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— Il colonnello Kassad ti ha conosciuta come Moneta — disse Martin Sileno.

— Mi conoscerà come Moneta — precisò Rachel, con occhi velati. — L'ho visto morire e ho accompagnato nel passato la sua tomba. So che parte della mia missione è quella di incontrare questo leggendario guerriero per guidarlo nel futuro alla battaglia finale. In realtà ancora non l'ho incontrato. — Guardò giù nella valle, verso il Monolito di Cristallo. — Moneta - disse, pensierosa. — In latino significa "ammonitrice". Un nome appropriato. Gli lascerò scegliere come chiamarmi: Moneta, o Mnemosine… memoria.

Sol non aveva lasciato la mano della figlia. E non la lasciò adesso. — Viaggi indietro nel tempo, insieme con le Tombe? Perché? Come?

Rachel sollevò la testa e la luce riflessa delle lontane pareti rocciose le illuminò il viso. — È il mio ruolo, papà. Il mio compito. Mi hanno dato i mezzi per tenere a bada lo Shrike. E solo io ero… preparata.

Sol alzò più in alto la piccina. Svegliata bruscamente, lei soffiò una bolla di saliva, girò il viso contro la spalla del padre in cerca di calore e con i piccoli pugni gli afferrò la camicia.

— Preparata — disse Sol. — Ti riferisci al morbo di Merlino?

— Sì.

— Ma tu non sei stata allevata in chissà quale mondo misterioso del futuro. Sei cresciuta a Crawford, in Fertig Street, sul Mondo di Barnard, e la tua… — Si bloccò.

Rachel annuì. — Lei crescerà… lassù. Papà, mi spiace, devo andare. — Si liberò la mano, scese gli scalini e toccò brevemente la guancia di Melio Arundez. — Ti chiedo scusa per il dolore del ricordo — disse piano all'archeologo stupito. — Per me è stata, letteralmente, una vita diversa.

Arundez batté le palpebre e trattenne un momento la mano sulla guancia.

— Sei sposato? — domandò piano Rachel. — Figli?

Arundez annuì e mosse la mano come se volesse togliere di tasca le foto della moglie e dei figli adulti; si bloccò, annuì di nuovo.

Rachel sorrise, gli diede un rapido bacio sulla guancia e risalì i gradini. Il mondo splendeva per il sole appena sorto, ma la porta della Sfinge era ancora più luminosa.

— Papà — disse Rachel. — Ti voglio bene.

Sol cercò di parlare, si schiarì la voce. — Come… come ti raggiungo… lassù?

Rachel indicò la porta spalancata della Sfinge. — Per alcuni sarà una porta nel tempo di cui ho parlato. Ma, papà… — Esitò. — Significherà allevarmi di nuovo. Significa soffrire per tutta la mia infanzia una terza volta. A nessun genitore si dovrebbe chiedere un'esperienza del genere.

Sol riuscì a trovare un sorriso. — Nessun genitore la rifiuterebbe, Rachel — Cambiò di braccio la piccina addormentata. — Ci sarà un tempo in cui… voi due…?

— Coesisteremo di nuovo? No. Ora vado per l'altra strada. Non immagini neppure le difficoltà che ho avuto, con la Commissione Paradossi, per ottenere l'approvazione di questo unico incontro.

— Commissione Paradossi? — disse Sol.

Rachel inspirò a fondo. Ormai solo con la punta delle dita toccava la mano del padre e tutt'e due tendevano il braccio. — Devo andare, papà.

— Sarò… — Sol guardò la piccina. — Saremo da soli… lassù?

Rachel rise e la risata era così familiare che si chiuse come una mano calda intorno al cuore di Sol. — Oh, no — disse Rachel. — Non da soli. Ci sono persone fantastiche, lì. Cose meravigliose da imparare e da fare. Splendidi luoghi da vedere… — Si guardò intorno. — Luoghi che ancora non avete immaginato neppure nei sogni più pazzeschi. No, papà, non sarete da soli. E ci sarò io, con tutta la mia goffagine giovanile e l'impertinenza di ragazza. — Arretrò di un passo e le dita scivolarono via da quelle di Sol.

— Aspetta un poco, prima di varcare la porta, papà — gli gridò, muovendosi nell'intensa luce. — Non fa male, ma una volta dentro non puoi tornare indietro.

— Rachel, aspetta — disse Sol.

Rachel indietreggiò, con la lunga veste che strisciava sulla pietra, finché non fu circondata di luce. Alzò il braccio. — Ciao ciao, maramao.

Sol alzò la mano. — A fra poco, bel topo.

La Rachel adulta svanì nella luce.

La piccina si svegliò e cominciò a piangere.

Trascorse più di un'ora, prima che Sol e gli altri tornassero alla Sfinge. Erano andati alla nave per medicare le ferite di Brawne e di Martin Sileno, per mangiare, per eguipaggiare Sol e la piccina per il viaggio.

— Mi sento sciocco a preparare i bagagli per quello che potrebbe essere come varcare un teleporter — disse Sol. — Ma, per quanto meraviglioso sia questo futuro, se non ci sono nutripac per neonati e pannolini da buttare dopo l'uso, siamo nei guai.

Con un sorriso, il Console diede un colpetto allo zaino pieno posato sui gradini. — Questo dovrebbe bastare a te e alla piccina per le prime due settimane — disse. — Se a quel punto non hai trovato un servizio pannolini, passa in uno degli altri universi di cui parlava Rachel.

Sol scosse la testa, — Mi sembra tutto un sogno.

— Aspetti qualche giorno, qualche settimana — disse Melio Arundez. — Rimanga qui con noi, finché le cose non si sistemano. Non c'è fretta. Il futuro non scappa.

Sol si grattò la barba, mentre allattava la figlia usando una delle confezioni preparate dalla nave. — Non siamo sicuri che questo portale resti sempre aperto — disse. — E poi, potrebbe mancarmi il coraggio. Sono assai anziano per rimettermi ad allevare un figlio… soprattutto nei panni di straniero in un mondo straniero.

Arundez posò sulla spalla di Sol la mano robusta. — Mi lasci venire con lei. Muoio dalla curiosità di vedere quel luogo.

Sol sorrise, tese la mano, strinse con fermezza quella di Arundez. — Grazie, amico mio. Ma lei ha moglie e figli, nella Rete… su Vettore Rinascimento… che aspettano il suo ritorno. Anche lei ha i suoi doveri.

Arundez guardò il cielo. — Se il ritorno sarà possibile.

— Torneremo — disse il Console, in tono privo di emozione. — Il volo spaziale con l'antiquato motore Hawking funziona ancora, anche se la Rete è svanita per sempre. Accumulerà alcuni anni di debito temporale, ma farà ritorno.

Sol terminò di allattare la piccina, si mise sulla spalla un pannolino di stoffa pulito e diede alla figlia un colpetto deciso sulla schiena. Guardò gli altri. — Abbiamo tutti i nostri doveri — disse. Strinse la mano a Martin Sileno. Il poeta aveva rifiutato di infilarsi nel bagno di liquido nutritivo e di farsi togliere con una piccola operazione chirurgica la presa shunt neurale. «Non è la prima volta che porto uno di questi affari» aveva detto.

— Continuerai il tuo poema? — domandò Sol.

— L'ho terminato, là sull'albero — rispose Sileno. — E ho scoperto un'altra cosa, Sol.

Lo studioso inarcò il sopracciglio.

— Ho imparato che i poeti non sono Dio, ma se c'è un Dio… o qualcosa che si avvicini a un Dio… questo è un poeta. E un poeta fallito, nella fattispecie.

La piccola Rachel fece il ruttino.

Martin Sileno sorrise e strinse la mano di Sol ancora una volta.

— Fagli vedere, lassù, Weintraub. Di' a tutti che sei il loro bis-bis-bis-bis-bisnonno e che se non si comportano bene gli lisci il pelo.

Sol annuì e passò a Brawne Lamia. — Ti ho vista conferire con il terminale medico della nave — disse. — Tutto a posto, per te e per il figlio che aspetti?

Brawne sorrise. — Tutto a posto.

— Maschio o femmina?

— Femmina.

Sol la baciò sulla guancia. Brawne gli toccò la barba e girò il viso per nascondere lacrime sconvenienti a un'ex investigatrice privata.

— Le femmine danno un mucchio di fastidi — disse Sol, districando le piccole dita di Rachel dalla barba e dai ricci di Brawne.

— Scambia la tua con un maschio, alla prima occasione.

— D'accordo — disse Brawne, scostandosi.

Sol strinse ancora la mano al Console, a Theo e a Melio, si mise in spalla lo zaino, mentre Brawne reggeva la piccina, poi prese in braccio Rachel. — Una caduta di tono davvero notevole, se quest'affare non funziona e mi ritrovo a vagare nell'interno della Sfinge — disse.