Brawne scosse la testa. — Sono solo gelosa. A quanto pare, un mucchio di gente l'ha visto. Perfino Melio Arundez dice di averlo incontrato a Jacktown.
Brindarono a Melio, che da cinque mesi era andato via, con la prima spin-nave della FORCE diretta alla Rete.
— L'hanno visto tutti, tranne me — disse Brawne, fissando accigliata il bicchiere di cognac e rendendosi conto di dover prendere altre pillole prenatali anti-alcol, prima di andare a letto. Capiva di essere brilla: quella robaccia non avrebbe fatto male alla bambina, se lei avesse preso le pillole, ma l'aveva conciata per le feste.
— Faccio ritorno — annunciò; si alzò e abbracciò il Console. — Voglio essere in piedi presto, e lucida, per assistere al tuo decollo con il sorgere del sole.
— Non vuoi proprio passare la notte a bordo? — domandò il Console. — La stanza degli ospiti ha una bella vista sulla valle.
Brawne scosse la testa. — Ho lasciato al vecchio palazzo tutta la mia roba.
— Parleremo ancora, prima della mia partenza — disse il Console; si abbracciarono di nuovo, in fretta, fingendo di non accorgersi delle lacrime di Brawne.
Martin Sileno accompagnò Brawne alla Città dei Poeti. Si fermarono nella galleria illuminata, all'esterno degli alloggi.
— Eri davvero sull'albero, oppure eri collegato a uno stim-sim, mentre dormivi nel Palazzo dello Shrike? — gli domandò Brawne.
Il poeta non sorrise. Si toccò il petto, dove la spina di acciaio l'aveva trapassato. — Ero un filosofo cinese che sognava di essere una farfalla, oppure una farfalla che sognava di essere un filosofo cinese? È questo, quel che vuoi sapere, ragazza?
— Sì.
— Già — disse piano Sileno. — Sì. Tutt'e due le cose. E tutt'e due erano reali. E facevano male. E ti vorrò bene per sempre, Brawne, per avermi salvato. Per me, sarai sempre capace di camminare nell'aria. — Le prese la mano e gliela baciò. — Entri?
— No, vorrei fare due passi in giardino.
Il poeta esitò. — Va bene. Credo. Abbiamo pattuglie, mecc e umane. E per il momento il nostro Grendel-Shrike non ha fatto l'apparizione bis… ma stai attenta. D'accordo?
— Non dimenticarlo, sono l'ammazza-Grendel. Cammino nell'aria e li trasformo in orchi di vetro per ridurli in frantumi.
— Ah-ha, ma non allontanarti dal giardino. D'accordo, ragazza?
— D'accordo — disse Brawne. Si toccò il ventre. — Saremo prudenti.
Lui aspettava nel giardino, dove la luce non arrivava del tutto e le telecamere non riuscivano a riprendere.
— Johnny! — ansimò Brawne e mosse rapidamente un passo avanti, sul sentiero di ghiaia.
— No — disse lui e scosse la testa, forse con un po' di tristezza. Esattamente gli stessi capelli rossicci, occhi castani, mento volitivo, zigomi alti, sorriso dolce. Vestiva in maniera un poco bizzarra, un pesante giaccone di pelle, cintura larga, scarponi, bastone da montagna e un rozzo berretto di pelliccia, che si tolse nell'avvicinarsi.
Brawne si fermò a meno di un metro. — Ma certo — disse, in poco più di un bisbiglio. Allungò la mano per toccarlo e la mano attraversò il corpo di lui, anche se non c'erano il tremolio e i contorni confusi degli ologrammi.
— Questo posto è ancora ricco nei campi della metasfera — disse Johnny.
— Ah-ha — convenne Brawne, senza capire affatto di cosa parlasse. — Sei l'altro Keats. Il gemello di Johnny.
Il bassotto sorrise e tese la mano come per toccarle il ventre gonfio. — Questo fa di me una sorta di zio, vero, Brawne?
Lei annuì. — Sei stato tu a salvare la piccina… Rachel… vero?
— Sei riuscita a vedermi?
— No — mormorò Brawne. — Ma ho sentito la tua presenza. — Esitò un istante. — Ma tu non eri colui del quale parlò Ummon, la parte Empatia dell'IF umana?
Lui scosse la testa. I ricci mandarono riflessi, nella luce fioca. — Ho scoperto di essere Colui Che Viene Prima. Preparo la via a Colei Che Insegna. Purtroppo il mio unico miracolo è stato prendere in braccio una neonata e aspettare che qualcuno la prendesse a me.
— Mi hai aiutata… con lo Shrike? A stare in aria?
John Keats si mise a ridere. — No. E non è stata neppure Moneta. Sei stata tu, Brawne.
Lei scosse con forza la testa. — Impossibile.
— Non impossibile — disse lui, piano. Allungò la mano per toccarle di nuovo il ventre e lei immaginò di sentire la pressione del suo palmo. Johnny mormorò: — "Tu, sposa ancora intatta della quiete, / tu, figlia adottiva dal silenzio e del tempo lento…" — Guardò in viso Brawne. — Senza dubbio la madre di Colei Che Insegna può esercitare alcune prerogative.
— La madre di… — A un tratto Brawne sentì il bisogno di sedersi e trovò una panchina appena in tempo. Mai prima di allora era stata goffa, ma adesso non riuscì proprio a sedersi con grazia. Pensò, anche se non c'entrava per niente, al dirigibile che sarebbe giunto l'indomani mattina.
— Colei Che Insegna — ripeté Keats. — Non so cosa insegnerà, ma cambierà l'universo e metterà in moto idee che saranno vitali anche fra diecimila anni.
— Mia figlia? — riuscì a dire Brawne, sentendosi mancare l'aria. — La figlia di Johnny e mia?
La persona-Keats si lisciò la guancia. — L'unione di spirito umano e logica IA che Ummon e il Nucleo hanno cercato per tanto tempo, e sono morti senza capire — disse. Avanzò di un passo. — Vorrei solo essere dalle sue parti, quando insegnerà quel che dovrà insegnare. Vedere quale effetto avrà sul mondo. Su questo mondo. Altri mondi.
La mente di Brawne girava vorticosamente. Ma la donna aveva sentito qualcosa, nel suo tono. — Perché? Dove sarai? Cosa non va?
Keats sospirò. — Il Nucleo è morto. Le sfere dati qui sono troppo piccole per contenermi anche in forma ridotta… a parte le IA della nave della FORCE, e quelle non credo che mi piacerebbero. Non ho mai preso bene gli ordini.
— E non c'è altro posto? — domandò Brawne.
— La metasfera — rispose lui, lanciandosi alle spalle un'occhiata. — Ma è piena di leoni, tigri, orsi. E io non sono ancora pronto.
Brawne lasciò correre. — Ho un'idea — disse. Gliela espose.
L'immagine del suo amato le venne più vicino, le mise le braccia al collo. — Tu sì che sei un miracolo, signora mia — disse. Arretrò nelle ombre.
— Sono solo una donna incinta — replicò Brawne. Si posò la mano sul gonfiore sotto la veste. — Colei Che Insegna — mormorò. Poi, a Keats: — D'accordo, tu sei l'arcangelo che annuncia tutto questo. Quale nome devo darle?
Non ricevendo risposta, Brawne alzò lo sguardo.
Fra le ombre non c'era nessuno.
Prima del sorgere del sole, Brawne era già allo spazioporto. Non era esattamente un gruppo allegro, quello che salutava. Al di là della normale tristezza degli addii, Martin, il Console e Theo avevano i postumi della bevuta, dal momento che le pillole doposbronza erano esaurite, nell'Hyperion post-Rete. Solo Brawne era di buon umore.
— Quel maledetto computer della nave si comporta stranamente per tutta la mattina — brontolò il Console.
— Com'è possibile? — sorrise Brawne.
Il Console la guardò storto. — Chiedo di effettuare un normale controllo prima della partenza e la stupida nave mi risponde versi.
— Versi? — disse Sileno, inarcando il sopracciglio da satiro.
— Già… state a sentire. — Il Console mise in funzione il comlog. Una voce ben nota a Brawne disse: