Mi alzai, ribaltando quasi la poltrona, e mi accostai con decisione alla mappa. — Sciocchezze — dissi. — Anche se lo desiderava, gli altri avevano l'obbligo di salvarlo… e lei pure. Lei l'ha lasciato morire.
— Sì.
— E lascerà morire anche gli altri.
— Non necessariamente — disse il PFE Meina Gladstone. — Questa è la loro volontà… e quella dello Shrike, se una simile entità esiste davvero. A questo punto, so solo che il pellegrinaggio è troppo importante per fornire un mezzo di… di ritirata… al momento della decisione.
— Quale decisione? La loro? Come può, la vita di sei o sette individui… e di una neonata… influenzare il risultato di una società di centocinquanta miliardi di persone? — Conoscevo la risposta, ovviamente. La Commissione di Consulenza delle IA e i previsori meno intelligenti dell'Egemonia avevano scelto con molta cura i pellegrini. Ma per quale motivo? Imprevedibilità. Erano valori che pareggiavano l'enigma finale dell'intera equazione Hyperion. Gladstone lo sapeva, o sapeva solo quello che il consulente Albedo e le sue stesse spie le avevano detto? Con un sospiro tornai alla poltrona.
— Il sogno le ha detto qual è stata la sorte del colonnello Kassad? — chiese il PFE.
— No. Mi sono svegliato prima che tornassero alla Sfinge per ripararsi dalla tempesta.
Gladstone sorrise appena. — Lei capisce, signor Severn, che per i nostri scopi sarebbe più conveniente sottoporla a sedativi, adoperare la stessa droga usata dai suoi amici Philomel e collegarla a dei sub-vocalizzatori, in modo da avere un rapporto più continuo degli eventi su Hyperion.
Ricambiai il sorriso. — Sì — dissi. — Sarebbe più conveniente. Ma lo sarebbe meno, se mi ritraessi nel Nucleo, via sfera dati, lasciandomi alle spalle il corpo vuoto. Proprio quel che farò, se sarò sottoposto di nuovo a coercizione.
— Naturale. Farei così anch'io, in circostanze analoghe. Mi dica, signor Severn, che effetto fa, trovarsi nel Nucleo? In quel luogo remoto dove risiede realmente la sua consapevolezza.
— Sempre in movimento — risposi. — Oggi vuole vedermi per altro?
Gladstone sorrise di nuovo e intuii che quello era un sorriso vero, non l'arma da politico che adoperava con tanta abilità. — Sì — disse. — Ho altro in mente. Le piacerebbe andare su Hyperion? Il vero Hyperion?
— Il vero Hyperion? — ripetei scioccamente. Sentii un formicolio alle dita delle mani e dei piedi, mentre un senso d'eccitazione mi pervadeva. Forse la mia consapevolezza risiedeva nel Nucleo, ma il mio corpo e il mio cervello erano fin troppo umani, fin troppo suscettibili all'adrenalina e alle altre sostanze chimiche casuali.
Gladstone annuì. — Milioni di persone vogliono andarci. Teleportarsi in un posto nuovo. Osservare da vicino la guerra. — Con un sospiro spostò il blocco per appunti. — Che idioti. — Sollevò lo sguardo su di me, e gli occhi castani avevano un'espressione seria. — Ma io voglio che qualcuno vada lì e mi riferisca di persona. Stamane Leigh adopera uno dei nuovi terminali teleporter militari e ho pensato che potrebbe unirsi a lui. Forse non avrà il tempo di scendere su Hyperion, ma si troverà all'interno del sistema.
Delle diverse domande che mi vennero in mente, ne rivolsi una che mi imbarazzò. — Sarà pericoloso?
Gladstone non cambiò espressione né tono. — Può darsi. Anche se si troverà molto dietro le linee e Leigh ha ordini precisi di non esporsi, e di non esporre nemmeno lei, a rischi evidenti.
"Rischi evidenti" pensai. Ma quanti rischi non evidenti esistevano in una zona di guerra, nei dintorni di un mondo dove una creatura come lo Shrike vagava in libertà? — Sì — dissi. — Ci vado. Ma c'è una cosa…
— Sì?
— Devo sapere perché vuole che vada. Se il motivo riguarda solo il mio legame con i pellegrini, corre un rischio inutile, si direbbe, a mandarmi su Hyperion.
Gladstone annuì. — Signor Severn, è vero che il suo legame con i pellegrini, per quanto tenue, m'interessa. Ma è altrettanto vero che m'interessano le sue osservazioni e le sue valutazioni. Le sue.
— Ma per lei non sono niente — obiettai. — Non sa a chi altri potrei riferire, deliberatamente o meno. Sono una creatura del Tecno-Nucleo.
— Sì. Ma in questo momento potrebbe anche essere l'individuo più libero da legami politici di tutto Tau Ceti Centro e forse dell'intera Rete. Inoltre, le sue osservazioni sono quelle di un poeta esperto, di un uomo di cui rispetto la genialità.
Scoppiai a ridere. — Lui era un genio — replicai. — Io sono un simulacro. Un parassita. Una caricatura.
— Ne è sicuro? — domandò Meina Gladstone.
— Non ho scritto un verso, nei dieci mesi in cui sono stato vivo e cosciente di questa mia bizzarra vita dopo la morte — risposi. — Non penso in poesia. Non basta a dimostrare che questo progetto di ricupero del Nucleo è un'impostura? Perfino il mio falso nome è un insulto a un uomo di talento infinitamente superiore a quello che sarà mai il mio… Joseph Severn era un'ombra, a paragone del vero John Keats, ma io ne offusco il nome, usandolo.
— Potrebbe essere vero — disse Gladstone. — E potrebbe non esserlo. In un caso e nell'altro, le ho chiesto di partecipare col signor Hunt a questo breve viaggio su Hyperion. — Esitò. — Lei non ha… il dovere… di andare. In più di un senso, non è neppure cittadino dell'Egemonia. Ma sarei lieta che andasse.
— D'accordo — dissi; mi parve di ascoltare da lontano la mia stessa voce.
— Benissimo. Avrà bisogno di abiti pesanti. Non indossi niente che si sciolga o le procuri imbarazzo in caduta libera, anche se è poco probabile che un'eventualità del genere si verifichi. Incontrerà il signor Hunt nel nesso primario teleporter della Casa del Governo… — diede un'occhiata al comlog — fra dodici minuti.
Con un cenno d'assenso mi girai per uscire.
— Ah, signor Severn…
Mi fermai accanto alla porta. A un tratto l'anziana signora alla scrivania parve piccola e stanchissima.
— Grazie, signor Severn — disse.
Era vero che milioni di persone volevano teleportarsi nella zona di guerra. La Totalità era piena di stridule petizioni, di ragioni addotte per lasciare che i civili si teleportassero su Hyperion, di richieste delle navi da crociera per fare brevi escursioni nella zona e di pretese che i politici piane tari e i rappresentanti dell'Egemonia avessero il permesso di fare il giro del sistema in "missioni di ricerca fatti". Ogni richiesta del genere era stata respinta. I cittadini della Rete, soprattutto se dotati di potere e d'influenza, non erano abituati a rinunciare a nuove esperienze, e la guerra totale era una delle poche esperienze che l'Egemonia non aveva ancora provato.
Ma l'ufficio del PFE e le autorità della FORCE restavano inamovibili: niente civili né teletrasporti non autorizzali nel sistema di Hyperion, niente servizi robocron non censurati. In un'epoca in cui nessuna informazione era inaccessibile, nessun viaggio era negato, una simile esclusione stuzzicava e faceva ammattire.
Incontrai il signor Hunt al nesso teleporter dell'esecutivo, dopo avere mostrato l'autorizzazione a non meno di dodici nodi di sicurezza. Hunt vestiva di lana nera, l'uniforme priva di decorazioni ma significativa della FORCE, onnipresente in quella sezione della Casa del Governo. Avevo avuto poco tempo per cambiarmi: ero tornato nel mio alloggio solo per prendere una comoda camicia munita di varie tasche per tenerci i materiali da disegno e una olocamera da 35 mm.
— Pronto? — disse Hunt. Il viso da basset-hound non sembrava felice di vedermi. Hunt portava una normale valigetta nera.
Risposi con un cenno d'assenso.
Hunt rivolse un gesto a un tecnico dei trasporti della FORCE e un portale monouso si materializzò tremolando. Sapevo che quell'affare era sintonizzato sulla nostra impronta DNA e non avrebbe lasciato passare nessun altro. Hunt trasse un sospiro e varcò il portale. Guardai la superficie argento vivo incresparsi dopo il suo passaggio, come un ruscello che torni calmo al cessare d'un lieve alito di vento; varcai anch'io il portale.