Ma aspetto all'interno della Sfinge che lo Shrike passi, portando il tenero carico. Adesso vedo la piccina. Ha solo qualche secondo, è tutta macchiata, bagnata, grinzosa. Piange da consumarsi i polmoni appena nati. Per le mie vecchie attitudini di scapolo e la posa di poeta riflessivo, trovò difficile capire l'attrazione che questa neonata piagnucolante e antiestetica esercita sul padre e sul cosmo.
Eppure, la vista della carne di una neonata, per quanto brutta possa essere, tenuta fra gli artigli muniti di lame dello Shrike, muove qualcosa dentro di me.
Tre passi dentro la Sfinge hanno portato avanti nel tempo di ore lo Shrike e la bambina. Appena al di là dell'ingresso, il fiume del tempo accelera. Se non faccio qualcosa nel giro di secondi, sarà troppo tardi… lo Shrike avrà usato questa porta per trasportare la piccina nel buco tenebroso del remoto futuro da lui cercato, chissà quale.
Non evocate, mi giungono immagini di ragni che prosciugano di ogni fluido le proprie vittime, di vespe sfecidi che seppelliscono le proprie larve nel corpo paralizzato della preda, fonte perfetta di incubazione e di cibo.
Devo agire, ma qui non ho maggiore solidità di quanta ne avessi nel Nucleo. Lo Shrike mi attraversa come se fossi un ologramma non visto. Qui il mio analogo-persona è inutile, monco e insostanziale come uno sbuffo di gas di palude.
Ma il gas di palude non ha cervello: John Keats invece l'aveva.
Lo Shrike muove altri due passi e altre ore passano per Sol e gli altri all'esterno. Vedo sangue, sulle carni della piccina in lacrime, dove le dita affilate dello Shrike hanno tagliato la pelle.
All'inferno anche questo!
Fuori, sull'ampia terrazza di pietra della Sfinge, presi adesso nel diluvio di energie temporali che scorrono all'interno e all'esterno della tomba, ci sono zaini, coperte, contenitori di cibo abbandonati e tutte le cose lasciate lì da Sol e dai pellegrini.
Compreso un cubo di Moebius.
La cassa era stata sigillata con un campo di contenimento classe-8 sulla nave-albero templare Yggdrasill, quando la Voce dell'Albero Het Masteen si era preparato per il lungo viaggio. Conteneva un singolo erg, a volte chiamato anche "legante": una delle piccole creature che forse non sono intelligenti secondo il metro umano, ma che si sono evolute intorno a stelle remote e hanno sviluppato la capacità di controllare campi di forza molto più potenti di quanto non possa fare qualsiasi macchina nota all'umanità.
Per generazioni, Templari e Ouster hanno comunicato con queste creature. I Templari le hanno usate per controllare la ridondanza nelle loro fantastiche ma delicate navi-albero.
Het Masteen ha portato questo essere per centinaia di anni-luce, allo scopo di mantenere l'accordo fra i Templari e la Chiesa della Redenzione Finale, inteso a far volare l'albero di spine dello Shrike. Ma, nel vedere lo Shrike e l'albero del tormento, Masteen non si sentì di portare a termine l'impegno. E così morì.
Il cubo di Moebius rimase. L'erg mi appariva come una sfera compressa di energia rossa nel diluvio del tempo.
Fuori, in una cortina di tenebre, Sol Weintraub era appena visibile… una triste figura comica, accelerata come un personaggio di film muto dal rapido scorrere del tempo soggettivo al di fuori del campo temporale della Sfinge. Ma il cubo di Moebius era all'interno del cerchio della Sfinge.
Rachel pianse, atterrita come può essere anche una neonata. Per la paura di cadere. Per la paura del dolore. Per la paura della separazione.
Lo Shrike mosse un passo: un'altra ora si perse, per quelli all'esterno.
Io non avevo sostanza, per lo Shrike; ma i campi di energia sono qualcosa che anche noi spettri dell'analogo-Nucleo possiamo toccare. Annullai il campo di contenimento del cubo di Moebius. Liberai l'erg.
I Templari comunicano con gli erg mediante emissioni elettromagnetiche, impulsi in codice, semplici ricompense di radiazioni quando la creatura fa quel che le chiedono… ma in primo luogo mediante una quasi mistica forma di contatto che solo la Confraternita e alcuni Ouster esotici conoscono. Gli scienziati la definiscono una rozza forma di telepatia. In verità è empatia quasi pura.
Lo Shrike muove un altro passo nel portale spalancato sul futuro. Rachel piange con l'energia che solo chi è appena venuto all'universo sa trovare.
L'erg si espande, capisce, si fonde con la mia persona. John Keats assume sostanza e forma.
Compio in fretta i cinque passi che mi separano dallo Shrike, gli tolgo di mano la piccina e arretro. Anche nel gorgo di energia che è la Sfinge, sento il profumo di freschezza della neonata, mentre la tengo contro il petto e con la mano a coppa mi strìngo alla guancia la testolina bagnata.
Lo Shrike si gira di scatto, sorpreso. Quattro braccia si protendono, lame si aprono di colpa, occhi rossi si puntano su di me. Ma la creatura è troppo vicina al portale stesso. Senza muoversi, arretra, risucchiata dal flusso turbolento del tempo. Le fauci simili a una pala meccanica a vapore si spalancano, denti di acciaio digrignano, ma lo Shrike è già sparito, un puntino in lontananza. Anche meno.
Mi giro verso l'ingresso, ma è troppo lontano. L'energia drenante dell'erg può portarmi fin lì, controcorrente, ma non con Rachel. Portare un'altra creatura vivente così lontano contro una forza tanto poderosa è impresa superiore alle mie possibilità, anche con l'aiuto dell'erg.
La bambina piange e io la cullo gentilmente, mormorando parole dolci.
Se non possiamo andare indietro e non dobbiamo andare avanti, ci fermeremo qui per un poco. Forse passerà qualcuno.
Martin Sileno sbarrò gli occhi. Brawne Lamia si girò di scatto, vide lo Shrike librato a mezz'aria, sopra e dietro di lei.
— Merda santa — mormorò in tono reverente.
Nel Palazzo dello Shrike, gradinate di corpi addormentati si allontanarono nel buio; ogni persona, tranne Martin Sileno, era sempre collegata mediante il cordone ombelicale pulsante all'albero di spine, alla macchina IF e a Dio sa cos'altro.
Quasi a dimostrare il suo potere in quel luogo, lo Shrike aveva smesso di salire, aveva spalancato le braccia, era volato in alto e ora si librava a cinque metri dal gradino di pietra dove Brawne era accucciata a fianco di Martin Sileno.
— Fa' qualcosa — bisbigliò Sileno. Il poeta, non più collegato al cordone di shunt neurale, era ancora troppo debole per tenere alzata la testa.
— Suggerimenti? — disse Brawne, ma la domanda coraggiosa fu un poco rovinata dal tremito nella voce.
— Abbi fede — disse una voce proveniente dal basso. Brawne cambiò posizione per guardare di sotto.
Molto più in basso c'era la giovane donna che aveva riconosciuto come Moneta nella tomba di Kassad.
— Aiuto! — gridò Brawne.
— Abbi fede — disse Moneta. E sparì. Lo Shrike non si era distratto. Abbassò le mani e si mosse in avanti come se camminasse su solida pietra, non in aria.
— Merda — mormorò Brawne.
— Idem — gracchiò Martin Sileno. — Dalla padella alla merdosa brace.
— Sta' zitto — lo rimbeccò Brawne. Poi, quasi tra sé: — Fede in che cosa? In chi?
— Nello Shrike del cazzo che ci uccida o che ci infilzi tutt'e due in quell'albero di merda — ansimò Sileno. Riuscì a muoversi quel tanto che bastava per afferrarle il braccio. — Meglio morire che tornare sull'albero, Brawne.
Brawne gli toccò brevemente la mano e si alzò: cinque metri di aria la separavano dallo Shrike.
Fede? Brawne protese il piede, tastò il vuoto; per un secondo chiuse gli occhi. Li riaprì, quando le parve di toccare un gradino solido.
Sotto il piede c'era solo aria.