Выбрать главу

Qualcuno gli teneva una mano sopra la bocca. Reich aprì gli occhi.

Si trovava in una piccola stanza dalle pareti a piastrelle, una stazione di polizia. Giaceva su un bianco lettino. Intorno a lui vi erano tre poliziotti in uniforme e altri individui non meglio identificati.

Lo sconosciuto gli tolse la mano dalla bocca. — Tutto bene — disse gentilmente. — Sono un medico.

— Siete una telespia? Ho bisogno di consultare una telespia. Ho bisogno che qualcuno scruti dentro il mio cervello per controllare se tutto va bene.

— Che cosa vuole? — chiese un poliziotto.

— Non so. Ha detto: una telespia. — Il medico si volse di nuovo a Reich. — Che cos’è una telespia?

— Un esper. Un lettore del pensiero. Un…

Il dottore sorrise. — Segno di euforia. Molti pazienti si comportano così dopo un incidente. Definiamo questa reazione umore da galera.

— Sentite — disse Reich esasperato. — Mi chiamo Reich. Ben Reich della Sacramento. Mi conoscete. Voglio fare una confessione. Portatemi da Preston Powell.

— Chi è Powell?

— Che cosa volete confessare?

— Ho ucciso Craye D’Courtney il mese scorso. In casa di Marie Beaumont. Voglio dirlo a Powell.

Gli agenti si guardarono l’un l’altro sbalorditi. Uno di essi andò in un angolo e alzò il ricevitore di un telefono di foggia antica. — Capitano? Abbiamo qui un tipo strano. Dice di essere un certo Ben Reich della Sacramento. Sostiene di aver ucciso un tale Craye D’Courtney il mese scorso. — Dopo una pausa, grugnì e riattaccò. — Pazzo — disse.

— Sentite — cominciò Reich.

— Ma sta bene? — chiese il poliziotto al dottore.

— È solo un po’ scosso.

— Sentite! — urlò Reich.

Il poliziotto lo fece drizzare in piedi e lo spinse verso l’uscita. — Non c’è nessun Preston Powell in servizio. Non sappiamo nulla di questo D’Courtney che avreste assassinato. Ora, fuori di qui. — E gettò Reich nella strada.

Reich vacillò, poi riacquistò l’equilibrio e rimase immobile, inebetito, smarrito. Poche luci ardevano per le strade. I passaggi aerei erano avvolti nell’ombra. Qua e là s’intravedevano fosse profonde.

Cominciò ad avanzare barcollando per le vie interrotte, premendosi le mani sullo stomaco.

— Tassì! — gridò. — Tassì! Cavalletta! Dove sono tutti? Tassì!

Non si vedeva nulla.

— Non c’è nessuno che possa udirmi? Sto male. Ho bisogno di aiuto… Devo andare a casa.

Non si vedeva nulla.

Lanciò un gemito acuto. Poi cominciò a canticchiare stancamente, inutilmente. — Otto, amico, cinque, amico, uno, amico! Tira disse Molla… paura, tensione, ansietà cominciano già!

Afferrò il braccio tremante di T8 e lo costrinse a entrare in casa di Marie Beaumont. Camminando chiamava con voce lamentosa: — Ehi, dove siete tutti? Marie?

T8 emise un singhiozzo isterico. Reich lo scosse rudemente. — Fate la vostra parte, su! In cinque minuti saremo fuori di qui. Allora potrete lamentarvi a piacer vostro.

— Se trovano il corpo prima che usciamo, siamo perduti!

— Chi lo può trovare?

— I guardiani.

— Sono fuori dal mondo.

— I servi.

— Non usciranno dalle cucine prima che il gioco sia finito. Vi assicuro io che in cinque minuti saremo al sicuro.

— Ma se c’imbottigliano qui, non riusciremo a rintracciare la ragazza. E…

— Non rimarremo imbottigliati. — Reich spalancò la porta della sala di proiezione.

— Ehi, dove siete tutti?

Nessuna risposta.

Non c’era nessuna porta, non c’era nessuna sala di proiezione. Egli si trovava in Park Mouth 9, a cercare la casa di Marie Beaumont, il luogo della morte di D’Courtney… e Marie Beaumont, cicalante, avvizzita, rassicurante.

C’era una tundra nera, invece. Una strana desolazione. Nulla.

— In nome di Dio! — gridò. — Dov’è ogni cosa? Smettetela di giocare a questo stupido gioco della Sardina! Ritornate indietro! Riempite lo spazio vuoto!

Da lontano, da quelle lande desolate avanzò una figura… si guardò intorno, minacciosa, muta. L’Uomo senza Volto. Reich lo osservò avvicinarsi, paralizzato.

Poi quella figura nebulosa parlò: — Non c’è spazio. Non c’è nulla.

L’urlo che Reich sentiva era la sua voce; quel martellìo incessante il suo cuore. Stava correndo, correndo a precipizio per uno strano sentiero incavato, senza spazio, senza vita, correndo mentre c’era ancora tempo, tempo, tempo…

Si imbatté in una figura d’ombra nera. Una figura senza volto. Una figura che disse: — Non c’è tempo. Non c’è nulla.

Reich arretrò. Si voltò. Cadde. Si trascinò privo di forze per quell’eterno vuoto, urlando: — Powell! Duffy! Hassop! Quizzard! T8! Church! Dove siete tutti? Per l’amor di Dio!

Ed era faccia a faccia con l’Uomo senza Volto, che disse: — Non esiste Dio. Nulla esiste tranne tu e io.

Reich alzò gli occhi e li fissò nel volto del suo mortale nemico, dell’uomo a cui non poteva sfuggire, il terrore dei suoi incubi, la rovina della sua esistenza.

Era…

Lui stesso.

D’Courtney.

Entrambi.

Due visi fusi in uno solo. Craye D’Courtney. Ben Reich. D’Courtney-Reich.

Non riusciva a emetter suono. Non riusciva a compiere un gesto. Non vi era né tempo né spazio né materia. Non vi era nulla tranne il suo pensiero agonizzante.

Padre?

Figlio.

Tu sei me?

Siamo noi.

Non capisco. Che è accaduto?

Hai perduto la posta, Ben.

Al gioco della Sardina?

No, al gioco del Cosmo.

Ho vinto. Ho dominato il mondo intero.

E per questo hai perduto. Per questo perdiamo.

Che cosa perdiamo?

La sopravvivenza.

Non riesco a capire.

La mia parte di noi capisce, Ben. Anche tu capiresti, se non mi avessi allontanato da te.

Come ho fatto ad allontanarti da me?

Con la tua corruzione.

Tu dici questo, traditore?

Io ho tradito senza passione, Ben. Ho tradito per distruggerti prima che tu potessi distruggere noi, per aiutarti a perdere il mondo e vincere la posta.

Che posta? Di quale gioco cosmico?

L’enigma. Il labirinto. Le Galassie, le Stelle, il Sole, i Pianeti, le Lune… questo era il problema che dovevamo risolvere. Noi eravamo la sola realtà. Tutto il resto era invenzione, balocchi con cui trastullarci, scenari, bambole, pupazzi, passioni fittizie. Era una realtà da burla quella che avremmo dovuto risolvere.

Io l’ho conquistata. Io l’ho posseduta.

Ma non sei riuscito a risolverla. Io non so quale sia la soluzione, ma non è certo furto, terrore, odio, ingordigia, assassinio, rapina. Tu non ci sei riuscito e tutto è stato distrutto, disperso.

Allora che sarà di noi?

Siamo finiti anche noi.

Perché? Chi siamo noi? Che cosa siamo?

Forse che il seme del nostro fittizio universo sapeva chi o che cosa era quando non trovava un terreno fertile in cui germogliare? Forse che lo sperma sapeva chi o che cosa era quando non trovava qualcuno da fecondare? Importa forse chi o che cosa siamo? Siamo falliti. Siamo finiti.

Ma esistevamo!

Forse se avessimo risolto l’enigma, Ben, il mondo avrebbe mantenuto la sua realtà e potremmo essere ancora tra le cose che conoscevamo e amavamo. Ma tutto è finito. La realtà si è mutata in ipotesi e tu ti sei svegliato infine… al nulla.

Torneremo indietro! Tenteremo di nuovo!

Non c’è ritorno. È finita.

Troveremo il modo. Ci deve essere qualcosa…