Gladstone annuì e mostrò quell'accenno di sorriso che tanti caricaturisti avevano tentato di riprodurre. — Il signor Severn ha ricevuto dal Ministero delle Arti l'incarico di eseguire nel corso dei prossimi giorni una serie di schizzi con me come soggetto. In base alla teoria, ritengo, che avranno un certo significato storico e che potrebbero servire per un ritratto ufficiale. A ogni modo, il signor Severn ha ottenuto dalla sicurezza un nullaosta di grado T-oro, quindi possiamo parlare liberamente davanti a lui. Inoltre, ne apprezzo il candore. Forse il suo arrivo serve a suggerirci che la riunione è giunta al termine. Ci ritroveremo nella Sala di Guerra, alle otto di domattina, poco prima che la flotta si teleporti nel sistema di Hyperion.
Subito il gruppetto si sciolse. Nell'uscire, il generale Morpurgo mi lanciò un'occhiata astiosa. Passandomi davanti, il senatore Kolchev mi fissò con una certa curiosità. Il consulente Albedo si limitò a svanire nel nulla. Leigh Hunt fu il solo a trattenersi. Si mise comodo, posando la gamba sul bracciolo della poltrona pre-Egira, d'inestimabile valore, su cui sedeva. — Si sieda — mi disse.
Lanciai un'occhiata a Gladstone: si era seduta alla scrivania e ora annuì. Mi accomodai nella sedia con lo schienale dritto occupata poco prima dai generale Morpurgo. Gladstone disse: — Davvero ritiene che sia stupido difendere Hyperion?
— Sì.
Gladstone unì la punta delle dita e si batté il labbro inferiore. Alle sue spalle, la finestra mostrava il fermento continuo del party in onore della flotta. — Se nutre qualche speranza di riunirsi alla sua… ah… controparte — disse Gladstone — dovrebbe avere interesse che la campagna di Hyperion sia portata a termine.
Rimasi in silenzio. Alla finestra il panorama cambiò e mostrò il cielo notturno ancora fiammeggiante di scie di fusione.
— Ha portato i materiali da disegno? — chiese Meina Gladstone.
Estrassi la matita e il piccolo blocco per schizzi che a Diana Philomel avevo detto di non avere.
— Disegni pure, mentre parliamo — disse Meina Gladstone.
Iniziai a schizzare un abbozzo della donna in quella posa rilassata, quasi scomposta, e passai ai particolari del viso. Gli occhi stuzzicavano la mia curiosità.
Mi rendevo conto vagamente che Leigh Hunt mi fissava. — Joseph Severn — disse. — Interessante scelta di nomi.
Usai tratti rapidi e marcati per dare il senso della fronte spaziosa e del naso pronunciato di Gladstone.
— Sa perché la gente diffida dei cìbridi? — domandò Hunt.
— Sì — risposi. — La sindrome del mostro di Frankenstein. Paura di tutto ciò che, pur in forma umana, non è completamente umano. La vera ragione per cui gli androidi furono messi fuorilegge, penso.
— Ah-ha — convenne Hunt. — Ma i cìbridi sono completamente umani, no?
— Dal punto di vista genetico, sì. — Mi scoprii a pensare a mia madre, a ricordare quante volte avevo letto per lei, durante la sua malattia. Pensai a mio fratello Tom. — Ma fanno anche parte del Nucleo e così corrispondono alla definizione "non completamente umano".
— Anche lei fa parte del Nucleo? — domandò Meina Gladstone, girandosi a guardarmi negli occhi. Iniziai un altro schizzo.
— Non proprio. Posso viaggiare liberamente nelle regioni che mi sono consentite, ma questa capacità è più simile all'accesso alla sfera dati che non alle caratteristiche di una vera personalità del Nucleo. — Il viso di Gladstone era più interessante di tre quarti, ma gli occhi avevano maggiore intensità, visti di fronte. Lavorai a riprodurre il reticolo di rughe che si allargava dagli angoli di quegli occhi. Era evidente che Meina Gladstone non si era mai concessa un trattamento Poulsen.
— Se fosse possibile mantenere dei segreti nei confronti del Nucleo — disse la donna — sarebbe follia permetterle libero accesso ai consigli di governo. Ma, visto come stanno le cose… — Abbassò le mani e si drizzò a sedere. Cambiai pagina.
— Visto come stanno le cose — riprese Gladstone — lei possiede informazioni che mi occorrono. È vero che può leggere la mente della sua controparte, la personalità ricuperata per prima?
— No — risposi. Era difficile catturare il complesso gioco di rughe e di muscoli agli angoli della bocca. Ne tracciai lo schizzo, passai al mento volitivo e alla zona d'ombra sotto il labbro inferiore.
Hunt corrugò la fronte e diede un'occhiata al PFE. Meina Gladstone unì di nuovo la punta delle dita. — Si spieghi — disse.
Alzai lo sguardo dal disegno. — Faccio dei sogni. A quanto pare, il contenuto dei sogni corrisponde a eventi che si verificano intorno alla persona che porta in sé l'innesto della precedente personalità Keats.
— Una donna di nome Brawne Lamia — disse Leigh Hunt.
— Sì.
Gladstone annuì. — Quindi la personalità Keats originale, quella che si ritiene sia stata uccisa su Lusus, è ancora viva?
Esitai. — È… è ancora consapevole — dissi infine. — Come saprà, il substrato della personalità primaria fu estratto dal Nucleo, probabilmente a opera del cìbrido stesso, e innestato nel corpo della signora Lamia, in un bio-shunt a ciclo d'iterazione Schrön.
— Sì, sì — disse Leigh Hunt. — Ma lei è davvero in contatto con la personalità Keats e, per suo tramite, con i pellegrini allo Shrike?
Tratti rapidi e marcati fornirono uno sfondo scuro per dare allo schizzo di Gladstone maggiore profondità. — In realtà non sono in contatto — replicai. — Faccio sogni su Hyperion, sogni che, secondo le vostre trasmissioni astrotel, corrispondono a eventi in tempo reale. Non posso comunicare con la personalità Keats passiva, né con il suo ospite, né con gli altri pellegrini.
Gladstone batté le palpebre. — Come fa a sapere delle trasmissioni astrotel?
— Il Console ha rivelato agli altri pellegrini che il suo comlog è in grado di collegarsi al trasmettitore astrotel della sua nave. Li ha informati poco prima che scendessero nella valle.
Il tono di Gladstone lasciava intuire gli anni passati a fare l'avvocato prima d'entrare in politica. — E gli altri come hanno reagito alla rivelazione del Console?
Rimisi in tasca la matita. — Sapevano che tra loro c'era una spia — risposi. — L'ha detto lei, a ciascuno di loro.
Gladstone scoccò un'occhiata al suo aiutante. L'espressione di Hunt era vuota. — Se lei è in contatto con loro — riprese la donna — saprà di sicuro che non abbiamo ricevuto alcun messaggio, da quando hanno lasciato Castel Crono per scendere alle Tombe del Tempo.
— Il sogno di ieri notte è terminato proprio mentre si avvicinavano alla valle.
Meina Gladstone si alzò, andò alla finestra, spense l'immagine.
— Così non sa se qualcuno di loro è ancora vivo?
— No.
— In quali condizioni si trovavano, secondo il suo ultimo… sogno?
Hunt mi osservava con la stessa intensità di sempre. Meina Gladstone fissava lo schermo buio e ci dava la schiena. — Tutti i pellegrini erano vivi — risposi. — Tranne, forse, Het Masteen, la Vera Voce dell'Albero.
— Morto? — domandò Hunt.
— Scomparso, due notti prima, dal carro a vela, durante la traversata del mare d'Erba, poco dopo che le vedette Ouster hanno distrutto la nave-albero Yggdrasill. Però, poco prima di lasciare Castel Crono, i pellegrini hanno scorto una figura in tonaca dirigersi alle Tombe.
— Het Masteen? — domandò Gladstone.
— Loro pensano di sì. Ma non ne sono sicuri.
— Mi parli degli altri.
Presi fiato. Dai sogni sapevo che Gladstone conosceva almeno due dei partecipanti all'ultimo pellegrinaggio; il padre di Brawne Lamia era stato senatore, collega di Meina, e il Console dell'Egemonia era stato il rappresentante personale del PFE nei negoziati segreti con gli Ouster. — Padre Hoyt soffre molto — dissi. — Ha raccontato la storia del crucimorfo. Il Console ha scoperto che Hoyt stesso ne porta uno… anzi, due: il proprio e quello di padre Duré.