— È ancora…?
— Cresce normalmente — rispose sua figlia. Indossava una sorta di tunica di morbida stoffa marrone. Sol scosse la testa, guardò la donna, la vide sorridere, notò sotto il labbro la stessa fossetta della neonata che teneva in braccio.
Scosse di nuovo la testa. — Com'è… com'è possibile?
— Non durerà molto — disse Rachel.
Sol si sporse a baciare di nuovo sulla guancia la figlia adulta. Si rese conto di piangere, ma non liberò l'una o l'altra mano per asciugarsi le lacrime. La Rachel adulta gliele asciugò col dorso della sua, toccandogli gentilmente la guancia.
Sui gradini più in basso ci fu un rumore: i tre uomini scesi dalla nave erano lì fermi, rossi in viso per la corsa; Brawne Lamia aiutava il poeta Sileno a mettersi a sedere sulla lastra bianca della ringhiera di pietra.
Il Console e Theo Lane alzarono lo sguardo.
— Rachel… — mormorò Melio Arundez, con occhi umidi.
— Rachel? - Martin Sileno corrugò la fronte, con un'occhiata a Brawne Lamia.
Brawne fissava a bocca aperta la donna. — Moneta — disse, segnandola a dito; quando si rese conto del gesto, abbassò la mano. — Tu sei Moneta. La Moneta… di Kassad.
Rachel annuì, senza più sorridere. — Ho ancora un paio di minuti, qui. E molte cose da dirvi.
— No — disse Sol, prendendo la mano della figlia adulta — devi restare. Voglio che resti con me.
Rachel sorrise di nuovo. — Resterò con te, papà — disse piano, alzando l'altra mano a sfiorare la testa della piccina. — Ma solo una di noi due può restare… e lei ha più bisogno di te. — Si rivolse al gruppetto in basso. — Ascoltate, per favore, tutti voi.
Mentre il sole si alzava e bagnava di luce gli edifici in rovina della Città dei Poeti, la nave del Console, le pareti di roccia a ovest e le Tombe più alte, Rachel raccontò la storia breve e interessante di come fosse stata scelta per essere allevata in un futuro dove la guerra finale infuriava fra le IA generate dal Nucleo e lo spirito umano. Era, disse, un futuro pieno di misteri terrificanti e meravigliosi, dove la razza umana si era diffusa in tutta la galassia e aveva iniziato a viaggiare altrove.
— In altre galassie? — domandò Theo Lane.
— In altri universi — sorrise Rachel.
— Il colonnello Kassad ti ha conosciuta come Moneta — disse Martin Sileno.
— Mi conoscerà come Moneta — precisò Rachel, con occhi velati. — L'ho visto morire e ho accompagnato nel passato la sua tomba. So che parte della mia missione è quella di incontrare questo leggendario guerriero per guidarlo nel futuro alla battaglia finale. In realtà ancora non l'ho incontrato. — Guardò giù nella valle, verso il Monolito di Cristallo. — Moneta - disse, pensierosa. — In latino significa "ammonitrice". Un nome appropriato. Gli lascerò scegliere come chiamarmi: Moneta, o Mnemosine… memoria.
Sol non aveva lasciato la mano della figlia. E non la lasciò adesso. — Viaggi indietro nel tempo, insieme con le Tombe? Perché? Come?
Rachel sollevò la testa e la luce riflessa delle lontane pareti rocciose le illuminò il viso. — È il mio ruolo, papà. Il mio compito. Mi hanno dato i mezzi per tenere a bada lo Shrike. E solo io ero… preparata.
Sol alzò più in alto la piccina. Svegliata bruscamente, lei soffiò una bolla di saliva, girò il viso contro la spalla del padre in cerca di calore e con i piccoli pugni gli afferrò la camicia.
— Preparata — disse Sol. — Ti riferisci al morbo di Merlino?
— Sì.
— Ma tu non sei stata allevata in chissà quale mondo misterioso del futuro. Sei cresciuta a Crawford, in Fertig Street, sul Mondo di Barnard, e la tua… — Si bloccò.
Rachel annuì. — Lei crescerà… lassù. Papà, mi spiace, devo andare. — Si liberò la mano, scese gli scalini e toccò brevemente la guancia di Melio Arundez. — Ti chiedo scusa per il dolore del ricordo — disse piano all'archeologo stupito. — Per me è stata, letteralmente, una vita diversa.
Arundez batté le palpebre e trattenne un momento la mano sulla guancia.
— Sei sposato? — domandò piano Rachel. — Figli?
Arundez annuì e mosse la mano come se volesse togliere di tasca le foto della moglie e dei figli adulti; si bloccò, annuì di nuovo.
Rachel sorrise, gli diede un rapido bacio sulla guancia e risalì i gradini. Il mondo splendeva per il sole appena sorto, ma la porta della Sfinge era ancora più luminosa.
— Papà — disse Rachel. — Ti voglio bene.
Sol cercò di parlare, si schiarì la voce. — Come… come ti raggiungo… lassù?
Rachel indicò la porta spalancata della Sfinge. — Per alcuni sarà una porta nel tempo di cui ho parlato. Ma, papà… — Esitò. — Significherà allevarmi di nuovo. Significa soffrire per tutta la mia infanzia una terza volta. A nessun genitore si dovrebbe chiedere un'esperienza del genere.
Sol riuscì a trovare un sorriso. — Nessun genitore la rifiuterebbe, Rachel — Cambiò di braccio la piccina addormentata. — Ci sarà un tempo in cui… voi due…?
— Coesisteremo di nuovo? No. Ora vado per l'altra strada. Non immagini neppure le difficoltà che ho avuto, con la Commissione Paradossi, per ottenere l'approvazione di questo unico incontro.
— Commissione Paradossi? — disse Sol.
Rachel inspirò a fondo. Ormai solo con la punta delle dita toccava la mano del padre e tutt'e due tendevano il braccio. — Devo andare, papà.
— Sarò… — Sol guardò la piccina. — Saremo da soli… lassù?
Rachel rise e la risata era così familiare che si chiuse come una mano calda intorno al cuore di Sol. — Oh, no — disse Rachel. — Non da soli. Ci sono persone fantastiche, lì. Cose meravigliose da imparare e da fare. Splendidi luoghi da vedere… — Si guardò intorno. — Luoghi che ancora non avete immaginato neppure nei sogni più pazzeschi. No, papà, non sarete da soli. E ci sarò io, con tutta la mia goffagine giovanile e l'impertinenza di ragazza. — Arretrò di un passo e le dita scivolarono via da quelle di Sol.
— Aspetta un poco, prima di varcare la porta, papà — gli gridò, muovendosi nell'intensa luce. — Non fa male, ma una volta dentro non puoi tornare indietro.
— Rachel, aspetta — disse Sol.
Rachel indietreggiò, con la lunga veste che strisciava sulla pietra, finché non fu circondata di luce. Alzò il braccio. — Ciao ciao, maramao.
Sol alzò la mano. — A fra poco, bel topo.
La Rachel adulta svanì nella luce.
La piccina si svegliò e cominciò a piangere.
Trascorse più di un'ora, prima che Sol e gli altri tornassero alla Sfinge. Erano andati alla nave per medicare le ferite di Brawne e di Martin Sileno, per mangiare, per eguipaggiare Sol e la piccina per il viaggio.
— Mi sento sciocco a preparare i bagagli per quello che potrebbe essere come varcare un teleporter — disse Sol. — Ma, per quanto meraviglioso sia questo futuro, se non ci sono nutripac per neonati e pannolini da buttare dopo l'uso, siamo nei guai.
Con un sorriso, il Console diede un colpetto allo zaino pieno posato sui gradini. — Questo dovrebbe bastare a te e alla piccina per le prime due settimane — disse. — Se a quel punto non hai trovato un servizio pannolini, passa in uno degli altri universi di cui parlava Rachel.
Sol scosse la testa, — Mi sembra tutto un sogno.
— Aspetti qualche giorno, qualche settimana — disse Melio Arundez. — Rimanga qui con noi, finché le cose non si sistemano. Non c'è fretta. Il futuro non scappa.