… incontrai per la prima volta un apostolo della Dottrina del Transit, la piccola ma energica Catalina Yarber che tentò di convertirmi “ipso facto”, tentativi a cui mi opposi con delle scuse piuttosto evasive…
… e incontrai Paul Quinn.
Quinn, proprio lui. Talvolta mi sveglio, tremante e sudato, dopo aver sognato, come in un “playback”, quella festa, in cui mi vedo trasportato da una irresistibile corrente attraverso un mare di celebrità in lacrime verso la radiosa, sorridente figura di Paul Quinn che mi aspetta, come Cariddi, con gli occhi brillanti e le mandibole spalancate. Allora Quinn aveva 34 anni, cinque più di me, ed era un uomo tozzo e robusto, biondo, dalle spalle ampie e con grandi occhi azzurri, un sorriso cordiale, abiti severi e tradizionali, una stretta di mano forte e virile che vi afferrava, oltre alla mano, anche l’interno del bicipite, un modo di agganciare il vostro sguardo che sembrava quasi produrre uno scatto sonoro e che stabiliva un rapporto istantaneo.
Tutto questo faceva parte di una normalissima tecnica politica che avevo già visto in azione abbastanza spesso prima di allora, ma mai con quel grado di intensità e potenza.
Quinn riusciva a superare il vuoto psicologico che si crea tra due persone appena presentate con una tale rapidità e sicurezza che mi venne il sospetto che portasse all’orecchio uno degli anelli della CBS per il potenziamento delle doti carismatiche.
Mardikian gli disse il mio nome e Quinn si dette subito da fare con: — Siete una delle persone che ero più ansioso di conoscere questa sera — e: — Chiamatemi Paul — e: — Andiamo in un posto un po’ più tranquillo, Lew — e io mi resi conto di essere stato manovrato con maestria, ma ormai ero irretito mio malgrado.
Mi condusse in un salottino appartato, posto a nord-ovest della stanza principale. Vidi figurine in creta precolombiane, maschere africane, schermi in rilievo, un piacevole miscuglio di pezzi decorativi vecchi e nuovi. La carta da parati riproduceva il “New York Times”, annata 1980 o giù di lì.
— Gran bella festa — osservò Quinn, ammiccando.
Poi scorse rapidamente la lista degli invitati, rivelandomi la sua infantile meraviglia nel vedere il proprio nome tra quelli di tante celebrità.
Quindi restrinse il suo centro di interesse e si concentrò su di me. Devo dire che era stato ben istruito. Sapeva tutto di me, quale scuola avevo frequentato, in che cosa mi ero laureato, che tipo di lavoro stavo facendo, dove era il mio ufficio. Mi chiese se c’era anche mia moglie.
— Sundara, si chiama così, vero? Di origine asiatica?
— La sua famiglia è indiana.
— Dicono che sia bellissima.
— Questo mese è nell’Oregon.
— Spero di avere l’occasione di conoscerla. La prossima volta che vengo a Richmond magari vi do un colpo di telefono, va bene? A proposito, vi piace stare a Staten Island?
Anche questo non mi era nuovo, la Cura completa, la mente calcolatrice dell’uomo politico al lavoro, come se una piccolissima particella di microcircuito fosse entrata in azione là dove erano richiesti dei fatti, tanto che per un secondo pensai che fosse una specie di robot. Ma Quinn era troppo in gamba per essere irreale. Da una parte non faceva che ripetere a memoria tutti i dati che gli erano stati riferiti su di me e ne dava una splendida interpretazione, mentre, d’altra parte, mi mostrava di divertirsi per la voluta esagerazione della sua stessa recita, come se, dentro di sé, mi stesse ammiccando e dicendo: — Sono costretto a caricare un po’ la mano, Lew; è così che si deve portare avanti questo stupido gioco.
Inoltre sembrava che si rendesse conto che anch’io ero divertito e nello stesso tempo meravigliato della sua abilità. Era in gamba. Tremendamente in gamba.
Automaticamente, il mio cervello studiò uno schema e mi restituì una serie di titoli del “Times” che suonavano più o meno così:
“IL DEPUTATO DEI BRONX QUINN CRITICA VIOLENTEMENTE IL RITARDO NELLO SGOMBERO DEI BASSIFONDI” “IL SINDACO QUINN CHIEDE LA RIFORMA DEL DOCUMENTO COSTITUTIVO DELLA CITTÀ” “IL SENATORE QUINN ANNUNCIA LA SUA CANDIDATURA ALLA CASA BIANCA” “QUINN GUIDA I NUOVI DEMOCRATICI A UNA VITTORIA SCHIACCIANTE IN TUTTO IL PAESE” “VALUTAZIONE DELL’OPERA DEL PRESIDENTE QUINN DOPO IL SUO PRIMO MANDATO”.
Intanto, Quinn continuava a parlare, sempre sorridente, senza mai smettere di fissarmi negli occhi, tenendomi inchiodato.
— Dicono che abbiate il migliore indice di attendibilità di tutti i progettisti del nordest… Scommetto, però, che nemmeno voi avevate previsto l’assassinio di Gottfried… Non è necessario essere un gran profeta per provare pietà per quel povero cristo di DiLaurenzio che deve cercare di amministrare City Hall in un periodo come questo… Questa città non può essere governata, si dovrebbero inventare dei giochi di prestigio… Non siete disgustato anche voi da quell’ipocrita Legge sul Vicinato?… Che ve ne pare del progetto di Con Ed sull’impianto di fusione nella 23a Strada?… Dovreste vedere i prospetti dei movimenti di capitale che sono stati trovati nella cassaforte dello studio di Gottfried…
Molto abilmente sondava le possibilità di comuni vedute in filosofia politica, anche se doveva essere già sicuro che condividevo gran parte delle sue idee; infatti, se mi conosceva tanto, doveva anche sapere che ero iscritto al partito dei Nuovi Democratici, che la pensavo come luì circa le precedenze, le riforme e quella folle idea puritana di voler codificare la moralità. Più parlavamo più mi sentivo attratto da lui.
Cominciai a fare, a caso, dei paragoni mentali tra Quinn e alcuni grandi uomini politici del passato, Franklin Delano Roosevelt, Rockefeller, Johnson, il primo Kennedy. Tutti avevano avuto quella meravigliosa, duplice capacità di riuscire a compiere i rituali della conquista politica e di far contemporaneamente capire alle loro vittime più intelligenti che “non ho nessuna intenzione di prenderti in giro, sappiamo benissimo che si tratta di una farsa, ma non pensi che ci riesco bene?”. Anche allora, persino quella prima sera nel 1995, quando Quinn era solo un piccolo deputato sconosciuto al di fuori della sua circoscrizione, lo vidi primeggiare nella storia politica a fianco di Roosevelt e Kennedy.
In seguito cominciai a fare dei paragoni più grandiosi, tra Quinn e personaggi come Napoleone, Alessandro Magno, persino Gesù, e se questo discorso vi facesse sogghignare, vi prego di non dimenticare che io sono un maestro nelle arti stocastiche e la mia vista è molto più chiara della vostra. Quinn non mi parlò delle sue intenzioni di candidarsi per una carica più importante. Quando tornammo tra gli altri, osservò semplicemente: — È presto perché io pensi di formare un gruppo di persone che lavorino per me. Però, quando sarà ora, vi voglio con me. Haig si terrà in contatto.
— Cosa pensi di lui? — mi chiese Mardikian cinque minuti dopo.
— Nel 1998 sarà sindaco di New York.
— E poi?
— Se vuoi saperne di più, amico, telefona al mio ufficio e fissa un appuntamento. A cinquanta dollari l’ora ti rivelerò tutto quanto c’è nella sfera di cristallo.
Lui mi diede un pugno scherzoso e se ne andò ridendo.
Dieci minuti dopo stavo fumando la pipa con la signora dai capelli d’oro chiamata Autumn. Autumn Hawkes, l’acclamato nuovo soprano del Metropolitan. Rapidamente arrivammo a un accordo, fatto solo di occhiate, il silenzioso linguaggio del corpo, per il resto della notte. Però, rimasi presto deluso della sua vera preferenza, quando la vidi osservare con forte interesse e gli occhi luccicanti Paul Quinn, che si trovava all’altra estremità della stanza. Quinn era lì per lavoro e nessuna donna poteva dargli la caccia (neppure un uomo, ovviamente!).