Powell rimase immobile, i pugni serrati. D’improvviso afferrò la figura in miniatura rappresentante Reich e gli torse la testa. S’accostò a Peetcy, strappò le striscioline su cui figuravano i dati vagliati, le gualcì fino a ridurle in una pallottola che gettò nel mezzo della stanza. Poi sferrò un tremendo calcio alla sedia su cui era sdraiato Crabbe. Sotto gli occhi atterriti degli agenti sedia e commissario finirono sul pavimento. — Maledetto voi, siete sempre seduto su quella sedia! — disse Powell e si precipitò fuori dell’ufficio.
14
Disintegrazione! Distruzione! Esplosione! Le porte della cella si spalancano. Lo sfavillìo della stellile si frantuma in una pioggia di pugnali e proiettili. E, più addentro, la libertà attende, avvolta nel manto del buio e della fuga nell’ignoto!
Chi è là fuori dalla cella? L’Uomo senza Volto. Si guarda intorno. Minaccioso. Muto.
Fuggi per gli spazi! C’è tempo e sicurezza nella solitudine di quest’astrolancia lieve come il velluto. Il portello! Si apre. Ma io non posso. Sono solo. L’Uomo senza Volto. Si guarda intorno. Minaccioso. Muto.
Ma io sono innocente, Vostro Onore. Non proverete mai la mia colpa. Nell’aula? L’Uomo senza Volto.
Si guarda intorno. Minaccioso. Muto. Batte il martello.
Quel battere si mutò in un bussare alla porta della cabina. — Siamo sopra New York, signor Reich. Un’ora allo sbarco.
— Benissimo — mugolò Reich. — Ho sentito.
Saltando fuori dal letto ancora attanagliato dal terrore dell’incubo, si aggirò nella cabina vacillando. Gettò la sua biancheria e i suoi abiti nel raccoglitore, scelse indumenti nuovi nel distributore e li dispose in bell’ordine per indossarli.
Entrò nel bagno, si sbarbò, fece doccia, vaporizzazioni e bagni d’aria per dieci minuti. Barcollava ancora. Passò nel gabinetto per i massaggi e premette il pulsante della scritta Sali termici. Si udì una sorda detonazione e Reich fu sbattuto a terra, mentre alcuni frammenti lo colpivano violentemente alla schiena.
Con un’istintiva reazione si precipitò nella stanza da letto, afferrò la sua valigia e cercò la scatola dei bulbi esplosivi che portava sempre con sé. Non c’era.
Reich cercò di ricomporsi. Sentendo acuto il bruciore del sale penetrato nelle ferite alla schiena, tornò nella stanza da bagno, tolse la corrente e diede un’occhiata al disastro avvenuto nel gabinetto dei massaggi. Qualcuno gli aveva sottratto la scatola durante la notte e aveva inserito un bulbo in ciascuno dei repulsori del massaggiatore automatico. La scatola vuota giaceva in un angolo.
Esaminò la porta della cabina. Evidentemente la serratura era stata forzata da un maestro. Ma chi? E perché?
Ritornò nel bagno, si deterse sangue e sale e si cosparse il dorso con un coagulante. Si vestì, bevve un caffè, e discese nel salone degli spettacoli dove dopo un accanito duello con il doganiere esper (Paura, Tensione, Ansietà cominciano già) saltò a bordo dell’astrolancia della Sacramento che lo attendeva per portarlo in città.
Dalla lancia telefonò alla Sacramento. Sullo schermo comparve il viso della sua segretaria.
— Notizie di Hassop? — chiese Reich.
— No, signor Reich. Nessuna notizia da quando avete chiamato l’ultima volta da Pardi.
— Datemi l’Ufficio Informazioni.
Lo schermo rivelò il salone della Sacramento tutto rilucente di cromo. West, intento a rilegare in volumi i fogli di dattiloscritti, alzò lo sguardo e sogghignò.
— Salve, Ben.
— Non aver quell’aria così allegra, Ellery — brontolò Reich. — Dov’è Hassop? Pensavo che con ogni probabilità tu…
West gli mostrò i volumi. — La storia della mia carriera alla Sacramento per i tuoi registri. Detta carriera si è conclusa stamattina alle nove.
— Che cosa?
— La Lega ha rotto i suoi rapporti con la Sacramento. Lo spionaggio al servizio di una compagnia è stato definito immorale.
— Ellery, non puoi andartene ora. Qualcuno mi ha teso un tranello sull’astronave stamattina. Devo scoprire chi è stato. Ho bisogno di una telespia.
— Mi dispiace, Ben.
— Non devi lavorare per la Sacramento. Ti farò un contratto personale per servizio privato. Lo stesso contratto che ha Breen.
— Breen? Lo psicanalista? Non ce l’ha più.
— Più?
— La disposizione è stata emanata oggi. Vieta ogni pratica telepatica a servizio di un singolo ente o di una singola persona. L’attività professionale delle telespie ha ora dei limiti ben precisi. La nostra opera deve giovare al maggior numero di persone possibile.
— È quel bastardo di Powell! — gridò Reich. — Sta mettendo in azione tutti i più luridi mezzucci da telespia che possa ideare quella sua mente tenebrosa per demolirmi.
— Ti sbagli, Ben. Powell non c’entra nulla in tutto questo. È stato T’sung Hsai, il nostro presidente. Il vecchio T-H ha finalmente esteso la sua giurisdizione al campo commerciale e ha emanato una serie di nuove disposizioni proprio questa mattina. Tu sei rimasto impigliato tra due di esse, ecco tuttol
— Voi dannate telespie parlate tanto di morale, ma vi battete con mezzi più sporchi di…
— A che serve inveire, Ben? Abbiamo sempre cercato di andare d’accordo. Non urtiamoci proprio ora!
— Va’ al diavolo! — tuonò Reich e interruppe la comunicazione. Nello stesso tono disse al pilota dell’astrolancia: — Conducetemi a casa!
Reich irruppe nel suo appartamento risvegliando ancora una volta i cuori dei suoi dipendenti al terrore e all’odio. Gettò la valigia al maggiordomo dalla faccia equina e si precipitò nell’appartamento di Breen.
Non c’era nessuno.
A grandi passi raggiunse le sue stanze e si accostò al telefono. Compose il numero di Gus T8. Lo schermo s’illuminò:
Reich fissò queste parole, stupito, e chiamò Jeremy Church. Sullo schermo apparve:
Imprecò e tentò di entrare in comunicazione con il casinò di Keno Quizzard. Di nuovo quelle parole:
Reich si aggirò incerto nel suo studio, poi si avvicinò al bagliore di vivida luce che era la sua cassaforte, nella speranza che il vecchio Reich avesse qualche consiglio da dargli. Mise la cassaforte in fase visibile: comparvero subito gli scaffali disposti ad alveare e allungò la mano per prendere la busta rossa. Mentre la stava afferrando udì un lieve suono secco. Si chinò di scatto e fece un balzo indietro, col viso nascosto tra le braccia. Qualcosa lo colpì con violenza a un fianco e lo sbatté contro la parete. Udì i passi frettolosi dei servi nel corridoio e urlò: — Non entrate! Nessuno!
Inciampò tra le rovine e si mise a frugare tra i resti della sua cassaforte. Trovò il disgregatore psichico che aveva sottratto alla donna dagli occhi rossi amica di Chooka Frood. Trovò il malefico fiore d’acciaio, la pistola a stiletto con cui aveva ucciso D’Courtney. Conteneva ancora quattro proiettili carichi d’acqua racchiusi in capsule di plastica. Si ficcò le due armi in tasca, prese dalla sua scrivania una nuova scatola di bulbi esplosivi, e uscì di corsa dalla stanza, senza badare ai servi che lo fissavano attoniti.
Reich discese bestemmiando rabbiosamente dal suo appartamento nella Torre al garage sotterraneo dove introdusse la chiave della sua Cavalletta nella fessura apposita e attese che l’apparecchio uscisse. Quando comparve, con la chiavetta infilata nella portiera, Reich fece girare la chiave nella serratura e spalancò la portiera per balzare a bordo. Ci fu una sorda esplosione. Reich si gettò a terra. Il serbatoio della Cavalletta saltò in aria, vomitando un rovinoso torrente di carburante e di frantumi di metallo. Reich si trascinò affannosamente verso la scala che conduceva all’uscita, la raggiunse, e vi s’infilò di corsa.
Una volta in strada, insanguinato, impregnato dell’odore del creosoto, fece cenno a una Cavalletta pubblica di fermarsi.