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Era facile parlare con lui, pensò Enoch. Quasi come con un altro uomo, anche se Dio solo sapeva quanto fosse diverso da un uomo. In realtà, sembrava la brutta caricatura di un essere umano.

— Hai vissuto in questa casa per molto tempo — riprese Ulisse. — Immagino che tu le sia affezionato.

— Ci sono nato e sempre vissuto. Sono stato via per quattro anni, ma questa restava casa mia.

— Anch’io sono contento perché presto tornerò a casa — dichiarò Ulisse. — Sono via da troppo tempo. Una missione come la mia richiede sempre troppo tempo.

Enoch posò il coltello di cui si era servito per affettare il prosciutto e si lasciò cadere su una sedia, fissando Ulisse che gli sedeva di fronte.

— Come, torni a casa? — domandò.

— Ma certo — ribatté Ulisse. — Ormai la mia missione è quasi compiuta. Anch’io ho una casa, pensavi di no?

— Non lo so — rispose Enoch, confuso. — Non ci avevo pensato.

Era vero: non gli era sembrato possibile associare una creatura come quella all’idea di casa. Solo gli esseri umani ne avevano una.

— Un giorno ti parlerò di casa mia — proseguì Ulisse. — E magari verrai a trovarmi.

— Lassù, fra le stelle? — chiese Enoch.

— Ora ti sembra strano e ci vorrà del tempo prima che ti abitui all’idea. Ma quando mi conoscerai, quando conoscerai noi tutti, capirai. Spero che ti piaceremo. Non siamo cattivi, sai? Nessuna razza è cattiva.

Enoch pensò che le stelle erano lassù, nell’immensa solitudine dello spazio, a una distanza che lui nemmeno riusciva a immaginare. Non sapeva cosa fossero e perché ci fossero. Eppure esisteva un altro mondo… no, si corresse, molti altri mondi. Su ogni stella viveva una razza diversa, forse erano moltissime, e uno di quegli esseri si trovava con lui in cucina, in attesa che il caffè bollisse e le uova al prosciutto fossero pronte.

— Ma perché? — domandò. — Perché?

— Perché — spiegò Ulisse — noi siamo un popolo di viaggiatori e ci serve una stazione di transito in questo luogo. Vogliamo trasformare la tua casa in stazione, e tu sarai il guardiano.

— Questa casa?

— Non possiamo costruirne una nuova, lo verrebbero a sapere tutti. Siamo costretti a servirci di un edificio che già esista, facendo i cambiamenti necessari. Ma solo all’interno. Lasceremo intatto l’esterno, almeno in apparenza, in modo che non sembri cambiata. Nessuno deve sapere né fare domande.

— Ma dove… viaggiate?

— Da una stella all’altra — spiegò Ulisse. — Più veloci del pensiero. Più ràpidi di un battere di ciglia. Tutto questo grazie a delle… Voi le chiamereste "macchine", ma non sono macchine, almeno nel senso che intendete qui.

— Devi scusarmi — balbettò Enoch. — Sembra tutto impossibile.

— Ricordi quando arrivò la ferrovia a Millville?

— Sì, me lo ricordo. Ero un bambino, allora.

— Prova a pensare che si tratti di una ferrovia, e che la Terra sia una città come un’altra; la tua casa diventerà la stazione di questa nuova e diversa ferrovia. L’unica differenza è che tu sarai l’unico uomo a conoscerne l’esistenza. Sarà un posto di riposo e di transito, nient’altro; nessun terrestre potrà comprare un biglietto per questa linea.

Messa così la cosa pareva semplice, ma Enoch sapeva che, in realtà, si trattava di tutt’altro.

— Si attraversa lo spazio dentro un vagone, come in treno? — domandò.

— Non proprio — corresse Ulisse. — Si tratta di una cosa diversa. Non so come cominciare a spiegarti.

— Forse dovresti scegliere un altro, qualcuno in grado di capire meglio.

— Nessun abitante di questo pianeta è in grado di capire, nemmeno lontanamente. No, Enoch, tu o un altro sarebbe lo stesso. Anzi, meglio tu che un altro, sotto certi aspetti.

— Ma…

— Cosa?

— Niente — disse Enoch.

Quante volte, seduto sui gradini, aveva pensato alla propria solitudine e alla necessità di cominciare una nuova vita, sapendo che non poteva evitarlo e che doveva ripartire da zero. Ed ecco, inaspettatamente, il nuovo inizio, più fantastico e misterioso di quanto avesse osato immaginare.

11

Enoch schedò il messaggio e inviò la conferma:

N. 406302. RICEVUTO. CAFFÈ SUL FUOCO. ENOCH.

Rimessa a zero la macchina, si avvicinò al serbatoio liquido numero 3 che aveva preparato prima di uscire. Controllò la temperatura e il livello della soluzione e si assicurò una volta ancora che il recipiente fosse sistemato al posto giusto, in rapporto al materializzatore.

Poi andò a esaminare un secondo materializzatore, quello ufficiale e d’emergenza installato in un angolo, e constatò che era a posto. Era sempre a posto, ma ogni volta che Ulisse preannunciava il suo arrivo non mancava di controllarlo. Del resto, se avesse trovato qualche guasto o difetto non avrebbe potuto far altro che spedire un messaggio urgente alla Centrale Galattica. Nel qual caso avrebbero mandato un tecnico con il materializzatore normale per metterlo a posto.

Come il suo nome lasciava indovinare, il materializzatore ufficiale d’emergenza veniva usato solo per le visite del personale della Centrale o per eventuali casi estremi; il suo funzionamento era indipendente da quello della stazione locale.

Ulisse, ispettore della stazione terrestre e di molte altre, avrebbe potuto servirsi del materializzatore ufficiale quando avesse voluto, senza alcun preavviso. Ma in tanti anni non aveva mai mancato (Enoch lo ricordava con un certo orgoglio) di inviare un messaggio per avvertirlo. Era una cortesia certamente non concessa a tutte le stazioni galattiche, anche se ad alcune indubbiamente sì.

Quella sera, Enoch pensò, avrebbe parlato a Ulisse della sorveglianza a cui era sottoposto da una decina di giorni; si pentì di non averlo fatto prima, ma di fronte alla prospettiva di ammettere che la razza umana poteva rappresentare un problema per l’installazione, aveva provato una certa riluttanza.

Era assurdo, e lo sapeva, farsi ossessionare dal bisogno di dimostrare che la popolazione terrestre fosse buona e ragionevole: perché sotto molti aspetti non era assolutamente vero. Forse dipendeva dal fatto che l’umanità non era abbastanza matura, ma se qualche volta si mostrava intelligente e compassionevole, in altre occasioni era un vero flagello.

Eppure Enoch era convinto che se l’umanità avesse saputo cosa c’era fra le stelle, poco per volta avrebbe imparato a controllarsi e a crescere, e a tempo debito sarebbe stata accolta nella grande confraternita dei popoli dello spazio.

E una volta ammessa, avrebbe dato prova delle sue possibilità e avrebbe acquistato importanza, perché era una razza ancora giovane e piena d’energia… anzi, fin troppo energica.

Enoch scosse la testa e attraversò nuovamente la stanza, per andare a sedersi alla scrivania. Avvicinò a sé il pacco della posta e slegò lo spago che Winslowe aveva usato per tenerla.

C’erano i quotidiani, un settimanale, le due riviste scientifiche "Cosmos" e "Science" e… la lettera.

Enoch spinse da parte i giornali e dedicò la sua attenzione alla lettera. Era partita da Londra per via aerea e il mittente gli era sconosciuto. Si chiese perché un estraneo dovesse scrivergli da Londra, ma rifletté che per lui erano tutti estranei: non aveva conoscenze in Inghilterra né in altre parti del mondo.

Finalmente aprì la busta ed estrasse il foglio che spianò sulla scrivania, avvicinando la lampada per leggere meglio:

Egregio signore,

immagino che lei non mi conosca. Sono un redattore della rivista inglese "Cosmos", cui lei è abbonato da parecchi anni. Non scrivo sulla carta intestata della casa editrice perché questa è una comunicazione privata, non ufficiale e forse addirittura un po’ indiscreta.

Ritengo le interesserà sapere che lei è il nostro più vecchio abbonato, in quanto riceve la rivista da oltre ottant’anni.