— Eppure sembra che il Nucleo si sia assunto la responsabilità degli esseri umani, nei secoli a partire dalla Secessione delle IA — disse Gladstone. Mi fissava intensamente, come se valutasse qualcosa basandosi sulla mia espressione.
Guardai il giardino. Il sentiero brillava, bianco, quasi irreale nel buio. — Il Nucleo opera secondo fini propri — dissi, pur sapendo che nessun essere umano conosceva questo fatto meglio del PFE Meina Gladstone.
— E lei ritiene che l'umanità non rappresenti più un mezzo verso questi fini?
Mossi la destra in un gesto sprezzante. — Sono una creatura che non appartiene a queste due culture — dissi. — E neppure graziata dall'innocenza dei creatori involontari, né maledetta dalla terribile consapevolezza delle proprie creature.
— Dal punto di vista genetico, lei è pienamente umano.
Non era una domanda. Non risposi.
— Fu detto che Gesù Cristo fosse pienamente umano — riprese Gladstone. — E anche pienamente divino. Umanità e divinità al punto d'intersezione.
Mi meravigliai che facesse riferimento a quell'antica religione. Il Cristianesimo era stato rimpiazzato dapprima dal Cristianesimo Zen, poi dallo Gnosticismo Zen, poi da un centinaio di teologie e di filosofie più vitali. Il mondo natale del PFE non era un ricettacolo di credenze già scartate: presumevo, e mi auguravo, che non lo fosse nemmeno Gladstone. — Se era pienamente uomo e pienamente Dio — replicai — allora sono la sua immagine di antimateria.
— No — disse Gladstone. — Ritengo che questa definizione corrisponda allo Shrike che in questo momento si confronta con i suoi amici pellegrini.
La fissai. Per la prima volta con me aveva citato lo Shrike, anche se sapevo — e lei sapeva che sapevo — che proprio il piano di Gladstone aveva indotto il Console ad aprire le Tombe del Tempo e a liberare quella creatura.
— Forse avrebbe dovuto prendere parte al pellegrinaggio, signor Severn — disse il PFE.
— In un certo senso, vi prendo parte — replicai.
Gladstone mosse la mano e materializzò una porta per i suoi alloggi privati. — Sì, in un certo senso vi prende parte — ammise. — Ma se la donna che porta in sé la sua controparte finisce crocifissa sul leggendario albero di spine dello Shrike, lei, signor Severn, soffrirà in sogno per l'eternità?
Non sapevo che cosa rispondere, quindi rimasi lì, zitto.
— Parleremo ancora domattina, dopo la conferenza — disse Meina Gladstone. — Buona notte, signor Severn. Sogni d'oro.
8
Martin Sileno, Sol Weintraub e il Console risalgono barcollando le dune in direzione della Sfinge, mentre Brawne Lamia e Fedmahn Kassad tornano portando il corpo di padre Hoyt. Weintraub si stringe nel mantello, cerca di riparare la piccina dalla furia delle raffiche di sabbia e dal crepitio luminoso. Guarda Kassad discendere la duna, con le gambe lunghe e nere da vignetta umoristica contro la sabbia elettrizzata, mentre le braccia e le mani di Hoyt penzolano e si muovono lievemente a ogni scivolone e a ogni passo.
Sileno grida, ma il vento porta via le parole. Brawne Lamia indica l'unica tenda ancora in piedi; la tempesta ha fatto crollare o ha strappato le altre. Si affollano nella tenda di Sileno, il colonnello Kassad per ultimo, passando con gentilezza agli altri il corpo. Nella tenda, le urla superano il crepitio della tela di fibroplastica e il rumore dei fulmini, simile a fruscio di carta strappata.
— Morto? — grida il Console, togliendo il mantello che Kassad ha avvolto intorno al corpo nudo di Hoyt. Il crucimorfo brilla, roseo.
Il colonnello indica i rivelatori che ammiccano sul medipac militare applicato al torace del prete. Le spie palpitano di luce rossa, a parte quelle gialle dei filamenti e dei noduli di sostentamento del sistema. La testa di Hoyt rotola all'indietro e rivela la sutura a forma di millepiedi che tiene insieme i lembi frastagliati dello squarcio alla gola.
Weintraub cerca manualmente le pulsazioni; non ne trova. Si china, posa l'orecchio sul petto del prete. Non c'è battito cardiaco, ma il gonfiore del crucimorfo è tiepido, contro la guancia. Weintraub guarda Brawne Lamia. — Lo Shrike?
— Sì… penso… non so. — Indica l'antica rivoltella che ancora stringe in mano. — Ho vuotato il caricatore. Dodici colpi contro… contro qualsiasi cosa fosse.
— L'hai visto? — domanda il Console a Kassad.
— No. Sono entrato nella stanza dieci secondi dopo Brawne, ma non ho visto niente.
— E i tuoi stronzissimi marchingegni militari? — dice Martin Sileno. Se ne sta rannicchiato in fondo alla tenda, quasi in posizione fetale. — Tutta quella merda della FORCE non ha mostrato niente?
— No.
Dal medipac proviene un lieve segnale acustico; Kassad stacca dalla cintura un'altra cartuccia di plasma e la inserisce nella fessura del medipac; torna a sedersi sui talloni e abbassa il visore per osservare l'apertura della tenda. La voce è distorta dal microfono del casco.
— Ha perso più sangue di quanto possiamo compensare qui. Qualcuno ha portato una valigetta di pronto soccorso?
Weintraub fruga nella sacca. — Ho l'equipaggiamento essenziale. Ma non basta, questa volta. Chi gli ha tagliato la gola, ha reciso tutto.
— Lo Shrike — mormora Martin Sileno.
— Non importa — dice Lamia, stringendosi nelle braccia per smettere di tremare. — Dobbiamo trovargli aiuto. — Guarda il Console.
— È morto — obietta il Console. — Neppure l'attrezzatura chirurgica di una nave lo riporterebbe in vita.
— Dobbiamo fare il tentativo! — grida Lamia, afferrando il Console per la camicia. — Non possiamo lasciarlo a quelle… robacce. — Indica il crucimorfo che brilla sotto la pelle del torace del morto.
Il Console si strofina gli occhi. — Possiamo distruggere il cadavere. Usare il fucile del colonnello e…
— Moriremo tutti, se non ci togliamo da questa tempesta di merda! — urla Sileno. La tenda vibra, a ogni raffica il telo di fibroplastica sbatte contro la testa del poeta. Il frastuono di sabbia contro stoffa sembra un razzo in fase di decollo proprio davanti alla tenda.
— Chiama la maledetta nave! Chiamala!
Il Console tira a sé la sacca, come per proteggere l'antiquato comlog. Gocce di sudore gli brillano sulle guance e sulla fronte.
— Possiamo rifugiarci in una Tomba e aspettare che la tempesta finisca — propone Sol Weintraub. — Nella Sfinge, per esempio.
— Non dire cazzate — ribatte Martin Sileno.
Lo studioso cambia posizione nello spazio ristretto e fissa il poeta.
— Hai fatto tutta questa strada per trovare lo Shrike. Vuoi dire d'avere cambiato idea, adesso che a quanto pare ha fatto la prima comparsa?
Da sotto l'orlo del berretto calato sulla fronte gli occhi di Sileno mandano lampi. — Non dico niente, tranne che voglio qui quella maledetta nave, e la voglio subito!
— Forse è una buona idea — dice il colonnello Kassad.
Il Console lo guarda.
— Se esiste una sola possibilità di salvare Hoyt, dovremmo fare il tentativo.
Il Console soffre. — Non possiamo andarcene — dice. — Non possiamo andarcene proprio ora.
— No — conviene Kassad. — Non useremo la nave per andarcene. Ma l'attrezzatura chirurgica potrebbe aiutare Hoyt. E potremmo aspettare a bordo che la tempesta finisca.
— E forse scoprire cosa succede lassù — dice Brawne Lamia, muovendo il pollice verso il tetto della tenda.
La piccina, Rachel, strilla a pieni polmoni. Weintraub la culla, le sorregge la testa. — Sono d'accordo — dice. — Se vuole, lo Shrike ci trova anche nella nave. Ci assicureremo che nessuno se ne vada. — Tocca il petto di Hoyt. — Per quanto suoni orribile, l'attrezzatura chirurgica ci fornirebbe dati di valore incalcolabile sull'attività del parassita.
— E va bene — dice il Console. Estrae dallo zaino l'antico comlog, posa la mano sul diskey e mormora alcune frasi.
— Viene? — domanda Martin Sileno.
— Ha confermato l'ordine. Dobbiamo ammucchiare i bagagli per il trasferimento. Ho detto alla nave di atterrare proprio all'ingresso della valle.