Выбрать главу

— No — dissi. — O meglio, solo per quanto riguarda l'effetto di Hyperion sul risultato. Le altre variabili sono chiare.

— Uccidilo — gridò Hermund Philomel. — Uccidi questo… oggetto. Così possiamo andarcene e informare Harbrit e gli altri.

— D'accordo — disse lady Diana. Poi, l'attimo dopo: — No, non il laser, idiota. Gli inietteremo la dose letale d'alcol, secondo il piano. Tieni, reggi la manetta a osmosi, così collego la fleboclisi.

Sentii una pressione al braccio destro. Subito dopo ci furono esplosioni, scosse violente, un grido. Odore di fumo e d'aria ionizzata. Uno strillo di donna.

— Toglietegli la manetta — disse Leigh Hunt. Me lo vedevo, lì in piedi, sempre con il tradizionale abito grigio, circondato dai commandos dell'Esecutivo di Sicurezza in tuta blindata e polimero camaleonte. Un commando alto il doppio di Hunt si mise a tracolla la frustalaser e si precipitò a eseguire l'ordine.

In uno dei canali tattici, che da qualche tempo tenevo sotto controllo, vedevo l'immagine di me stesso… nudo, disteso sul letto, braccia e gambe divaricate, manetta a osmosi al braccio destro e un livido sempre più scuro sulla cassa toracica. Diana Philomel, suo marito e uno dei due gorilla giacevano, privi di conoscenza, fra schegge di legno e frantumi di vetro. L'altro gorilla era riverso sulla soglia: la parte superiore del corpo aveva il colore e la consistenza di una bistecca troppo cotta.

— Sta bene, signor Severn? — domandò Leigh Hunt; mi sollevò la testa e mi mise sul naso e sulla bocca la membrana sottile di una maschera a ossigeno.

— Hrrmmmggh — dissi. — Arrct. — Nuotai alla superficie dei miei sensi come un tuffatore che risalga troppo in fretta dalle profondità. La testa mi doleva. Le costole mi facevano un male d'inferno. Gli occhi ancora non mi funzionavano bene, ma attraverso il canale tattico riuscii a vedere Leigh Hunt piegare le labbra in quella piccola smorfia che passava per un sorriso.

— L'aiuteremo a vestirsi — disse Hunt. — Le daremo del caffè, nel volo di ritorno. Andiamo alla Casa del Governo, signor Severn. È in ritardo all'appuntamento con il PFE.

7

Le battaglie spaziali, nei film e negli olodrammi, mi avevano sempre annoiato, ma una battaglia vera aveva un certo fascino: era un po' come guardare la cronaca dal vivo di una serie di incidenti per il traffico. In effetti, i costi di produzione della realtà — come indubbiamente è sempre stato nei secoli — erano molto inferiori anche allo stanziamento per un olodramma di media qualità. Pur considerando le tremende energie in atto, di fronte a una vera battaglia spaziale si aveva la sconvolgente impressione che lo spazio fosse smisurato e che le flotte e le navi e le corazzate e tutto il resto fossero tremendamente piccole.

Almeno così pensavo, seduto nel Centro d'Informazione Tattica, la cosiddetta Sala di Guerra, con Gladstone e con i suoi sciocchi militari, nel guardare le pareti trasformarsi in buchi di venti metri nell'infinito mentre quattro massicce cornici olografiche ci circondavano con lo scenario tridimensionale e i commentatori riempivano la stanza di trasmissioni astroteclass="underline" chiacchiere radio fra caccia, brontolio di canali tattici di comando, messaggi nave-nave su banda larga, canali laserizzati, astrotel in codice, e tutte le grida, gli urli, gli strilli, le oscenità di battaglia preesistenti a ogni tipo di media, a parte l'aria e la voce umana.

Era una versione drammatica del caos totale, una definizione funzionale della confusione, una danza non coreografica di violenza disperata. Era la guerra.

Gladstone e una manciata di suoi collaboratori sedevano nel mezzo di tutto quel frastuono e quelle luci; la Sala di Guerra galleggiava come un rettangolo dal tappeto grigio fra stelle ed esplosioni, il limbo di Hypcrion era uno splendore color lapislazzuli che riempiva metà della parete olografica nord, le urla dei moribondi erano su ogni canale e in ogni orecchio. Facevo parte della manciata di collaboratori di Gladstone con il privilegio e la maledizione di trovarsi lì.

Il PFE ruotò sulla poltrona a spalliera alta, unì la punta delle dita, si batté il labbro, si rivolse al gruppo di militari. — Cosa ne pensate?

I sette in divise piene di decorazioni si guardarono l'un l'altro, poi sei fissarono il generale Morpurgo. Quest'ultimo mordicchiò il sigaro spento. — Non va come dovrebbe — disse. — Li teniamo lontano dalla posizione del teleporter… lì le nostre difese reggono bene… ma sono penetrati troppo nel sistema.

— Ammiraglio? — disse Gladstone, inclinando d'un millimetro la testa in direzione dell'ufficiale alto e magro in divisa nera della FORCE:spazio.

L'ammiraglio Singh si accarezzò la barbetta. — Il generale Morpurgo ha ragione. La campagna non procede secondo i piani. — Accennò alla quarta parete, dove diversi diagrammi, in gran parte ellissoidi, ovali e archi, erano sovrimpressi su un'inquadratura statica del sistema di Hyperion. Alcuni archi s'ingrandirono. Le vivide linee blu indicavano le traiettorie dell'Egemonia. Le linee rosse, quelle degli Ouster. Le rosse erano molto più numerose delle blu.

— I due trasporti truppe d'assalto assegnati all'Unità Operativa 42 sono stati messi fuori combattimento — continuò l'ammiraglio Singh. — L'Ombra di Olympus è stato distrutto insieme con tutto l'equipaggio e lo Stazione Nettuno è stato gravemente danneggiato, ma in questo momento fa ritorno all'area cislunare d'attracco, sotto scorta di cinque navi torcia.

Gladstone annuì lentamente, sporgendo il labbro fino a toccare la punta delle dita. — Quante persone erano a bordo dell'Ombra di Olympus, ammiraglio?

Gli occhi castani di Singh, larghi come quelli del PFE, non suggerivano la stessa profondità di tristezza. L'ammiraglio resse per alcuni secondi lo sguardo della donna. — Quattromiladuecento — rispose. — Senza contare il distaccamento di marines, pari a seicento unità. Una parte di questi ultimi si è imbarcata alla stazione teleporter di Hyperion, quindi non abbiamo dati precisi sul numero esatto.

Gladstone annuì. Si rivolse di nuovo al generale Morpurgo. — Come mai queste difficoltà improvvise, generale?

Morpurgo era calmo in viso, ma aveva quasi tranciato il sigaro stretto fra i denti. — Un numero di unità da combattimento superiore al previsto, signora — rispose. — Inoltre, hanno i lancer… veicoli a cinque posti, in realtà navi torcia in miniatura, più veloci e meglio armati dei nostri caccia alungo raggio… piccoli, micidiali calabroni. Li distruggiamo a centinaia, ma se un lancer supera lo sbarramento, schizza all'interno delle difese della flotta e semina il panico. — Morpurgo scrollò le spalle. — Più d'uno l'ha superato.

Il senatore Kolchev sedeva dall'altra parte del tavolo, insieme con otto colleghi. Ruotò la poltroncina girevole fino a guardare la mappa tattica. — Si direbbe che abbiano quasi raggiunto Hyperion — disse. La sua voce, famosa in tutta la Rete, era rauca.

Rispose Singh. — Non dimentichi la scala, senatore. A dire il vero controlliamo ancora la maggior parte del sistema. Ogni cosa, nel raggio di dieci UA dal sole di Hyperion, è nostra. La battaglia si è spostata al di là della nube di Oört e al momento ci riorganizziamo.

— E quei… grumi… rossi sopra il piano dell'eclittica? — domandò la senatrice Richeau. Anche lei vestiva di rosso, uno dei suoi tratti caratteristici, al senato.

Singh annuì. — Uno stratagemma interessante — rispose. — Lo Sciame ha scatenato un attacco di circa tremila lancer per completare un movimento a tenaglia contro il perimetro elettronico dell'UO 87.2. L'attacco è stato rintuzzato, ma bisogna ammirare l'astuzia della…

— Tremila lancer? — lo interruppe Gladstone, a bassa voce.