Il vento ha continuato a riforzarsi e ora ruggisce intorno a Kassad, riduce a zero la visibilità normale e tempesta la tuta blindata. Le dune brillano di scariche, fulmini in miniatura scoppiettano intorno agli stivali e alle gambe di Kassad, mentre il colonnello avanza deciso per non perdere di vista la traccia termica di Lamia. Riceve il flusso di dati proveniente dal comlog aperto della donna. I canali chiusi di Hoyt rivelano solo che il prete è vivo e che si muove.
Kassad passa sotto l'ala tesa della Sfinge, la sente incombergli addosso come un enorme tacco di stivale. Poi si dirige nella valle, dove la Tomba di Giada compare come assenza di calore nell'infrarosso, un freddo contorno. In quel momento Hoyt varca l'apertura semisferica; Lamia è indietro di venti metri. Niente altro si muove, nella valle. I rivelatori intorno al campo, nascosti dalla notte e dalla tempesta, dicono che Sol e la piccina dormono, che il Console è sveglio ma non si muove, che non c'è nessuno, all'interno del perimetro.
Kassad toglie la sicura al fucile e avanza a grandi passi. In quel momento darebbe qualsiasi cosa per avere accesso a un satellite di ricognizione, per la completezza dei canali tattici, anziché accontentarsi del quadro parziale di una situazione frammentaria. Dentro la tuta blindata, scrolla le spalle e continua ad avanzare.
Brawne Lamia quasi non porta a termine gli ultimi quindici metri del viaggio alla Tomba di Giada. Il vento è salito a raffiche di burrasca e la spinge, tanto da farle perdere l'equilibrio due volte e mandarla lunga distesa sulla sabbia. I fulmini ora sono reali, lacerano il cielo con grandi scoppi luminosi che illuminano la tomba lucente più avanti. Due volte lei cerca di chiamare Hoyt, Kassad, o gli altri, convinta che al campo nessuno possa dormire con quel frastuono, ma il comlog e gli impianti le danno solo statiche, le bande registrano solo farfugliamenti. Dopo la seconda caduta, Lamia si alza in ginocchio e guarda avanti; non c'è stato segno di Hoyt, dopo la fuggevole visione di qualcuno che si muoveva verso l'ingresso.
Lamia stringe la rivoltella automatica e si tira in piedi; si lascia spingere dal vento per gli ultimi metri. Si sofferma davanti alla semisfera d'ingresso.
Che sia dovuto alla tempesta e alle scariche elettriche oppure ad altro, la Tomba di Giada brilla di un vivido verde bilioso che colora le dune e illividisce i polsi e le mani della donna, facendoli sembrare resti appena usciti dalla fossa. Lamia fa un ultimo tentativo di evocare qualcuno nel comlog, poi entra nella tomba.
Padre Lenar Hoyt, della Compagnia di Gesù antica di milleduecento anni, residente a Nuovo Vaticano su Pacem e servo leale di Sua Santità Papa Urbano XVI, in quel momento urla frasi oscene.
Hoyt è perduto e soffre disperatamente. Le ampie stanze vicino all'entrata della Tomba di Giada si sono ristrette, il corridoio ha fatto tante di quelle svolte che ora padre Hoyt non trova più la strada in una serie di catacombe, vaga fra pareti che risplendono di luce verdastra, in un labirinto che non ricorda d'avere visto durante l'esplorazione del giorno precedente né rilevato sulle mappe lasciate al campo. Il dolore — dolore che è stato con lui da anni, dolore che l'ha accompagnato da quando la tribù dei Bikura gli impiantò i due crucimorfi, il suo e quello di Paul Duré — ora minaccia di farlo impazzire, con la sua rinnovata intensità.
Il corridoio si stringe di nuovo. Lenar Hoyt urla, non si rende più conto di urlare, né delle parole che grida… parole che non ha più adoperato da quando era bambino. Vuole liberazione. Liberazione dal dolore. Liberazione dal fardello di portare il DNA di padre Duré, la personalità… l'anima!… di Duré, nel parassita a forma di croce che ha sulla schiena. E dalla terribile sciagura della propria risurrezione nel crucimorfo che ha sul petto.
E mentre urla, Hoyt capisce che non sono stati i Bikura ormai estinti a condannarlo a una simile sofferenza: i coloni che formavano quella tribù perduta, risuscitati dal proprio crucimorfo tante di quelle volte da essere divenuti idioti, semplice veicolo del proprio DNA e di quello del parassita, erano stati anche sacerdoti… sacerdoti dello Shrike.
Padre Hoyt della Compagnia di Gesù ha portato con sé una fiala d'acqua santa benedetta da Sua Santità, un'Ostia consacrata durante una Messa solenne e una copia dell'antico rito d'esorcismo della Chiesa. Tutte cose adesso dimenticate, chiuse in una bolla di perspex, tenute in una tasca del mantello.
Hoyt barcolla contro la parete e urla di nuovo. Ora la sofferenza è una forza che sfida ogni descrizione, che non reagisce all'effetto della fiala d'ultramorfina che Hoyt si è iniettato solo quindici minuti prima. Il prete urla e si artiglia le vesti, si strappa il pesante mantello, la tonaca nera e il solino rigido, i calzoni e la camicia e la biancheria, finché non rimane tutto nudo a rabbrividire di dolore e di freddo nei corridoi lucenti della Tomba di Giada e a urlare oscenità nella notte.
Avanza di nuovo barcollando, trova un'apertura, passa in una sala più ampia di quanto non ricordi dalle precedenti esplorazioni. Pareti spoglie e trasparenti si alzano per trenta metri su ogni lato dello spazio vuoto. Hoyt cade sulle mani e sulle ginocchia, guarda in basso e si rende conto che il pavimento è divenuto quasi trasparente. Adesso la sottile membrana del pavimento lo separa da un pozzo verticale che sprofonda per un chilometro o più nelle fiamme. La stanza si riempie della luce rossastra e pulsante che proviene dal fuoco sul fondo lontanissimo del pozzo.
Hoyt si rotola sul fianco e ride. Se questa vuole essere un'immagine dell'inferno evocata a suo uso e consumo, è un fiasco. Hoyt vede l'inferno come qualcosa di tattile: il dolore che si muove in lui come fili frastagliati tirati lungo le vene e i visceri. Inferno è anche il ricordo di bambini affamati nei quartieri poveri di Armaghast e il sorriso dei politici che mandano ragazzi a morire nelle guerre coloniali. Inferno è il pensiero che, durante la sua vita, durante la vita di Duré, la Chiesa si estingue e gli ultimi credenti sono una manciata di vecchi e di vecchie che riempiono solo alcuni banchi delle gigantesche cattedrali su Pacem. Inferno è l'ipocrisia di celebrare la messa del mattino, con il male del crucimorfo che pulsa, caldo, osceno, sopra il suo cuore.
C'è una folata d'aria rovente; una sezione del pavimento scivola via, forma una botola. La stanza si riempie di puzza di zolfo. Hoyt ride, a questo cliché, ma subito la risata si muta in pianto. Ora Hoyt è in ginocchio, con le unghie sanguinanti si gratta i crucimorfi che porta sul petto e sulla schiena. I due gonfiori a forma di croce sembrano brillare nella luce rossastra. Hoyt sente il crepitio della fiamme, in basso.
— Hoyt!
Continuando a piangere, Hoyt si gira: la donna, Lamia, si staglia nel vano d'ingresso. Guarda al di là del prete e alza una rivoltella antica. Ha gli occhi spalancati.
Padre Hoyt sente il calore alle spalle, ode il ruggito d'una fornace lontana, ma su tutto avverte a un tratto il raspare del metallo sulla pietra. Passi. Continuando ad artigliare il gonfiore insanguinato sul petto, Hoyt si gira, si scortica le ginocchia contro il pavimento.
Vede prima l'ombra: dieci metri d'angoli vivi, di spine, di lame… gambe simili a tubature d'acciaio con una rosetta di lame da scimitarra alle ginocchia e alle caviglie. Poi, fra le pulsazioni di luce ardente e d'ombra buia, Hoyt vede gli occhi. Centinaia, migliaia di sfaccettature ardenti di luce rossa, un laser che brilla fra due rubini gemelli, sopra il collare di spine d'acciaio e il torace argento vivo che riflette fiamma e ombra…
Brawne Lamia spara con la rivoltella paterna. Lo schiocco dei colpi echeggia, forte e secco, sopra il rombo della fornace.