Correva voce che i prototipi originali di teleporter non dessero sensazioni durante il transito, e che le IA e i progettisti umani li avessero modificati per aggiungere un vago formicolio e un sentore di scariche di ozono per dare l'impressione di avere viaggiato davvero. Qualunque sia la verità, la mia pelle vibrò di tensione, quando mi spostai di un passo dal portale e mi guardai intorno.
È curioso, ma vero, che il naviglio per guerre spaziali sia stato raffigurato nelle opere di fantasia, nei film, negli olodrammi e negli stim-sim per più di ottocento anni; ancora prima che la razza umana lasciasse la Vecchia Terra in aeroplani convertiti per sfiorare l'atmosfera, i film bi-di avevano mostrato epiche battaglie spaziali, enormi incrociatori interstellari dotati di armamenti incredibili che si tuffavano nello spazio come città aerodinamiche. Perfino l'inondazione di recenti olodrammi di guerra, a seguito della Battaglia di Bressia, mostrava enormi flotte impegnate in battaglia a distanze che due fanti avrebbero trovato claustrofobiche, navi che speronavano e sparavano e bruciavano come triremi greche ammassate nello stretto d'Artemisio.
Non c'è da stupirsi, quindi, se il cuore mi batteva e il palmo delle mani mi sudava un poco, all'idea di teleportarmi a bordo dell'ammiraglia, aspettandomi di emergere sull'ampio ponte di una nave da guerra come quelle degli olodrammi, con schermi giganteschi che mostravano le navi nemiche, suoni di sirene, comandanti scolpiti nella roccia raccolti intorno a pannelli di comando tattico, mentre la nave sbandava prima a destra, poi a sinistra.
Hunt e io ci trovammo in quello che sarebbe potuto essere uno stretto corridoio di una centrale energetica. Da ogni parte s'intrecciavano tubazioni con colori in codice e c'erano di tanto in tanto delle maniglie; a intervalli regolari, portelli a tenuta stagna suggerivano che ci trovassimo davvero dentro un'astronave; diskey ultimo modello e pannelli interattivi mostravano che il corridoio serviva a scopi diversi dall'accesso chissà dove, ma l'effetto complessivo era quello di claustroiobia e di tecnologia primitiva. Quasi m'aspettai di vedere veri cavi passare da un nodo di circuito all'altro. Un pozzo verticale intersecava il corridoio; dai portelli si vedevano altri corridoi stretti e ingombri.
Hunt mi guardò e si strinse nelle spalle. Mi domandai se era possibile che ci fossimo teleportati alla destinazione sbagliata.
Prima che uno di noi due aprisse bocca, un giovane guardiamarina della FORCE:spazio, in divisa nera da combattimento, comparve da un corridoio laterale, salutò Hunt e disse: — Benvenuti a bordo della AE Ebridi, signori. L'ammiraglio Nashita vi porge i suoi saluti e vi invita al centro controllo combattimento. Seguitemi, prego. — Girò sui tacchi e s'infilò in uno stretto pozzo verticale.
Lo seguimmo meglio che potevamo: Hunt cercava di non lasciar cadere la valigetta, e io cercavo di non farmi pestare le mani da Hunt, mentre ci arrampicavamo. Solo dopo qualche metro mi accorsi che lì la gravità era molto inferiore a quella standard: a dire il vero, non era affatto gravità, ma sembrava una miriade di piccole mani che mi premessero verso il basso. Sapevo che certi navigli, per simulare la forza di gravità, usavano in tutto lo scafo un campo di contenimento classe-1, ma quella era la prima volta che lo sperimentavo di persona. Non era una sensazione piacevole: a causa della pressione costante, sembrava di procedere controvento e l'effetto accresceva il senso di claustrofobia prodotto dagli stretti corridoi, dai piccoli portelli e dalle paratie ingombre d'attrezzature.
La Ebridi era una nave C-3, Comunicazione-Controllo-Comando, e il centro di controllo combattimento ne era il cuore e il cervello… ma non un cuore e un cervello molto impressionanti. Il giovane guardiamarina ci guidò attraverso tre portelli a tenuta stagna, lungo un ultimo corridoio sorvegliato da marines di guardia, salutò e ci lasciò in una cabina di circa venti metri quadrati, ma così piena di rumore, di personale e di congegni che il primo istinto era quello di tornare indietro per prendere una boccata d'aria.
Non c'erano schermi giganti, ma decine di giovani ufficiali della FORCE:spazio erano chini sopra misteriosi display, sedevano collegati ad apparecchiature stim-sim, o stavano in piedi davanti a pulsanti lavagne di richiamo che sembravano protendersi da tutt'e sei le paratie. Uomini e donne erano legati alle poltrone e alle culle sensoriali, fatta eccezione per alcuni ufficiali (in gran parte con l'aspetto di burocrati infastiditi, più che di guerrieri scolpiti nella roccia) che andavano su e giù per gli stretti passaggi, davano manate d'incoraggiamento ai subordinati, ringhiavano per avere altri dati e si servivano del proprio impianto a spinotto per collegarsi ai pannelli di comando. Uno di questi ufficiali si avvicinò in fretta, ci guardò, mi salutò e disse: — Il signor Hunt?
Con un cenno indicai il mio compagno.
— Signor Hunt — disse il giovane capitano di fregata — l'ammiraglio Nashita la riceverà subito.
Il comandante di tutte le forze dell'Egemonia nel sistema di Hyperion era un ometto con capelli bianchi e corti, pelle molto più liscia di quanto l'età suggerisse e un fiero cipiglio che sembrava scolpito dalla nascita. L'ammiraglio Nashita indossava una divisa nera a collo alto, priva di insegne di grado, a parte il piccolo sole nano rosso sul colletto. Aveva mani tozze e robuste, ma con unghie curate di recente. Sedeva sopra una piccola predella circondata da attrezzature e da lavagne in stato di riposo. Il trambusto e l'efficiente confusione parevano fluire intorno a lui come un rapido torrente intorno a una roccia inattaccabile.
— Lei è il messaggero di Gladstone — disse a Hunt. — E costui?
— Il mio aiutante — rispose Leigh Hunt.
Soffocai l'impulso d'inarcare il sopracciglio.
— Cosa vuole? — domandò Nashita. — Come vede, abbiamo da fare.
Leigh Hunt annuì e si guardò intorno. — Ho del materiale per lei, ammiraglio. Non possiamo andare in un luogo più tranquillo e riservato?
L'ammiraglio Nashita brontolò, passò il palmo sopra un reo-sensore e l'aria alle mie spalle divenne densa e si rapprese in una nebbia semisolida, sotto l'azione del campo di contenimento. I rumori del centro controllo scomparvero. Noi tre ci trovammo in un piccolo iglù di silenzio.
— Si sbrighi — disse l'ammiraglio Nashita.
Hunt aprì la valigetta e ne tolse una piccola busta con il simbolo della Casa del Governo sul rovescio. — Un messaggio privato da parte del Primo Funzionario Esecutivo — disse. — Da leggere con comodo, ammiraglio.
Nashita brontolò e mise da parte la busta.
Hunt posò sulla scrivania una busta più grossa. — E questa è la bozza della mozione senatoriale riguardante la prosecuzione di questa… ah… azione militare. Come sa, è volontà del Senato che sia una rapida dimostrazione di forza per raggiungere obiettivi limitati, con la minore perdita possibile di vite umane, seguita dall'offerta standard di aiuto e di protezione al nostro nuovo… bene coloniale.
Il cipiglio di Nashita crebbe leggermente. L'ammiraglio non diede segno di voler toccare né leggere le disposizioni del Senato. — È tutto? — disse.
Hunt prese tempo, prima di rispondere. — È tutto, ammiraglio, a meno che non voglia inviare per mio tramite un messaggio al PFE.
Nashita lo fissò. Negli occhi piccoli e neri non c'era vera e propria ostilità, solo un'impazienza che sospettai sarebbe scomparsa solo quando la morte li avesse velati. — Ho accesso astrotel privato al PFE — disse l'ammiraglio. — La ringrazio molto, signor Hunt. Non ci sono messaggi di risposta. Ora, la prego di tornare al nesso teleporter a mezzanave, in modo che questa azione militare possa proseguire.