Nell'armadietto dei medicinali di lady Diana c'erano diversi medicamenti fra cui scegliere. In aggiunta alle solite aspirine ed endorfine, vidi stimolanti, tranquillanti, tubetti di Flashback, derma orgasmico, manuali di shunt, inalatori per canapa indiana, sigarette di tabacco non ricombinante e un centinaio di medicinali di più difficile identificazione. Trovai un bicchiere e mi costrinsi a inghiottire due pastiglie di Giornodopo: quasi subito nausea e mal di testa scomparvero.
Uscii dalla stanza da bagno; lady Diana, sveglia, sedeva sul letto, ancora nuda. Iniziai a sorridere, poi vidi i due uomini accanto alla porta est. Nessuno dei due era il marito, anche se tutti e due erano grandi e grossi quanto lui e condividevano lo stile niente collo, pugni come prosciutti, mascella scura, che Hermund Philomel aveva portato a perfezione.
Nel lungo spettacolo drammatico della storia umana sono sicuro che sia esistito l'uomo capace di stare in piedi, sorpreso e nudo, davanti a due estranei vestiti, potenzialmente ostili e rivali, senza farsi piccolo piccolo, senza provare l'impulso a coprirsi i genitali e ingobbirsi, senza sentirsi totalmente vulnerabile e svantaggiato… ma di certo quell'uomo non sono io.
Ingobbii la schiena, mi coprii il basso ventre, indietreggiai verso il bagno e dissi: — Cosa… chi… — Lanciai a Diana Philomel una muta richiesta d'aiuto e la vidi sorridere: un sorriso che uguagliava la crudeltà che al primo incontro le avevo scorto negli occhi.
— Prendetelo. Presto! — ordinò la mia amante di poco prima.
Tornai nella stanza da bagno e cercai di premere l'interruttore manuale che avrebbe fatto dilatare la porta chiudendola; ma il più vicino dei due mi raggiunse, mi agguantò, mi spinse di nuovo nella camera da letto e mi lanciò al socio. I due erano originari di Lusus o di un altro pianeta ad alta gravità, oppure seguivano esclusivamente una dieta di steroidi e di sansoncellule, perché mi sbatterono avanti e indietro senza sforzo evidente. Non importava quanto fossero grandi e grossi. A parte la breve carriera di pugile da campo sportivo scolastico, la mia vita… il ricordo della mia vita… offriva poche occasioni di violenza e ancora meno occasioni in cui ero emerso vincitore dalla zuffa. Un'occhiata ai due che si divertivano a mie spese mi disse che quelli erano proprio del tipo di cui si legge ma senza crederci sul serio: individui che ti spezzano le ossa, ti schiacciano il naso o ti fracassano la rotula, senza maggior rimorso di quanto non ne abbia io a buttare via uno stilo difettoso.
— Svelti! — sibilò di nuovo Diana.
Esaminai minuziosamente la sfera dati, la memoria della casa, il cordone ombelicale del comlog di Diana, il tenue legame dei due sgherri con l'universo dell'informazione… e pur sapendo ora dove mi trovavo, ossia nella tenuta di campagna dei Philomel, seicento chilometri dalla capitale Pirre, nella fascia terraformata per l'agricoltura di Rinascimento Minore… e chi erano con esattezza i due sgherri, cioè Debin Farrus e Hemmit Gorma, agenti della sicurezza impianti per il Sindacato dei Grattamuffa di Porta del Paradiso… non avevo la minima idea del perché uno dei due stesse sopra di me e mi puntasse il ginocchio nell'incavo della schiena, mentre l'altro fracassava sotto il tacco il mio comlog e mi metteva al polso una manetta a osmosi e la faceva scivolare su per il braccio…
Udii il sibilo e mi rilassai.
— Chi sei?
— Joseph Severn.
— È il tuo vero nome?
— No. — Sentii gli effetti della scioglilingua e seppi di poter battere la droga con il semplice atto di andarmene, di tornare nella sfera dati o di ritirarmi completamente nel Nucleo. Ma questo significava abbandonare il mio corpo alla mercé di chi m'interrogava in quel momento. Rimasi lì. Tenevo gli occhi chiusi, ma riconobbi la voce seguente.
— Chi sei, in realtà? — domandò Diana Philomel.
Sospirai. Una domanda a cui non era facile rispondere onestamente. — John Keats — dissi infine. Il silenzio mi disse che il nome non aveva significato, per loro. "Perché dovrebbe averne?" mi domandai. Un tempo avevo predetto che sarebbe stato un nome "scritto sull'acqua". Non mi potevo muovere, né aprire gli occhi, ma non trovai difficoltà a esaminare la sfera dati, seguendo i loro vettori d'accesso. Il nome del poeta si trovava fra gli ottocento John Keats nell elenco offerto dal file pubblico, ma loro non parvero interessarsi molto a un personaggio morto da novecento anni.
— Per chi lavori? — Era la voce di Hermund Philomel. Non so il motivo, ma rimasi un poco sorpreso.
— Per nessuno.
Il fievole effetto Doppler di voci cambiò: i quattro discutevano fra loro.
— Possibile che resista alla droga?
— Nessuno può resistere — disse Diana. — Si può morire, nel momento della somministrazione, ma non si può resistere.
— Allora cosa c'è in ballo? — domandò Hermund. — Perché, alla vigilia della guerra, Gladstone porterebbe nel Consiglio una nullità?
— Può sentirci, sapete — disse un'altra voce maschile, uno dei due gorilla.
— Non importa — rispose Diana. — Tanto, dopo l'interrogatorio non rimarrà in vita. — Si rivolse di nuovo a me. — Perché il PFE ti ha invitato al Consiglio… John?
— Non saprei. Per avere notizie dei pellegrini, probabilmente.
— Quali pellegrini, John?
— I Pellegrini allo Shrike.
Qualcun altro emise un rumore. — Silenzio — disse Diana Philomel. E a me: — Questi Pellegrini allo Shrike sono su Hyperion, John?
— Sì.
— C'è un pellegrinaggio, in questo momento?
— Sì.
— E perché Gladstone chiede a te, John?
— Sogno i pellegrini.
Seguì un versaccio di disgusto. Hermund disse: — È pazzo. Anche sotto la scioglilingua non sa chi è e ora ci racconta questa storia. Facciamola finita e…
— Chiudi il becco — disse lady Diana. — Gladstone non è pazza. L'ha invitato lei, non dimenticarlo. John, cosa significa che li sogni?
— Sogno le impressioni della prima personalità ricuperata di Keats — dissi. Avevo la voce impastata, come se parlassi nel sonno. — Quando hanno ucciso il suo corpo, si è inserita in uno dei pellegrini e ora vaga nella loro microsfera. Non so come, ma le sue percezioni sono i miei sogni. Forse le mie azioni sono i suoi sogni, non so.
— Follia — disse Hermund.
— No, no — replicò lady Diana. Aveva la voce tesa, quasi sconvolta. — John, sei un cìbrido?
— Sì.
— Oh, Cristo e Allah! — disse lady Diana.
— Cos'è un cìbrido? — domandò uno dei gorilla. Aveva una voce acuta, quasi femminile.
Per un momento ci fu silenzio, poi Diana disse: — Idiota. I cìbridi erano umani controllati a distanza, creati dal Nucleo. Ce n'erano alcuni nella Commissione di Consulenza, fino al secolo scorso, quando furono messi fuorilegge.
— Come gli androidi e cose del genere? — disse il secondo gorilla.
— Chiudi il becco — rispose Hermund.
— No — disse Diana. — I cìbridi erano geneticamente perfetti, ricombinati da DNA che risaliva alla Vecchia Terra. Bastava un osso… un frammento di capello… John, mi ascolti? John?
— John, sei un cìbrido… sai qual è la fonte della tua personalità?
— John Keats.
Inspirò a fondo. — Chi è… era… John Keats?
— Un poeta.
— Quando visse, John?
— Dal 1795 al 1821.
— Secondo quale calendario, John?
— Quello della Vecchia Terra — risposi. — Pre-Egira. Era moderna…
Intervenne Hermund, con voce agitata. — John, sei… sei in contatto con il TecnoNucleo, in questo momento?
— Sì.