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— Sì, andiamo via, Barbara! — disse Mary.

Prese il braccio della ragazza e la condusse verso la porta.

— C’è una Cavalletta che aspetta, Mary.

Ci sono io che aspetto, Pres. Aspetto te, sempre. E ci sono i Chervil, gli Akins, i Jordan e…

Lo so. Voglio bene a tutti voi. Baci. Benedizioni.

Rimase sulla soglia seguendo con lo sguardo la Cavalletta che spariva nel cielo azzurro-acciaio, in direzione del Kingston Hospital. Era esausto. Si sentiva vagamente orgoglioso di se stesso per aver compiuto il sacrificio, ma nello stesso tempo si vergognava profondamente del fatto di sentirsi orgoglioso e lucidamente malinconico. Vedere dinanzi a sé l’immensa città, brulicante di quattordici milioni e mezzo di abitanti, e non c’era una sola anima per lui.

Il primo impulso venne, un sottile zampillo d’energia latente. L’avvertì distintamente e gettò un’occhiata al suo orologio. Dieci e venti. Così presto? Meglio prepararsi.

Rientrò in casa e salì in camera sua. La sua psiche cominciava a palpitare e vibrare mentre egli si curvava in se stesso a raccogliere quei minuscoli rivoli d’energia latente. Si cambiò d’abito, equipaggiandosi per qualsiasi tempo, e…

L’energia gli giungeva a torrenti, ora: un mare agitato di massa energetica fluiva in Powell.

Uscì di casa, vagabondò per le strade cieco, sordo, insensibile, immerso in quella massa ribollente di latente energia, come un veliero sorpreso da un tifone che lotta per trasformare il turbine che lo squassa in vento benefico che lo sospinga in salvo. Così Powell lottava per assorbire quel pauroso torrente, per accumulare quell’energia latente, per convogliarla in un’azione efficace e servirsene per la Disintegrazione di Reich prima che fosse troppo tardi.

16

Distruggete il labirinto.

Demolite il dedalo.

Annullate.

Demolite.

Infinito zero. Non c’è…

— Che cosa non c’è? — urlò Reich. Lottò per liberarsi dalle coperte e dalle mani che lo trattenevano. — Che cosa non c’è?

— Non ci saranno più incubi — disse una ragazza.

Reich aprì gli occhi. Si trovava in un letto di foggia antiquata. Con lenzuola e coperte all’antica. Duffy Wigs, fresca e candida, tentò di farlo appoggiare ai guanciali.

— Ero sveglio — disse egli gravemente. — Ho udito… non so che cosa ho udito. Infinito e zero. Cose importanti. Poi mi sono addormentato.

— Vi sbagliate — disse Duffy sorridendo. — Ora siete sveglio.

— Sono addormentato! — gridò Reich. — Mi devo svegliare, Duffy, devo ritornare alla realtà!

Duffy si chinò su di lui e lo baciò forte sulla bocca. — Che ne dite? Vi sembra reale?

— Non capisco. Ho avuto tante allucinazioni. Debbo riprendere il mio equilibrio prima che sia troppo tardi.

Duffy alzò vivamente le mani. — Anzitutto quel dannato dottore vi ha trovato svenuto, poi ha giurato che vi eravate rimesso… e ora guardatevi: psicopatico!

— Chi mi ha trovato svenuto?

— Rocky Martin. Un dottore mio amico. Di fronte al Comando di Polizia.

— E voi mi avete portato qui?

— Certo. Era il solo modo che avevo per offrirvi ospitalità nel mio letto.

Reich scoppiò in una risata. — Non mi avevate chiesto una volta che mi occupassi di voi per aprirvi una strada in società?

— Pensavo che vi avrei incontrato gente migliore.

— Ditemi che strada volete percorrere e l’avrete. Volete una strada da qui a Marte? L’avrete. Volete che trasformi l’intero Sistema Solare in una strada per voi?

— Carissimo, così modesto e così ubriaco.

— Ubriaco? Certo che ho bevuto.

Reich mise le gambe fuori dal letto e si rizzò in piedi, barcollando un poco, le mise un braccio attorno alla vita per sostenersi. — Perché non dovrei aver bevuto? Ho battuto D’Courtney. Ho battuto Powell. Ho davanti a me sessant’anni per dominare l’intero universo. Vi piacerebbe fondare una dinastia con me, Duffy?

— Non saprei come comportarmi, per fondare una dinastia.

— Cominciate con Ben Reich, per prima cosa sposatelo, poi…

— È abbastanza. Quando incominciamo?

— Poi metterete al mondo dei figli e vedrete Ben Reich impadronirsi della D’Courtney e fonderla con la Sacramento. Vedrete i suoi nemici cadere… così — Reich sferrò un calcio contro la gamba di una tavola da toilette di legno intagliato. Questa si sfasciò. — La Case Umbrel di Venere. Spacciata!

Reich sferrò un pugno su un tavolino da notte scolpito, e lo abbatté. La United Transaction di Marte. Stritolata e divorata. La GCI Combine di Ganimede, Callisto e Io. La Chemical Atomical di Titano… e poi la minutaglia: la Lega degli Esper, i moralisti, i patrioti… Spacciati! — Rovesciò un nudo marmoreo dal suo piedestallo che andò in pezzi.

— Siate furbo, signor Reich! — Duffy gli si appese al collo. — Perché sprecate tutte queste energie?

Egli la sollevò tra le braccia e la strinse fino a farla gridare. — Alcune parti del Sistema saranno dolci come te, Duffy, altre insopportabilmente nauseanti… Ma io le ingollerò tutte. — Scoppiò in una risata e la premette forte contro di sé. — Sconvolgeremo il mondo intero, Duffy, e lo ricostruiremo a nostro piacimento. Tu, io e la nostra dinastia.

La portò accanto alla finestra, scostò le cortine. Fuori la città era avvolta in un’oscurità vellutata. Solo le vie del cielo e le strade palpitavano di luce e qua e là gli occhi scarlatti di una Cavalletta foravano il buio.

— Voi là fuori! — Reich tuonò. — Potete udirmi? Tutti voi che state dormendo e sognando: d’ora in poi i miei sogni saranno i vostri.

Si aggrappò all’intelaiatura della finestra e sporse la testa nel buio, torcendo il collo per guardare più in alto. Quando si ritrasse, la sua faccia aveva un’espressione delusa.

— Voglio urlarlo alle stelle — disse. — Ma non ci sono, stanotte.

Duffy lo guardò incuriosita. — Che cosa non ci sarebbe?

— Le stelle. Dai un’occhiata in cielo. C’è solo la luna.

— Ma sempre è così! — disse Duffy.

— Ma no! Dove sono le stelle?

— Che stelle?

— Come diavolo posso sapere tutti i loro nomi? Non sono un astronomo io. Che cosa è accaduto delle stelle?

— Ma che cosa sono queste stelle? — chiese Duffy.

Reich l’afferrò selvaggiamente. — Astri incandescenti e irradianti luce. A migliaia e migliaia brillano nella notte. Che cosa diavolo hai? Non capisci?

Duffiy scosse il capo. Aveva il viso spaventato. — Non so di che cosa parli, Ben. — Egli l’allontanò da sé, andò nel bagno e vi si rinchiuse. Mentre si lavava e vestiva frettolosamente, la udì chiamare al telefono il Kingston Hospital, con voce sommessa.

— Lasciamo pure che si metta a raccontare la storia delle stelle — mormorò Reich, combattuto tra l’ira e il terrore. Ritornò nella stanza. Duffy riattaccò il ricevitore in fretta e furia e si volse a lui. — Aspettate qui — brontolò — vado a chiarire la questione.

— Quale questione?

— Quella delle stelle! — urlò.

Si precipitò in strada. In un vicolo deserto, si fermò e alzò di nuovo lo sguardo. C’era la luna. C’era un vivido punto di luce rossa… Marte. Ce n’era un altro… Giove. Null’altro. Oscurità. Pendeva sul suo capo, misteriosa, terrificante. Cominciò a correre, sempre con lo sguardo verso il cielo. Svoltando all’angolo del vicolo andò a urtare contro una donna. La prese per un braccio e le indicò il cielo. — Guardate! Vedete anche voi quello che vedo io? Le stelle sono scomparse!

— Che cosa è scomparso?

— Le stelle. Non vedete? Sono scomparse.

— Non so di che cosa parliate, siete forse un pilota? Venite, andiamo a ballare. — Le fuggì dalle grinfie e si mise a correre. A metà vicolo c’era una cabina telefonica. Vi entrò e chiamò l’ufficio informazioni.