Guardò il diagramma e rabbrividì: se non aveva commesso errori e i suoi calcoli erano giusti, la Terra stava precipitando a capofitto verso un’altra e più terribile guerra, verso la distruzione nucleare. Lasciò liberi gli angoli della carta che si arrotolò su se stessa, a cilindro.
Decise di assaggiare uno dei frutti di Sirrah e lo assaporò lentamente, per gustarne il sapore delicato. Era buono come la straordinaria creatura alata che glielo aveva regalato.
Un tempo aveva coltivato la speranza che il diagramma basato sulla teoria dei Mizar mostrasse il modo, se non di impedire tutte le guerre, almeno di prolungare il mantenimento della pace. Ma erano speranze vane; il diagramma non conteneva il minimo accenno a una via di pace. Inesorabilmente, anche se lentamente, ci si avvicinava alla catastrofe.
Quanti altri conflitti avrebbe potuto sopportare la gente della Terra? Le nuove armi non erano state messe alla prova e nessuno era in grado di fare una valutazione, sia pure approssimativa, del loro potere distruttivo.
La guerra era già abbastanza brutta quando gli uomini si affrontavano faccia a faccia, ma in un grande conflitto moderno enormi carichi di distruzione avrebbero attraversato il cielo per inghiottire intere città; e le armi non avrebbero puntato agli obiettivi militari, ma a tutta la popolazione.
Enoch fu tentato di svolgere nuovamente la carta, poi vi rinunciò: a che serviva continuare a guardarla? La conosceva a memoria, non c’era speranza. Poteva studiarla e farsi domande fino al giorno del giudizio, non sarebbe cambiato niente: ancora una volta, travolto da un’esplosione di furore cieco e disperato, il mondo stava avviandosi sulla strada della guerra.
Enoch continuò a mangiare e trovò che il frutto era anche più buono di quanto non gli fosse parso assaggiandolo. "La prossima volta ne porterò di più" aveva detto l’essere alato. Ma sarebbe passato molto tempo prima del suo ritorno, e chissà se sarebbe tornato… C’erano viaggiatori che passavano una volta sola; altri venivano tutte le settimane, ma erano pochi: vecchi viaggiatori abitudinari che erano diventati suoi intimi amici.
Poi c’era stato il gruppo degli splendenti, ricordò Enoch. Era successo parecchi anni prima, ma avevano preso accordi speciali per fermarsi alla stazione più a lungo, in modo da trattenersi a chiacchierare con lui intorno al tavolo. Arrivavano carichi di bagagli e cose da bere e da mangiare, come se andassero a un picnic.
A un certo punto le visite erano cessate. Da anni non ne vedeva uno, e gli mancavano perché erano stati i compagni migliori.
Enoch bevve un’altra tazza di caffè, seduto pigramente a ricordare i bei giorni con gli splendenti.
A un tratto un lieve fruscio attrasse la sua attenzione; alzò gli occhi e la vide seduta sul divano, con la gonna a cerchio che era stata di moda nel 1860.
— Mary! — esclamò sorpreso, balzando in piedi.
Lei sorrideva in quel suo modo particolare ed era bella, Enoch pensò, come nessun’altra era stata bella.
— Mary — ripeté. — Sono così felice di averti qui.
Appoggiato alla mensola del camino, con la divisa blu dell’Unione, la sciabola al fianco e i gran favoriti neri, apparve un altro dei suoi vecchi amici.
— Ciao, Enoch — disse David Ransome. — Speriamo di non disturbare.
— Non disturbate mai — lo rassicurò Enoch. — Come possono dar fastidio gli amici?
Se ne stava ritto accanto al tavolo e il passato era tornato da lui; il passato bello e riposante, sereno e profumato di rose che non lo aveva mai abbandonato.
In distanza si sentivano suonare pifferi e tamburi, e nella confusione dei finimenti da battaglia i ragazzi marciavano verso il fronte guidati dal colonnello, che nella splendida uniforme da parata cavalcava il grande stallone nero. Le bandiere del reggimento garrivano alla brezza di giugno.
Enoch attraversò la stanza, e raggiunto il divano s’inchinò a Mary.
— Col tuo permesso, madame - disse.
— Prego, siediti — rispose lei. — Però, se hai da fare…
— Per niente. Speravo che sareste venuti.
Enoch sedette sul divano, non troppo vicino a lei, che teneva le mani intrecciate educatamente in grembo. Avrebbe voluto stringerle fra le sue, ma sapeva che era impossibile.
Perché Mary non era realmente là.
— Non ti vedo da quasi una settimana — disse Mary. — Come va il lavoro, Enoch?
Lui scosse la testa. — I problemi ci sono sempre. Mi sorvegliano ancora e il diagramma preannuncia guerra.
David si staccò dal camino e attraversò la stanza, poi sedette su una sedia aggiustando la sciabola. — La guerra come la combattono di questi tempi dev’essere un brutto affare. Non certo come la combattevamo noi, Enoch.
— No — ammise Enoch. — Niente a che vedere. E mentre una guerra è brutta di per sé, adesso c’è un problema più grave. Se ci sarà un’altra guerra mondiale, la nostra gente verrà bandita per secoli, se non per sempre, dalla possibilità di entrare a far parte della confraternita dello spazio.
— Forse non sarebbe un male — obiettò David. — Può darsi che non siamo abbastanza maturi per unirci a quelli dello spazio.
— È probabile — ammise Enoch. — Ne dubito anch’io. Ma un giorno potremmo diventarlo, e se ci sarà un’altra guerra questo giorno si farà sempre più lontano. Bisogna fingere almeno un po’ di civiltà, per unirsi alle altre razze.
— Forse non verranno a saperlo — disse Mary. — Voglio dire, non verranno a sapere della guerra, dato che passano solo da questa stazione.
Enoch scosse la testa.
— Impossibile. Credo che ci sorveglino. E, a ogni modo, leggono i giornali.
— Quelli a cui sei abbonato?
— Li tengo da parte per Ulisse: guarda, quel mucchio là nell’angolo. Li porta alla Centrale Galattica; ha vissuto molti anni qui e la Terra gli interessa molto. Quando li ha letti, credo che vengano mandati ai quattro angoli della galassia.
— Figurati cosa penserebbero gli uffici commerciali dei rispettivi giornali — osservò David. — Una diffusione da capogiro.
Enoch sorrise fra i denti.
— C’è un quotidiano della Georgia — disse ancora David — che si vanta di coprire il Sud capillarmente. Loro dicono: "come la rugiada". Dovrebbero pensare a qualcosa di simile su scala galattica.
— Potrebbe essere un guanto — intervenne Mary, pronta. — "Copriamo la galassia come un guanto". Che ve ne pare?
— Ottimo — disse David.
— Povero Enoch — riprese Mary, contrita. — Noi ce ne stiamo qui a scherzare e lui ha tanti problemi.
— Non miei personali — rispose lui. — Ma confesso che mi preoccupano. Io non ho altro da fare che starmene dentro la stazione. Una volta chiusa la porta, tutti i problemi del mondo restano fuori.
— Credo che tu abbia ragione — disse David — nel ritenere che le altre razze ci tengano d’occhio. Con l’intenzione, magari, di invitarci a far parte della comunità quando sarà il momento. Altrimenti, perché avrebbero costruito una stazione sulla Terra?
— Continuano ad allargare la loro rete — spiegò Enoch. — Avevano bisogno di una stazione nel sistema solare per estendere le diramazioni in questo braccio della spirale.
— Capisco, ma perché proprio la Terra? — insisté David. — Avrebbero potuto installarla su Marte e mettere uno dei loro come guardiano. Sarebbe stato lo stesso.
— Ci ho pensato spesso — dichiarò Mary. — Volevano una stazione sulla Terra e un terrestre come guardiano. Dev’esserci una ragione.
— L’ho sperato anch’io — disse Enoch. — Ma ho paura che siano venuti troppo presto. Presto per la razza umana, almeno. Non siamo abbastanza cresciuti, è come se fossimo ancora dei ragazzi.
— È un peccato — aggiunse Mary. — Avremmo tanto da imparare. Loro sanno molte cose più di noi… pensate come intendono la religione, per esempio.