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— Che ne è delle stelle? — chiese Reich. — Quando sono sparite? Ormai il fatto dovrebbe essere stato segnalato. Qual è la spiegazione?

Si udì un lieve scatto, poi silenzio. — Volete ripetere più chiaramente la parola, prego?

— Stella! — urlò Reich. — S-t-e-1-l-a! Stella!

— Sostantivo o verbo?

— Andate al diavolo! Sostantivo.

— Spiacenti di non potervi dare l’informazione: non riusciamo a rintracciare la parola — annunciò la voce lontana.

Reich lanciò un’imprecazione, poi si sforzò di riprendere il dominio di sé. — Dov’è il più vicino Osservatorio?

— L’Osservatorio lunare di Croton Park dista trenta miglia in direzione Nord. Lo potrete raggiungere con il servizio Cavalletta della linea Nord 227. L’Osservatorio lunare fu fondato nell’anno duemila…

Reich riattaccò violentemente il ricevitore. — Impossibile darvi l’informazione? Sono tutti pazzi? — Corse per le strade in cerca di una Cavalletta pubblica. Una gli passò sopra il capo. Reich fece un cenno al conducente. L’apparecchio atterrò per caricarlo a bordo.

— Nord 227 — disse salendo. — L’Osservatorio lunare.

L’apparecchio si mise in moto. Reich si trattenne per cinque minuti, poi cominciò con noncuranza. — Avete notato il cielo?

— Ebbene, signore?

— Le stelle sono scomparse.

Risata compiacente.

— Ma non è uno scherzo — disse Reich. — È vero.

— Se non è uno scherzo, allora spiegatevi — disse il conducente. — Che cosa diavolo sono le stelle?

Prima che Reich avesse il tempo di esplodere, l’apparecchio lo depose nei pressi dell’Osservatorio. Egli sibilò: — Aspettatemi — e attraversò il prato di corsa.

Appena entrato, udì il cupo ronzìo del meccanismo della cupola, e il lieve ticchettìo dell’orologio dell’Osservatorio. La stanza era avvolta in un’oscurità rotta solo dal fioco chiarore dell’orologio luminoso. Riuscì a distinguere l’osservatore, una figura nebulosa, curva sull’oculare del telescopio.

— Sentite — disse Reich a bassa voce. — Spiacente di disturbarvi, ma dovete aver notato il fatto. Che cosa è accaduto? Dove sono le stelle?

La figura si raddrizzò lentamente, si volse a Reich. — Non ci sono stelle — disse. Era l’Uomo senza Volto.

Reich uscì a precipizio, discese i gradini di corsa e attraversò il prato dirigendosi all’apparecchio in attesa. Andò a sbattere contro i cristalli della cabina e cadde. Il conducente lo aiutò a rialzarsi. — Tutto bene, amico?

— Non so — brontolò Reich.

— Non è affar mio, ma penso che fareste bene a consultare una telespia.

Reich prese l’uomo per il bavero. — Sono Ben Reich della Sacramento.

— Vi avevo riconosciuto.

— Bene. Sapete che cosa posso darvi in cambio di un favore? Denaro, un nuovo lavoro, tutto quel che volete…

— Non potete far nulla per me amico, sono già sistemato al Kingston.

— Meglio così. Un individuo onesto, finalmente. Mi volete fare un grande favore?

— Certo, amico.

— Entrate in quell’edificio. Date un’occhiata all’uomo che sta al telescopio. Guardatelo bene. Tornate qui e descrivetemelo.

Il conducente si allontanò, scomparve per cinque minuti, poi tornò e riferì:

— Sui sessanta. Calvo. Faccia segnata da rughe profonde. Orecchie a sventola. Mento sfuggente.

— Non è nessuno… nessuno — mormorò Reich.

— Che cosa?

— Parlavo delle stelle — disse Reich. — Non ne avete davvero mai sentito parlare? Non le avete mai viste? Non sapete a che cosa mi riferisco?

— Non agitatevi troppo, amico. Vi dirò io qualcosa. Mi hanno insegnato tante cose al Kingston, per esempio che qualche volta uno si ficca in mente un’idea assurda. Per esempio che gli uomini abbiano sempre avuto un occhio solo ed ora all’improvviso ne abbiano due.

Reich lo fissò stupito.

— Così ve ne andate in giro urlando: Come mai tutto d’un tratto avete due occhi? e loro rispondono: Ne abbiamo avuti sempre due. E voi dite: Ma no che non li avevate. Mi ricordo benissimo che tutti avevamo un occhio solo. E ci credete, per Dio, e ce ne vuole del tempo per togliervi di mente quell’idea.

Il conducente gli batté un gran colpo sulla spalla. — Mi sembra che vi stia capitando qualcosa di simile a questa faccenda dell’occhio solo.

— Un occhio solo — ripeté Reich. — Due occhi. Paura. Tensione. Ansietà. Cominciano già.

— Come?

— Ho passato dei brutti momenti il mese scorso. Può darsi che abbiate ragione.

— Forse volete stare un po’ qui a sbizzarrirvi in quei vostri discorsi sulle stelle?

— Ma che mi importa delle stelle! Io posseggo il mondo intero. Che m’importa delle poche delusioni che fatalmente tutto questo comporta?

— Avete ragione, amico. Dove andiamo?

— Al Palazzo Reale.

— Come?

Reich rise. — Alla Sacramento — disse e continuò a ridere mentre fendevano il cielo illuminato dal chiarore dell’alba, verso l’alta torre della Sacramento.

Il personale notturno attendeva stancamente la fine del turno 12-8 quando Reich irruppe negli uffici.

S’accostò alla scrivania, subito seguito da segretari e sottosegretari, pronti a sottoporgli il carteggio più urgente.

— Tutto questo può aspettare — disse. — Chiamate a rapporto tutti i Capi Sezione e i Supervisori dell’organizzazione. Devo fare una comunicazione.

Questa era l’unica realtà. Lo squillo dei campanelli, l’eco degli ordini, la rapida apparizione di tanti visi intimoriti nel suo ufficio. Tutto questo non era che un preannuncio del futuro, quando i campanelli avrebbero squillato su tutti i pianeti e i Supervisori dell’organizzazione universale sarebbero accorsi alla sua scrivania con un’espressione di timoroso rispetto sul volto.

— Come tutti voi sapete — cominciò Reich — noi della Sacramento ci siamo sempre battuti con la D’Courtney, finché Craye D’Courtney non è stato ucciso. Ora abbiamo via libera. Possiamo iniziare l’attuazione del piano AA per assorbire la D’Courtney.

Fece una pausa, attendendo di udire l’eccitato mormorio che avrebbe dovuto seguire la sua comunicazione. Non ci fu nessuna risposta.

— Forse — disse — alcuni di voi non afferrano l’entità e l’importanza di questa notizia. Quelli di voi che ora sono ispettori di una città diverranno Ispettori di un Continente. Gli Ispettori di un Continente verranno messi a capo di un Satellite. Quelli che ora sono capi di un Satellite lo saranno di un pianeta. D’ora in poi la Sacramento dominerà il Sistema Solare. D’ora in poi tutti noi dovremo proporzionare i nostri pensieri all’entità del Sistema Solare.

Reich esitò, allarmato dagli sguardi vuoti che si vedeva intorno. Si rivolse al capo segretario. — Che diavolo c’è? Qualche cattiva notizia di cui non sono ancora al corrente?

— N… no, signor Reich.

— Allora? Che cosa avete? Tutti abbiamo atteso questo momento: che cosa c’è che non va?

— Io… n… non ho mai sentito parlare di questa organizzazione, signor Reich. Io… noi… — Il capo segretario gettò un’occhiata intorno come a chiedere aiuto. Dinanzi agli occhi increduli di Reich, tutto il personale scosse il capo in segno di profondo stupore.

— Intendo la D’Courtney di Marte! — gridò Reich.

— Di dove, signore?

— Uno dei dieci pianeti. Il quarto a partire dal Sole: Mercurio, Venere, Terra, Marte. Centoquarantuno milioni di miglia dal Sole: Marte!

Arretrarono un po’. Reich s’accostò di scatto ai segretari e strappò loro di mano il carteggio d’ufficio. — Qui dentro si parla della D’Courtney di Marte. Mio Dio, siamo in lotta con la D’Courtney da ben dieci anni!

Frugò tra le carte. In nessuna di esse si accennava alla D’Courtney e a Marte. Non ricorreva neppure il nome di Venere, di Giove, della Luna o degli altri satelliti. — Ho tutti i miei promemoria nella scrivania — gridò Reich. — Ne ho a centinaia! Mi state giocando qualche tiro…