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— Sì, signora.

Gladstone sorrise. Smisi di disegnare e mi rallegrai che quel particolare sorriso non fosse rivolto a me.

— Nella conferenza di ieri non si era detto che gli Ouster avrebbero messo in campo seicento lancer… settecento al massimo? — Le parole erano le stesse di Morpurgo. Gladstone ruotò la poltrona per guardare in viso il generale. Inarcava il sopracciglio.

Morpurgo si tolse di bocca il sigaro, lo fissò, accigliato, si tolse dai denti inferiori un frammento di tabacco. — Erano dati del nostro servizio segreto. Sbagliati.

— La Commissione di Consulenza delle IA era coinvolta in questa valutazione del controspionaggio?

Tutti si girarono verso il consulente Albedo. Costui era una proiezione perfetta: sedeva nella poltroncina fra gli altri, le mani strette sui braccioli, in posizione rilassata; mancava completamente della nebulosità e della trasparenza assai comuni alle proiezioni mobili. Aveva il viso allungato, zigomi alti, bocca espressiva con una traccia di sorriso ironico perfino nei momenti di maggiore serietà. E quello era un momento del genere.

— No, signora — disse il consulente Albedo. — La Commissione non ha avuto la richiesta di valutare le forze degli Ouster.

— Presumevo — disse Gladstone, rivolta sempre a Morpurgo — che le stime del servizio segreto della FORCE tenessero conto anche delle proiezioni della Commissione.

Il generale della FORCE:terra lanciò ad Albedo un'occhiata di fuoco. — No, signora — disse. — Dal momento che il Nucleo dichiara di non avere contatti con gli Ouster, abbiamo ritenuto che le sue proiezioni non fossero migliori delle nostre. Per calcolarle, abbiamo usato la rete SCO:RTS aggregata alle IA. — Si rimise in bocca il sigaro smozzicato, protese il mento e continuò: — La Commissione avrebbe potuto fare di meglio?

Gladstone fissò Albedo.

Il consulente mosse appena le lunghe dita della destra. — Le nostre stime, per questo Sciame, indicavano da quattro a seimila unità da combattimento.

— Lei… — iniziò Morpurgo, paonazzo.

— Lei non ne ha parlato, durante l'incontro informativo — intervenne Gladstone. — E neppure durante le deliberazioni precedenti.

Il consulente Albedo si strinse nelle spalle. — Il generale ha ragione — disse. — Non abbiamo contatti con gli Ouster. Le nostre stime non sono più attendibili di quelle della FORCE; si basano su premesse differenti, ecco tutto. La Scuola Comando Olympus:Rete Tattica Storica fa un lavoro eccellente. Se lì le IA fossero di un solo ordine d'acume più in alto nella scala Turing-Demmler, saremmo costretti a trasferirle nel Nucleo. — Mosse di nuovo la mano in un gesto aggraziato. — Sta di fatto che le premesse della Commissione potranno essere utili per piani futuri. Ovviamente passeremo a questo gruppo tutte le proiezioni, in qualsiasi momento.

Gladstone annuì. — Le passi immediatamente.

Tornò a rivolgersi allo schermo e gli altri la imitarono. I monitor della sala registrarono il silenzio e aumentarono il volume dei ricevitori: di nuovo fu possibile udire le grida di vittoria, le richieste di aiuto, la calma elencazione di posizioni, le direttive di fuoco, gli ordini. La parete più vicina era alimentata in tempo reale dalla nave torcia AE N'Djamena, che cercava superstiti fra i resti del Gruppo di Battaglia B-5. La nave torcia danneggiata alla quale in quel momento si avvicinava, ingrandita mille volte, sembrava una melagrana esplosa, i cui semi e la buccia rossa si riversavano all'esterno con moto lento e ruzzolavano in una nuvola di particelle, di gas, d'idrocarburi volatili congelati, di milioni di microcircuiti strappati dalle intelaiature, di depositi di cibo, d'attrezzature aggrovigliate e — riconoscibili di tanto in tanto per il movimento simile a quello delle marionette di braccia o gambe — di molti, molti corpi umani. Il riflettore della N'Djamena, un fascio luminoso fuori asse di dieci metri dopo il balzo coerente di ventimila miglia, giocava sui relitti congelati e illuminati dalle stelle, mettendo a fuoco singoli oggetti, sfaccettature e facce. Era uno spettacolo bellissimo e orribile a un tempo. Il riflesso rese ancora più vecchio il viso di Gladstone.

— Ammiraglio — disse il PFE — è normale che lo Sciame abbia atteso finché l'Unità Operativa 87.2 non si è teleportata nel sistema?

Singh si toccò la barbetta. — Vuole sapere se era una trappola, signora?

— Sì.

L'ammiraglio lanciò un'occhiata ai colleghi, poi guardò Gladstone. — Credo di no. Pensiamo… io, almeno… che gli Ouster, nel vedere l'elevato numero di forze da noi impiegate, abbiano risposto di conseguenza. Significa tuttavia che sono fermamente decisi a prendere il sistema di Hyperion.

— Possono riuscirci? — domandò Gladstone, continuando a fissare il vortice di relitti in alto sulla parete. Il cadavere di un giovane, metà dentro la tuta spaziale e metà fuori, rotolò verso la telecamera. Si vedevano chiaramente gli occhi e i polmoni scoppiati.

— No — disse l'ammiraglio Singh. — Possono coprirci di sangue. Possono costringerci ad arretrare fino a un perimetro totalmente difensivo intorno a Hyperion stesso. Ma non possono sconfiggerci né mandarci via.

— Né distruggere il teleporter? — La voce della senatrice Richeau era tesa.

— Né distruggere il teleporter — confermò Singh.

— Ha ragione — disse il generale Morpurgo. — Mi ci gioco la carriera.

Gladstone sorrise e si alzò. Gli altri, me compreso, si affrettarono a imitarla. — Se la gioca — disse piano Gladstone a Morpurgo. — Se la gioca. — Si guardò intorno. — Ci ritroviamo qui appena gli eventi lo giustificano. Il signor Hunt sarà il mio collegamento con voi. Per ora, signori, il lavoro del governo continuerà come al solito. Buongiorno.

Mentre gli altri uscivano, tornai a sedermi e alla fine rimasi da solo nella sala. Il volume degli altoparlanti aumentò di nuovo. Su una banda, un uomo piangeva. Tra le statiche si udivano risa di follia. Sopra di me, dietro di me, ai due lati, i campi di stelle si muovevano lentamente contro l'oscurità e la luce degli astri si rifletteva, gelida, sui relitti.

La Casa del Governo aveva la forma di una stella di David; nel centro della stella, schermato da muretti e da alberi piantati in posizione strategica, c'era un giardino: più piccolo degli acri a classiche aiuole fiorite del Parco dei Cervi, ma non meno bello. Vi passeggiavo mentre calava la sera, con il vivido biancazzurro di Tau Ceti che svaniva nell'oro, quando Meina Gladstone mi si avvicinò.

Per un poco passeggiammo insieme, in silenzio. Notai che aveva cambiato abito e indossava ora una lunga veste come quelle delle nobildonne di Patawpha; l'ampia veste, ricamata a intricati disegni blu scuro e oro che quasi emulavano il cielo al crepuscolo, si gonfiava al vento. Le mani non si vedevano, infilate in tasche nascoste; le ampie maniche si agitavano alla brezza; l'orlo della veste frusciava sulle pietre bianco latte del sentiero.

— Ha lasciato che mi interrogassero — dissi. — Sono curioso di sapere perché.

La voce di Gladstone era stanca. — Non trasmettevano. Non c'era pericolo che le informazioni fossero riferite ad altri.

Sorrisi. — Tuttavia, ha lasciato che subissi l'interrogatorio.

— Il servizio di sicurezza voleva scoprire su di loro tutto il possibile.

— A spese di un… piccolo fastidio… da parte mia.

— Si.

— E il servizio di sicurezza sa per chi lavoravano?

— L'uomo ha fatto il nome di Harbrit. Il servizio è abbastanza sicuro che si tratti di Emlem Harbrit.

— La mediatrice di materie prime di Asquith?

— Sì. Lei e Diana Philomel hanno legami con le vecchie fazioni realiste di Glennon-Height

— Erano dilettanti — dissi. Hermund si era lasciato sfuggire il nome di Harbrit e Diana mi aveva interrogato in modo assai confuso.