli, tranne Claghorn.

Gli Uccelli stavano deviando verso Est, in modo da evitare le Montagne di Ballarat, oltre le quali si estendevano le rovine di una grande città non ancora identificata. Là si allargava la valle di Lucerne, una volta fertile e coltivata. Guardandola attentamente si potevano ancora vedere i confini delle diverse tenute. Più oltre si intravvedevano le rimesse delle astronavi, nelle quali i tecnici Mek mantenevano in perfetta efficienza quattro navi, comune possesso di Hagedorn, Janeil, Tuang, Luce del Mattino e Maraval. Per diversi motivi ultimamente non erano mai state usate.

Il sole era al tramonto e la sua luce arancione faceva scintillare e lampeggiare le pareti metalliche. Xanten urlò degli ordini agli Uccelli.

— Abbassatevi in cerchio e atterrate dietro quegli alberi, senza farvi vedere.

Gli Uccelli compirono un’ampia curva con le loro ali rigide e perdendo quota si protesero verso terra con il collo sgraziato. Xanten era pronto all’impatto con la terra: pareva che quelle bestie non riuscissero mai ad atterrare dolcemente quando avevano la responsabilità di un nobiluomo. Quando invece trasportavano qualcosa di personale sapevano toccare terra con tanta delicatezza da non far vibrare neanche la lanugine dei denti-di-leone.

Xanten riuscì a mantenere l’equilibrio contro ogni aspettativa degli Uccelli.

— Bevete pure il vostro sciroppo, riposatevi, ma senza far rumore e senza litigare — li ammonì. — Se per domani sera non sarò di ritorno andatevene e riferite a Castel Hagedorn che Xanten è morto.

— Non temere — urlarono gli Uccelli. — Ti aspetteremo per sempre!

— Chiedo solo fino a domani sera!

— Se sarai in pericolo o in difficoltà… un ros ros! Chiamaci!

— Ros! Quando ci arrabbiamo siamo tremendi!

— Vorrei che fosse la verità — disse Xanten. — E invece lo sanno tutti che siete dei codardi. Comunque apprezzo il vostro gesto. Tenete bene a mente le mie istruzioni e soprattutto non fate baccano. Non voglio essere assalito e magari ucciso per colpa vostra.

Gli Uccelli urlarono indignati.

— Che ingiustizia! Che ingiustizia! Noi che siamo silenziosi come la rugiada!

— Bene — Xanten se ne andò in fretta, prima che quelli gli urlassero altri avvertimenti.

Oltrepassò la foresta giungendo in un pascolo aperto, sull’altro lato del quale si ergeva il primo edificio delle rimesse. Si fermò a pensare. Molte cose erano importanti. Innanzitutto c’era la possibilità che i Mek addetti alle astronavi, non potendo tenersi in contatto radio con gli altri a causa della struttura metallica, non sapessero ancora della rivolta. Era molto improbabile, stabilì Xanten, dal momento che i Mek preparavano i loro piani molto meticolosamente. In secondo luogo bisognava tener presente che i Mek non agivano singolarmente ma come entità collettiva; isolati individui non prendevano facilmente l’iniziativa. Infine era chiaro che se i Mek si aspettavano dei tentativi di avvicinamento alle astronavi il percorso che lui intendeva compiere era perfettamente sotto il loro controllo.

Decise di aspettare per una decina di minuti, in modo che il sole, calando, abbagliasse la vista delle sentinelle.

I dieci minuti passarono. Le rimesse alte e lunghe, brunite dal sole morente, erano immerse nel silenzio. Nel pascolo che lo divideva da loro l’erba dorata ondeggiava alla brezza fresca… Xanten respirò a fondo, prese le armi dalla borsa, le preparò e iniziò a camminare. Non gli venne neanche in mente che avrebbe potuto gettarsi a carponi tra l’erba.

Arrivò senza problemi alla parte retrostante della rimessa più vicina. Avvicinò l’orecchio al metallo ma non sentì nulla. Allora si diresse verso l’angolo e sporse il capo per vedere: non c’era anima viva. Sollevò le spalle: molto bene, alla porta!