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Mi rendo perfettamente conto che la cosa non mi riguarda, ma confesso che il suo caso mi ha incuriosito e mi sono chiesto se lei abbia personalmente rinnovato l’abbonamento in tutto questo tempo o se invece qualcun altro, per esempio suo padre, abbia cominciato e lei abbia quindi mantenuto la consuetudine.

La mia curiosità è indubbiamente eccessiva e costituisce un’imperdonabile intromissione, per cui se deciderà di ignorarla non solo avrà ogni diritto di farlo, ma sarà il comportamento più naturale. D’altra parte, se deciderà di rispondere sarò felice di ricevere una sua lettera.

A mia difesa posso dire soltanto che lavoro da tanto tempo per questa testata che provo un senso d’orgoglio al pensiero di avere un abbonato fedele da oltre ottant’anni. Non credo esista un’altra pubblicazione che possa vantarsi di aver destato tanto interesse in un lettore.

Con l’espressione del più profondo rispetto, rimango il suo…

Seguiva la firma.

Enoch allontanò la lettera.

"Ci risiamo" disse tra sé. "Ecco un altro che mi tien d’occhio, anche se lo fa nel modo più discreto e delicato possibile." Se non altro, non era probabile che gli procurasse guai.

Ma il redattore si era incuriosito, aveva provato un comprensibile senso di stupore all’idea che qualcuno fosse abbonato alla sua rivista da più di ottant’anni.

Con il passare del tempo la gente si sarebbe interessata a lui sempre di più: Enoch non era preoccupato solo per gli osservatori accampati intorno alla stazione, ma anche per i potenziali altri. Un uomo ha un bel nascondersi, non può scomparire del tutto; presto o tardi il mondo si accorgerà della sua esistenza e andrà a bussare alla sua porta, ansioso di sapere perché ci tenga tanto a non farsi vedere.

Si rese conto che era assurdo sperare in un’altra dilazione. Il mondo gli si chiudeva intorno.

"Ma perché non mi lasciano in pace" pensò. Se avesse potuto spiegare qual era la situazione, avrebbero capito. Purtroppo non poteva spiegare, e comunque ci sarebbe stato chi l’avrebbe perseguitato ugualmente.

Un ronzio intermittente, che proveniva dal materializzatore, richiamò la sua attenzione. Enoch si girò da quella parte.

Il thubano era arrivato: nel serbatoio si vedeva una massa dai contorni incerti e di sostanza sconosciuta. Sopra di lui, una specie di cubo navigava pigramente nella soluzione.

Il bagaglio, pensò Enoch. Ma il messaggio non parlava di bagagli.

Corse verso il materializzatore e un leggero ticchettio lo informò che il thubano gli stava dicendo qualcosa.

— Presente per lei — significava il ticchettio. — Vegetazione morta.

Enoch sbirciò il cubo che galleggiava sul liquido.

— Prenda — ticchettò il thubano. — Portato in regalo.

Confuso, Enoch formulò la risposta picchiettando con la punta delle dita sul vetro del serbatoio. — La ringrazio, egregio. — Si augurò di aver usato l’espressione giusta, anche se si trattava di un ammasso informe. In casi simili i problemi d’etichetta erano quanto mai complessi. Con alcuni visitatori bisognava usare un linguaggio fiorito (ma le fioriture variavano di volta in volta), con altri bisognava rivolgersi in termini semplici, addirittura rudi.

Estrasse il cubo dal serbatoio e vide che si trattava di un blocco di legno piuttosto pesante, nero come l’ebano e di grana così compatta che sembrava pietra. Sorrise fra sé, pensando che, a furia di ascoltare Winslowe, era diventato un esperto nel giudicare la qualità del legno artistico.

Posò il blocco a terra e tornò al serbatoio.

— Le dispiacerebbe — ticchettò il thubano — dirmi cosa farà di lui? Da noi, sostanza molto inutile.

Enoch esitò, cercando disperatamente l’equivalente in codice della parola "scolpire".

— Allora? — domandò il thubano.

— Mi scusi, egregio, non mi servo spesso di questa lingua e non sono esperto.

— La smetta con questo "egregio". Sono individuo comune.

— Lo trasformiamo, gli diamo un’altra forma — cercò di spiegare Enoch. — Lei è una creatura con la vista? In tal caso le farò vedere.

— Niente vista — interruppe il thubano. — Vedere no, ma posso fare molte altre cose.

Quando era arrivato aveva forma sferica, ora cominciava ad appiattirsi.

— Lei — disse il thubano — è un bipede.

— Sì.

— Il pianeta è solido?

Solido? si chiese Enoch. Già, il contrario di liquido. E subito trasmise: — Solo per un quarto. Il resto è liquido.

— Il mio quasi interamente liquido. Pochissimo solido. Mondo molto riposante.

— Vorrei chiederle una cosa — picchiettò Enoch.

— Chieda.

— Voi siete un popolo di matematici, vero?

— Sì — rispose la creatura. — È una eccellente ricreazione. Tiene occupata la mente.

— Vuol dire che non ve ne servite per scopi pratici?

— Oh, una volta sì, ma ora non è più necessario. Abbiamo da molto tempo tutto ciò che ci occorre e riposiamo…

— Ho sentito parlare del vostro sistema di numerazione.

— È diverso. Molto diverso. E senz’altro migliore — disse il thubano.

— Potrebbe parlarmene un po’?

— Conosce il sistema di calcolo adottato dalla gente di Polaris VII?

— No — batté Enoch sul vetro.

— E allora è inutile che le spieghi il nostro. Deve imparare prima quello.

Enoch si diede dello stupido: avrebbe dovuto aspettarselo. Quelli della galassia sapevano tante cose e lui era così ignorante, capiva così poco di quello che sapeva…

Eppure sulla Terra esistevano certamente uomini in grado di capire. Uomini che sarebbero stati pronti a dare qualunque cosa, la vita praticamente, per imparare il pochissimo che era a sua conoscenza, e che avrebbero saputo servirsene.

Lassù, fra le stelle, c’era un’enorme massa di conoscenze che solo in parte erano un’estensione dei fatti già noti all’uomo; per il resto si trattava di argomenti completamente sconosciuti, e che senza aiuto gli uomini della Terra non avrebbero saputo neanche immaginare.

Altri cento anni, pensò Enoch. Quanto avrebbe imparato in altri cento anni? E in mille?

— Adesso io riposo — comunicò il thubano. — Lieto di aver comunicato con lei.

12

Enoch girò le spalle al contenitore e prese il blocco di legno. Aveva lasciato una modesta pozza umida sul pavimento.

Si avvicinò alla finestra per esaminarlo meglio: era nero, massiccio e di grana compatta; in un angolo c’era ancora un pezzetto di corteccia. Si vedeva che era stato segato e che qualcuno lo aveva modellato perché entrasse nel serbatoio dove ora riposava il thubano.

Enoch ricordò un articolo di giornale che aveva letto un paio di giorni prima: uno scienziato sosteneva che su un mondo liquido non possa svilupparsi un’intelligenza superiore. Lo scienziato sbagliava di grosso, perché i thubani vivevano in un elemento liquido e nella galassia esistevano molte razze che si erano sviluppate allo stesso modo. Se mai fosse venuto il momento di partecipare alla cultura galattica, l’uomo non solo avrebbe dovuto imparare nuove cose, ma avrebbe dovuto ricredersi su molte altre.

Per esempio, il limite di velocità della luce.

Se niente potesse muoversi più veloce della luce, il sistema di trasporto galattico sarebbe impraticabile.

Ma non bisognava criticare l’umanità per aver creduto in quel limite: le sue premesse si basavano sull’osservazione. E poiché la scienza umana non aveva ancora scoperto niente che fosse in grado di procedere a una velocità superiore, era arrivata alla conclusione che non si potesse infrangerla. Del resto, si trattava di supposizioni.

Il sistema di impulsi che trasportava gli esseri da una stella all’altra era istantaneo, indipendentemente dalla distanza.