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— Saggiano di nuovo le difese dell'Egemonia — dice Kassad. Scintille si alzano dal fuoco attizzato, faville che si librano nel cielo come per unirsi alle fiamme più vivide, su in alto.

— Chi ha vinto? — domanda Brawne Lamia, riferendosi alla silenziosa battaglia spaziale che per tutta la notte precedente e buona parte del giorno ha riempito di violenza il cielo.

— Chi cazzo se ne fotte? — replica Martin Sileno. Si fruga nelle tasche del cappotto di pelliccia, casomai ci fosse una bottiglia piena. Non ne trova. — Chi cazzo se ne fotte — borbotta di nuovo.

— Io — ribatte stancamente il Console. — Se gli Ouster sfondano, possono distruggere Hyperion prima che troviamo lo Shrike.

Sileno ride, beffardo. — Oh, sarebbe terribile, vero? Morire prima di scoprire la morte. Essere uccisi prima del momento stabilito. Scomparire rapidamente e senza dolore, anziché contorcersi per sempre sulle spine dello Shrike. Oh, che pensiero orribile!

— Chiudi il becco — dice Brawne Lamia; il tono è sempre privo di emozione, ma questa volta vi affiora la minaccia. Lamia guarda il Console. — Allora, dov'è, lo Shrike? Perché non riusciamo a trovarlo?

Il diplomatico fissa il fuoco. — Non so. Perché dovrei saperlo?

— Forse lo Shrike è sparito — dice padre Hoyt. — Forse il collasso dei campi anti-entropici l'ha liberato per sempre. Forse quel mostro ha portato altrove il proprio flagello.

Il Console scuote la testa e non replica.

— No — dice Sol Weintraub. La piccina gli si è addormentata contro la spalla. — Verrà qui. Me lo sento.

Brawne Lamia annuisce. — Anch'io. È lì che aspetta. — Dalla sacca ha preso alcune confezioni di viveri; tira la linguetta per riscaldare il contenuto e le distribuisce.

— L'improvvisa caduta di tensione, lo so, è l'ordito e la trama del mondo — dice Sileno. — Ma siamo davvero ridicoli. Tutti in pompa magna e senza un posto dove morire.

Brawne Lamia lo squadra con occhi di fuoco, ma rimane in silenzio; per un poco mangiano e non dicono niente. In alto, le fiammate svaniscono e compaiono di nuovo le stelle fittamente raggruppate, ma le faville continuano ad alzarsi come se cercassero una via di fuga.

Avvolto per duplice interposizione nel guazzabuglio nebbioso dei pensieri di Brawne Lamia, cerco di ricostruire gli eventi a partire dal mio ultimo sogno delle loro vite.

Prima dell'alba i pellegrini sono scesi nella valle, cantando, e le luci della battaglia in svolgimento un miliardo di chilometri più in alto ne proiettavano l'ombra sul terreno. Per tutto il giorno hanno esplorato le Tombe del Tempo. Da un momento all'altro s'aspettavano di morire. Dopo alcune ore, mentre il sole si levava e il freddo del deserto lasciava posto al calore, hanno sentito affievolirsi paura ed esaltazione.

Il lungo giorno è stato silenzioso, a parte il fruscio della sabbia, un grido di tanto in tanto, il gemito continuo e quasi subliminale del vento fra le rocce e le tombe. Kassad e il Console hanno portato uno strumento per misurare l'intensità dei campi anti-entropici, ma Lamia è stata la prima a notare che era superfluo, che il flusso e il riflusso delle maree del tempo producevano una leggera nausea sovraccarica di una impressione di déjà vu che non si attenuava.

La Tomba più vicina all'ingresso della valle era la Sfinge; poi veniva la Tomba di Giada, le cui pareti erano trasparenti solo al mattino e nel crepuscolo; poi, neppure cento metri più avanti, si alzava l'Obelisco; da lì, il sentiero dei pellegrini risaliva un arroyo che si allargava fino alla tomba più grande, posta al centro, il Monolito di Cristallo, la cui superficie era priva di ornamenti e di aperture, e il cui tetto piatto si trovava allo stesso livello delle pareti della valle; poi c'erano le tre Grotte, il cui ingresso era visibile solo a causa dei sentieri molto battuti che portavano fin lì; e infine, quasi un chilometro nel cuore della valle, c'era il cosiddetto Palazzo dello Shrike, le cui flange a spigolo vivo e le guglie elevate ricordavano le spine della creatura che si riteneva infestasse quel luogo.

Per tutta la giornata i pellegrini erano passati da tomba a tomba; nessuno si avventurava da solo, ma tutto il gruppo si soffermava all'ingresso delle costruzioni dove era possibile entrare. Sol Weintraub era rimasto quasi sconvolto dall'emozione, nel vedere la Sfinge e nell'entrarvi: era proprio quella la tomba in cui, ventisei anni prima, sua figlia aveva contratto il morbo di Merlino. Gli strumenti installati dalla squadra universitaria erano ancora sui treppiedi all'esterno della tomba, anche se era impossibile dire se continuassero a eseguire il quotidiano compito di sorveglianza. I corridoi della Sfinge erano stretti e labirintici come le note sul comlog di Rachel avevano lasciato intuire; i fotoglobi e le lampadine elettriche, abbandonati da svariati gruppi di ricerca, ormai erano spenti ed esauriti. Per esplorare la tomba, i sei pellegrini avevano adoperato torce a mano e il visore notturno di Kassad. Non c'era segno della stanza in cui Rachel si trovava quando le pareti si erano chiuse su di lei e il morbo l'aveva colpita. C'erano solo tracce minime di maree del tempo una volta possenti. Non c'era segno dello Shrike.

Ogni tomba aveva offerto momenti di terrore, di speranza e di orribile aspettativa, rimpiazzati però da delusioni quando stanze vuote e polverose comparivano proprio come era accaduto ai turisti e ai Pellegrini allo Shrike dei secoli precedenti.

Alla fine, mentre le ombre della parete orientale della valle oscuravano le Tombe e il terreno come un sipario che ponesse termine a una recita di scarso successo, la giornata si era risolta in delusione e fatica. Il calore del giorno era svanito e il freddo del deserto era tornato rapidamente, sulle ali d'un vento che profumava di neve e delle alte distese della Briglia, venti chilometri a sudovest. Kassad aveva suggerito di accamparsi. Il Console aveva mostrato la strada per il luogo in cui, secondo tradizione, i Pellegrini passavano l'ultima notte prima d'incontrare lo Shrike. La zona piatta, nelle vicinanze della Sfinge, mostrava tracce di rifiuti dei gruppi di ricerca, oltre che dei pellegrini; era piaciuta a Sol Weintraub e gli aveva dato l'impressione che sua figlia si fosse accampata proprio in quel luogo. Nessuno aveva sollevato obiezioni.

Ora, nella piena oscurità, mentre l'ultimo pezzo di legna bruciava, provai la sensazione che i sei si avvicinassero maggiormente… non al semplice calore del fuoco, ma l'uno all'altro… attirati dalle fragili ma tangibili corde dell'esperienza condivisa, createsi durante la risalita del fiume, sulla chiatta a levitazione Benares, e il viaggio in funivia fino a Castel Crono. Anzi, sentii un'unità più palpabile dei legami emotivi; capii dopo un istante che il gruppo era legato da una rete sensoriale in una microsfera di dati condivisi. In un pianeta dove i primitivi relè dati erano collassati al primo accenno di combattimento, questo gruppo aveva collegato i propri comlog e i bio-monitor per condividere informazioni e per sorvegliarsi l'un altro nel miglior modo possibile.

Anche se le barriere d'ingresso erano ovvie e solide, non avevo avuto difficoltà a superarle e a rilevare gli indizi, finiti ma numerosi (pulsazioni, temperatura della pelle, attività delle onde corticali, richiesta d'accesso, inventario dati), che mi permettevano una certa intuizione di quel che ciascun pellegrino pensava, sentiva, faceva. Kassad, Hoyt e Lamia avevano bio-impianti che rendevano più facile intuire il loro flusso di pensiero. In quel preciso istante Brawne Lamia si domandava se non fosse stato un errore andare alla ricerca dello Shrike; era infastidita da un pensiero appena sotto la superficie della coscienza ma implacabile nella sua richiesta d'attenzione, come se trascurasse un indizio importantissimo che contenesse la soluzione di… di che cosa?