Winslowe sarebbe arrivato a momenti, ed Enoch si accinse ad aspettarlo. Era probabile che il postino si fermasse alla cassetta dei Fisher, appena voltata la curva, sebbene i Fisher ricevessero pochissima posta: per lo più volantini pubblicitari, che venivano indiscriminatamente inviati a tutti gli agricoltori. Del resto, loro non se ne preoccupavano minimamente: non andavano mai a ritirare la posta. Se non fosse stato per Lucy, che qualche volta lo faceva, non avrebbero mai ricevuto niente.
Enoch pensò che i Fisher erano proprio un’azienda in perdita. La casa dove abitavano e le costruzioni della fattoria cadevano a pezzi, e i loro campi, del resto mal coltivati, finivano molto spesso sommersi dalle piene del fiume. Ricavavano un po’ di fieno da un prato basso e possedevano un paio di ronzini, una mezza dozzina di mucche sparute e un branco di polli. Avevano una vecchia e malandata automobile e una distilleria nascosta da qualche parte in riva al fiume; in più si dedicavano alla caccia, alla pesca e tendevano trappole agli animali. Non godevano di buona reputazione, anche se, in fin dei conti, non potevano dirsi cattivi vicini. Badavano ai fatti loro e non davano fastidio, salvo quando se ne andavano in giro tutti insieme a distribuire libretti e opuscoli alle famiglie che abitavano nei dintorni, per attirare nuovi proseliti nell’oscura setta fondamentalista di cui Mamma Fisher era diventata membro alcuni anni prima, durante un raduno a Millville.
Winslowe non si fermò alla cassetta dei Fisher, ma superò la curva in un turbine di polvere, con la macchina quasi in ebollizione. Fermò la carretta ansimante e spense il motore.
— Lasciamola raffreddare un po’ — disse.
Il motore gemette, cominciando a perdere calore.
— Sei un po’ in anticipo, oggi — osservò Enoch.
— C’era poca posta — spiegò Winslowe — e mi sono fermato poche volte.
Infilò la mano nella borsa posata accanto a lui e prese un fascio di quotidiani legati con lo spago a due riviste scientifiche. Li porse a Enoch.
— Ricevi sempre tanta roba — commentò — ma nessuna lettera.
— Non mi è rimasto più nessuno che mi scriva — ribatté lui.
— E invece stavolta una lettera c’è — esclamò il postino.
Enoch guardò, incapace di nascondere la sorpresa, e vide una busta sporgere tra i giornali.
— Una cosa personale — precisò Winslowe. — Non una stampa pubblicitaria o una lettera d’affari.
Enoch s’infilò il pacco sotto il braccio che reggeva il fucile.
— Non sarà niente d’importante — disse.
— Può darsi — convenne, poco convinto, Winslowe.
Estrasse la pipa dalla tasca e si mise a riempirla lentamente, mentre il motore della macchina continuava a emettere scricchiolii d’assestamento. Il sole splendeva nel cielo senza nuvole; la vegetazione che costeggiava la strada era grigia di polvere e mandava un odore acre.
— Ho sentito dire che il tizio che cerca ginseng è tornato — riattaccò il postino con fare noncurante, ma incapace di nascondere un tono da cospiratore. — È stato via tre o quattro giorni.
— Probabilmente è andato a vendere l’erba che ha raccolto.
— Secondo me quello non cerca ginseng, ma qualcos’altro.
— Cosa te lo fa supporre?
— Prima di tutto — spiegò Winslowe — nessuno vuole più ginseng al giorno d’oggi e, del resto, non se ne trova. Una volta sì che era ricercato; credo che i cinesi lo usassero come medicinale. Ma adesso non si commercia con la Cina. Ricordo che da bambino ne andavo in cerca, ma anche allora non era facile trovarlo. Un po’ veniva fuori, comunque.
Si appoggiò allo schienale del sedile, tirando soddisfatto grandi boccate dalla pipa.
— È davvero strano — concluse.
— Non ho mai visto quell’uomo — dichiarò Enoch.
— Va per i boschi a raccogliere diverse qualità di piante. Dev’essere una specie di ciarlatano, di quelli che fabbricano i filtri o roba del genere. Passa molto tempo con la tribù dei Fisher, a chiacchierare e a bere il loro liquore. Di questi tempi non se ne parla molto, ma io sono convinto che la magia venga ancora praticata. Ci sono molte cose che la scienza non è in grado di spiegare. Prendi la ragazza Fisher, per esempio, quella muta: è capace di far sparire le verruche.
— Già, l’ho sentito dire — rispose Enoch.
"E sa far ben altro" continuò fra sé e sé. "Sa guarire le farfalle."
Winslowe si chinò a raccogliere qualcosa che era rimasto sul sedile. — Ah, stavo per dimenticarmi — disse. — C’è ancora qualcosa per te.
Prese un pacchetto avvolto in carta marrone e lo offrì a Enoch. — Non è arrivato con la posta — spiegò. — L’ho fatto io, per dartelo.
— Grazie — rispose Enoch prendendo il pacchetto.
— Avanti, aprilo — insistette Winslowe.
Enoch esitava.
— Diavolo, non avrai vergogna.
L’altro strappò la carta e comparve una statuetta di legno che raffigurava Enoch. Era alta circa venti centimetri, scolpita in un legno biondo color miele. La figuretta brillava al sole come se fosse di cristallo, e mostrava lui che avanzava con il fucile sottobraccio. Evidentemente soffiava il vento, perché il camminatore era un po’ chino e giacca e pantaloni erano tirati all’indietro.
Enoch trattenne il respiro e rimase a guardarla.
— Wins — disse alla fine — è il più bel lavoro che abbia mai visto.
— L’ho ricavato dal pezzo di legno che mi hai dato lo scorso inverno — spiegò il postino. — Non mi era mai capitato fra le mani un legno così facile da scolpire: compatto e senza nodi. Nessun pericolo di spaccarlo o scheggiarlo; quando fai un taglio lo fai dove vuoi e rimane perfetto. Per di più, tagliandolo diventa lucido.
— Non puoi immaginare — disse Enoch — che valore abbia per me.
— In tutti questi anni — continuò Winslowe — mi hai regalato tanti bei pezzi di legno, diversi uno dall’altro e di ottima qualità, anche se così non ne avevo mai visto. Era ora che facessi qualche lavoretto per te.
— Ma fai già tanto per me. Mi compri le cose in città — ribatté lui.
— Enoch — disse Winslowe — tu mi piaci. Non so che tipo sei e non ho intenzione di chiedertelo, comunque mi sei simpatico.
— Vorrei poterti dire cosa sono — rispose Enoch.
— Be’ — concluse il postino, muovendosi per afferrare il volante — non importa quello che siamo. Basta andare d’accordo. Se le grandi nazioni imparassero a vivere come si vive nel nostro piccolo ambiente, il mondo sarebbe migliore.
Enoch annuì, serio: — A quanto pare così com’è non ti sembra un granché, eh?
— Direi di no — confermò il postino, avviando il motore.
Enoch rimase immobile e seguì con lo sguardo la macchina che scendeva la collina, sollevando nuvole di polvere.
Poi tornò a guardare la figura scolpita che pareva camminare sulla sommità di un colle, indifesa dal vento e china nella bufera.
E si chiese perché il postino lo avesse raffigurato così, mentre lottava con il vento…
9
Posò fucile e giornali su una zolla d’erba polverosa e avvolse la statuetta nella carta, accuratamente. Aveva deciso di metterla sulla mensola del camino, o meglio ancora sul tavolino da caffè a fianco della poltrona preferita, nell’angolo. Con una punta d’imbarazzo ammise che voleva tenerla a portata di mano, dove potesse guardarla o prenderla ogni volta che ne avesse voglia. E si meravigliò del piacere profondo, completo e vitale che gli aveva dato il regalo del postino.