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— Sì… penso… non so. — Indica l'antica rivoltella che ancora stringe in mano. — Ho vuotato il caricatore. Dodici colpi contro… contro qualsiasi cosa fosse.

— L'hai visto? — domanda il Console a Kassad.

— No. Sono entrato nella stanza dieci secondi dopo Brawne, ma non ho visto niente.

— E i tuoi stronzissimi marchingegni militari? — dice Martin Sileno. Se ne sta rannicchiato in fondo alla tenda, quasi in posizione fetale. — Tutta quella merda della FORCE non ha mostrato niente?

— No.

Dal medipac proviene un lieve segnale acustico; Kassad stacca dalla cintura un'altra cartuccia di plasma e la inserisce nella fessura del medipac; torna a sedersi sui talloni e abbassa il visore per osservare l'apertura della tenda. La voce è distorta dal microfono del casco.

— Ha perso più sangue di quanto possiamo compensare qui. Qualcuno ha portato una valigetta di pronto soccorso?

Weintraub fruga nella sacca. — Ho l'equipaggiamento essenziale. Ma non basta, questa volta. Chi gli ha tagliato la gola, ha reciso tutto.

— Lo Shrike — mormora Martin Sileno.

— Non importa — dice Lamia, stringendosi nelle braccia per smettere di tremare. — Dobbiamo trovargli aiuto. — Guarda il Console.

— È morto — obietta il Console. — Neppure l'attrezzatura chirurgica di una nave lo riporterebbe in vita.

— Dobbiamo fare il tentativo! — grida Lamia, afferrando il Console per la camicia. — Non possiamo lasciarlo a quelle… robacce. — Indica il crucimorfo che brilla sotto la pelle del torace del morto.

Il Console si strofina gli occhi. — Possiamo distruggere il cadavere. Usare il fucile del colonnello e…

— Moriremo tutti, se non ci togliamo da questa tempesta di merda! — urla Sileno. La tenda vibra, a ogni raffica il telo di fibroplastica sbatte contro la testa del poeta. Il frastuono di sabbia contro stoffa sembra un razzo in fase di decollo proprio davanti alla tenda.

— Chiama la maledetta nave! Chiamala!

Il Console tira a sé la sacca, come per proteggere l'antiquato comlog. Gocce di sudore gli brillano sulle guance e sulla fronte.

— Possiamo rifugiarci in una Tomba e aspettare che la tempesta finisca — propone Sol Weintraub. — Nella Sfinge, per esempio.

— Non dire cazzate — ribatte Martin Sileno.

Lo studioso cambia posizione nello spazio ristretto e fissa il poeta.

— Hai fatto tutta questa strada per trovare lo Shrike. Vuoi dire d'avere cambiato idea, adesso che a quanto pare ha fatto la prima comparsa?

Da sotto l'orlo del berretto calato sulla fronte gli occhi di Sileno mandano lampi. — Non dico niente, tranne che voglio qui quella maledetta nave, e la voglio subito!

— Forse è una buona idea — dice il colonnello Kassad.

Il Console lo guarda.

— Se esiste una sola possibilità di salvare Hoyt, dovremmo fare il tentativo.

Il Console soffre. — Non possiamo andarcene — dice. — Non possiamo andarcene proprio ora.

— No — conviene Kassad. — Non useremo la nave per andarcene. Ma l'attrezzatura chirurgica potrebbe aiutare Hoyt. E potremmo aspettare a bordo che la tempesta finisca.

— E forse scoprire cosa succede lassù — dice Brawne Lamia, muovendo il pollice verso il tetto della tenda.

La piccina, Rachel, strilla a pieni polmoni. Weintraub la culla, le sorregge la testa. — Sono d'accordo — dice. — Se vuole, lo Shrike ci trova anche nella nave. Ci assicureremo che nessuno se ne vada. — Tocca il petto di Hoyt. — Per quanto suoni orribile, l'attrezzatura chirurgica ci fornirebbe dati di valore incalcolabile sull'attività del parassita.

— E va bene — dice il Console. Estrae dallo zaino l'antico comlog, posa la mano sul diskey e mormora alcune frasi.

— Viene? — domanda Martin Sileno.

— Ha confermato l'ordine. Dobbiamo ammucchiare i bagagli per il trasferimento. Ho detto alla nave di atterrare proprio all'ingresso della valle.

Lamia si accorge con sorpresa d'essere in lacrime. Si asciuga le guance e sorride.

— Cosa c'è di tanto divertente? — domanda il Console.

— In questa situazione — risponde lei, passandosi sulla guancia il dorso della mano — riesco solo a pensare come sarebbe bello fare una doccia.

— Bere un goccio — dice Sileno.

— Ripararsi dalla tempesta — dice Weintraub. La piccina prende il latte dal poppatoio.

Kassad sporge testa e spalle fuori della tenda. Alza il fucile e toglie la sicura. — Rivelatori — dice. — Qualcuno si muove proprio al di là della duna. — Il visore si gira verso gli altri, riflette un gruppo livido e rannicchiato, il corpo ancora più livido di Lenar Hoyt. — Vado a controllare — continua Kassad. — Aspettate qui l'arrivo della nave.

— Non andartene — dice Sileno. — Sembra di essere in uno di quei merdosi olodrammi antichi dell'orrore, dove spariscono uno alla volta… ehi! — Il poeta tace. L'ingresso della tenda è un triangolo di luce e di rumore. Fedmahn Kassad è scomparso.

La tenda inizia a crollare, i paletti e i cavi d'ancoraggio cedono mentre la sabbia si muove all'intorno. Rannicchiati, gridando per farsi udire sopra il frastuono del vento, il Console e Lamia avvolgono nel mantello il corpo di Hoyt. Le spie del medipac continuano a palpitare di luce rossa. Il sangue ha smesso di colare dalla sutura provvisoria. Sol Weintraub depone la figlia di quattro giorni nel porta-neonati appeso al petto, la copre col mantello e si acquatta all'ingresso della tenda. — Nessun segno del colonnello! — grida. Mentre guarda, un fulmine colpisce l'ala tesa della Sfinge.

Brawne Lamia si sposta all'ingresso e solleva il corpo del prete. Si stupisce di quant'è leggero. — Portiamo padre Hoyt sulla nave e affidiamolo all'attrezzatura chirurgica. Poi torneremo a cercare Kassad.

Il Console si cala sugli occhi il tricorno e si alza il colletto. — La nave ha radar di profondità e sensori di movimento. Ci dirà dov'è finito il colonnello.

— E lo Shrike — dice Sileno. — Non dimentichiamo il nostro anfitrione.

— Andiamo — dice Lamia. Si alza. Deve chinarsi contro il vento per avanzare. I lembi del mantello di Hoyt svolazzano e la colpiscono, il suo stesso mantello forma una coda ondeggiante. Alla luce intermittente dei fulmini trova il sentiero e si dirige all'imboccatura della valle; solo una volta si lancia alle spalle un'occhiata per vedere se gli altri la seguono.

Martin Sileno si allontana dalla tenda, prende il cubo di Moebius appartenuto a Het Masteen; il vento gli strappa il berretto viola e lo porta in alto. Sileno rimane lì a imprecare violentemente, fermandosi solo quando la bocca gli si riempie di sabbia.

— Vieni — grida Weintraub, toccandogli la spalla. La sabbia gli colpisce il viso, gli penetra nella barbetta. Con l'altra mano Sol si copre il petto, come per proteggere qualcosa d'infinitamente prezioso. — Perderemo di vista Brawne, se non ci sbrighiamo. — I due si aiutano a vicenda per avanzare controvento. La pelliccia di Sileno svolazza da tutte le parti, quando il poeta fa una deviazione per ricuperare il berretto caduto al riparo di una duna.

Il Console è l'ultimo a lasciare la tenda, portando il proprio zaino e quello di Kassad. Ha lasciato il piccolo riparo da un solo minuto, quando i paletti cedono, la tela si strappa, la tenda vola nella notte, circondata da un alone d'elettricità statica. Il Console percorre barcollando i trecento metri di sentiero, di tanto in tanto scorge fuggevolmente i due che lo precedono, più spesso perde la pista e deve camminare in cerchio finché non la ritrova. Dietro di lui, le Tombe del Tempo sono visibili, quando la tempesta di sabbia si calma un po' e i fulmini si susseguono a breve intervallo. Il Console vede la Sfinge che risplende ancora per le ripetute scariche elettriche, più in là la Tomba di Giada con le pareti luminose e a distanza maggiore l'Obelisco, che invece non risplende e sembra una striscia verticale di nero assoluto contro le pareti della valle. E poi il Monolito di Cristallo. Non c'è segno di Kassad, anche se le dune mutevoli, le folate di sabbia e i lampi improvvisi danno l'impressione che molte cose siano in movimento.