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Enoch rifletté a lungo e ammise che era difficile credere a una realtà del genere.

Eppure, pochi istanti prima la creatura che ora riposava nel serbatoio si trovava in un’altra stazione. Il materializzatore aveva creato non solo un modello del suo corpo, ma anche il modello della forza vitale, cioè l’energia che gli dava la vita. Poi, questo modello fatto di impulsi aveva attraversato gli abissi dello spazio, raggiungendo quasi istantaneamente la stazione ricevente; qui era servito a creare una copia del corpo, della mente, della memoria e della vita della creatura che giaceva come morta ad anni-luce di distanza. Nel serbatoio il nuovo corpo, la nuova mente e memoria avevano preso istantaneamente forma, creando un essere identico al primo ma appena formato. La sua identità (riferita alla coscienza) continuava senza soluzione, a parte una brevissima interruzione nei pensieri. Il nuovo essere era dunque lo stesso.

La facoltà di inviare modelli fatti di impulsi aveva i suoi limiti, ma non quello della velocità: in effetti, gli impulsi viaggiavano da un punto all’altro della galassia in un batter d’occhio. Durante il viaggio, e in determinate condizioni, i modelli potevano collassare, e per questo erano state create le stazioni intermedie, a migliaia. Le nuvole di polvere e gas o la presenza di zone ad alta ionizzazione potevano distruggere i modelli, e nelle regioni della galassia in cui quei pericoli erano più frequenti, la distanza fra un balzo e l’altro era ridotta al minimo per evitare rischi. Le zone ad alta concentrazione di gas e polveri dovevano essere comunque aggirate.

Enoch sarebbe stato curioso di sapere quanti corpi morti, copie della creatura che ora riposava nel serbatoio, giacevano nelle stazioni che aveva attraversato durante il viaggio. Fra poche ore, quando il modello della creatura fosse ripartito su onde a impulsi, anche il corpo che aveva davanti sarebbe finito.

Una lunga sfilza di cadaveri si snodava fra le stelle, e ognuno sarebbe stato distrutto da un getto di acido o gettato in serbatoi interrati; ma la creatura avrebbe continuato a viaggiare fino a destinazione. Perché viaggiavano? Per quali scopi andavano da una stella all’altra? A volte, parlando con qualcuno degli esseri che sostavano alla stazione, Enoch era riuscito a sapere qualcosa, ma per lo più non accennavano ai motivi del viaggio. E lui, essendo un guardiano, non aveva il diritto di fare domande.

Dentro di sé li chiamava "i miei ospiti", anche se non sempre, perché c’erano creature che non avevano affatto bisogno di un ospite. In ogni caso, era lui l’uomo che badava all’andamento della stazione, preparava il necessario per accogliere i viaggiatori e provvedeva a farli ripartire quando era venuto il momento. Era lui che pensava alle piccole necessità e cortesie di cui potessero aver bisogno.

Tornò a esaminare il pezzo di legno, pensando che Winslowe sarebbe stato contento di riceverlo. Non era facile trovare un legno così scuro e di grana altrettanto fine.

Chissà cosa avrebbe detto il postino, se avesse saputo che le sue statuine erano ricavate da blocchi di legno che venivano da lontani pianeti. Doveva essersi domandato spesso dove l’amico trovasse quegli strani materiali, ma non glielo aveva mai chiesto. Per la stessa ragione non si era permesso di domandare chi fosse Enoch, e come mai gli andasse incontro tutti i giorni alla cassetta delle lettere.

Questa, pensò il guardiano, era vera amicizia.

Ma anche il blocco di legno che teneva in mano era una prova di amicizia: la cortesia delle stelle per l’umile custode di una remota stazione, nascosta fra i boschi di un mondo alla periferia della galassia.

Evidentemente, durante tutti quegli anni si era sparsa la voce che un certo guardiano faceva raccolta di legni esotici, per cui non solo esseri di razze che considerava ormai amiche, ma anche estranei come quello che giaceva nel serbatoio, gliene portavano dei pezzi in regalo.

Posò il legno sulla scrivania e si avvicinò al frigorifero, da cui tolse un pezzo di formaggio che Winslowe gli aveva portato qualche giorno prima e un sacchetto di frutta, dono di un viaggiatore arrivato ieri da Sirrah X.

"Frutta analizzata" aveva detto il visitatore. "Può mangiare senza danno. Non fa scherzi al suo metabolismo. Lei già assaggiata? No? Peccato, è deliziosa. Prossima volta porterò di più. Lei piace."

Enoch prese una pagnotta schiacciata dalla credenza vicino al frigorifero: faceva parte della razione fornitagli regolarmente dalla Centrale Galattica. Fatta con un cereale sconosciuto sulla Terra, la pagnotta aveva sapore di noci, con un lieve e gradevole aroma di spezie.

Mise il cibo su quello che chiamava "il tavolo di cucina", anche se non c’era una cucina. Mise il bricco del caffè sul fornello e tornò alla scrivania.

La lettera era ancora aperta e la chiuse in un cassetto.

Strappò l’incarto marrone che avvolgeva i giornali e li sistemò in un mucchio. Scelse il "New York Times" e sedette sulla sua poltrona preferita, per mettersi a leggere.

ACCORDI PER UNA NUOVA CONFERENZA DI PACE, lesse in prima pagina.

La crisi durava da più di un mese, e non era che l’ultima di una lunga serie che teneva il mondo con il fiato sospeso da anni. Ma la cosa peggiore, secondo Enoch, era che si trattava di crisi volute: uno o l’altro dei contendenti spingeva le cose per ottenere qualche vantaggio, facendo una mossa azzardata nell’eterna partita a scacchi per la conquista della supremazia politica che durava dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Gli articoli del "Times" sulla conferenza avevano un sapore disperato, quasi fatalista, come se i giornalisti e forse anche i diplomatici coinvolti sapessero che l’incontro non avrebbe avuto alcun esito positivo: "Gli osservatori della capitale" scriveva un corrispondente da Washington "sono convinti che la conferenza attuale non servirà, come pure qualche volta è successo in passato, a ritardare uno scontro aperto né a far avanzare la prospettiva di un accordo. Anzi, molti osservatori non nascondono il timore che l’incontro farà divampare ancora di più le fiamme della controversia, senza offrire, in compenso, nuovi sbocchi per il compromesso. L’opinione pubblica ritiene comunemente che una conferenza serva a soppesare con calma e buona volontà i punti di una contesa, ma in questo caso gli osservatori ottimisti sono veramente pochi".

Il bollitore del caffè era al massimo ed Enoch posò il giornale per andare a toglierlo dal fuoco. Prese una tazza dalla credenza e la posò sul tavolo.

Ma prima di mettersi a mangiare andò alla scrivania, aprì un cassetto e pescò il diagramma al quale stava lavorando, tenendolo aperto sul piano. Mentre lo studiava tornò a domandarsi fino a che punto fosse valido, ed ebbe la sensazione che in più punti un suo senso l’avesse.

Si era basato sulla teoria statistica dei Mizar, ma per la natura stessa del progetto aveva dovuto cambiare alcuni dati e sostituire dei valori: per l’ennesima volta si chiese se in qualche passaggio avesse commesso un errore. I cambiamenti e le sostituzioni avevano annullato la validità del sistema? E in questo caso, come avrebbe potuto correggerli?

I fattori erano: il ritmo d’incremento della popolazione terrestre e la cifra totale a cui ammontava; il tasso di mortalità, il valore del denaro, l’aumento del costo della vita, la frequentazione dei luoghi di culto, i progressi della medicina e della tecnologia, gli indici industriali, il mercato del lavoro, le tendenze del commercio mondiale e molti altri, compresi alcuni che lì per lì avrebbero potuto sembrare incongrui. Fra questi, la fluttuazione dei prezzi delle opere d’arte, le località prescelte per i viaggi e gli spostamenti, la velocità dei trasporti e l’incidenza delle malattie mentali.

Il metodo statistico elaborato dai matematici di Mizar, se applicato correttamente, era valido ovunque; ma per adattarlo alla situazione terrestre Enoch era stato costretto a fare alcune variazioni. Ora si chiese se, a causa di questa forzatura, si potesse ancora considerare esatto.