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— Zitto, tu — intimò duramente il padre, voltandosi dalla sua parte.

Roy indietreggiò di un passo, brontolando.

Hank si rivolse di nuovo a Enoch. — Roy l’ha buttata a terra con un pugno — continuò a spiegare. — Certo, ha fatto male, avrebbe dovuto stare più attento.

— Non volevo farla cadere — intervenne Roy. — Ho solo allungato il braccio per impedirle di arrivare al cane.

— È vero — ammise Hank — ma l’hai colpita troppo forte. Lei però non avrebbe dovuto intervenire. E poi, ne ha fatta un’altra delle sue: ha immobilizzato il cane perché non potesse più esercitarsi col tasso. Pensa: senza neppure toccarlo con un dito, è riuscita a immobilizzarlo! Butcher non era più capace di muovere neppure un muscolo e Roy ha perso la pazienza. Non sarebbe successo anche a te?

— Non credo — rispose Enoch. — Del resto, io non allevo cani per dare la caccia ai tassi.

Hank lo fissò, stupito dalla mancanza di comprensione.

In ogni caso continuò a raccontare: — Roy era furibondo. Aveva allevato quel cucciolo e ci teneva moltissimo: non poteva permettere a nessuno, nemmeno a sua sorella, di ridurlo così. Le si è avventato contro e lei lo ha immobilizzato, come aveva fatto col cane. Non ho mai visto una cosa simile: Roy si è irrigidito, è caduto a terra con le ginocchia piegate sulla pancia e le braccia strette al corpo come se l’avessero legato. Anche Butcher era rigido e a terra. Ma Lucy non ha fatto niente al tasso, non l’ha ridotto a una palla. Se l’è presa solo con la famiglia.

— Però non ho sentito dolore — disse Roy. — Nessun dolore.

— Io stavo seduto lì vicino, aggiustando questa frusta che si era sfilacciata — riprese Hank. — Ho assistito a tutta la scena ma non sono intervenuto, finché non ho visto Roy cadere per terra. Allora mi è sembrato che Lucy esagerasse. Sono un uomo di larghe vedute e non faccio caso a qualche incantesimo o a qualche piccola fattucchieria. C’è tanta gente capace di farne, non è una disgrazia. Ma legare come salami un ragazzo e un cane…

— Per questo l’hai frustata? — disse Enoch.

— Era mio dovere — rispose Hank in tono solenne. — Non voglio avere una strega in famiglia. L’ho colpita un paio di volte, sfidandola a farmi smettere. Credo che se avessi continuato, le avrei cacciato il diavolo di corpo. E allora ha fatto un incantesimo anche a me, ma diverso da quello di Butcher e di Roy. Mi ha fatto diventare cieco… ha accecato suo padre! Non riuscivo più a vedere e continuavo a barcollare per l’aia, gridando e fregandomi gli occhi. E poi tutto è finito, ma lei era scomparsa. L’ho vista correre nel bosco e su per la collina e allora io e Roy le siamo corsi appresso.

— E credi che sia qui?

— Sono sicuro.

— Va bene — ammise Enoch. — Cercate pure.

— Stai certo che lo farò — disse Hank. — Roy, guarda nella rimessa, può stare nascosta là dentro.

Roy corse verso la rimessa, mentre Hank entrava nel ripostiglio da cui uscì quasi subito.

Enoch aspettava, immobile, col fucile fra le braccia.

Si rendeva perfettamente conto che l’incidente era più grave di quanto avesse pensato.

Non poteva far ragionare un uomo come Hank Fisher, finché era in preda all’ira. Solo quando si fosse calmato, avrebbe potuto parlare con lui.

I due tornarono.

— Non c’è — disse Hank. — Sarà in casa.

— Nessuno può entrare in casa — dichiarò Enoch.

— Roy, sali i gradini e va’ ad aprire quella porta! — ordinò Hank.

Roy lanciò un’occhiata perplessa a Enoch.

— Prova pure — disse lui.

Roy avanzò strascicando i piedi e, saliti lentamente i gradini, attraversò il portico e girò il pomo della porta.

— Papà, non si muove — disse dopo aver tentato varie volte. — Non riesco ad aprire.

— Diavolo! — esclamò disgustato Hank. — Non sai far niente.

Superò i gradini con un salto e attraversò, furibondo, il portico. Afferrato il pomo con una stretta poderosa, provò più volte a girarlo. Poi si rivolse a Enoch, furibondo: — Cosa succede, adesso?

— Ho detto che non potete entrare.

— Al diavolo, se ci riuscirò! — gridò Hank.

Gettò la frusta a Roy e si avviò verso la catasta di legna ammonticchiata vicino al ripostiglio, per prendere l’ascia che era conficcata in un ceppo.

Era un’ascia pesante, a doppio taglio, che serviva a spaccare grossi tronchi.

— Stai attento, con quell’ascia — lo ammonì Enoch. — Ce l’ho da un pezzo e mi è molto utile.

Hank non lo stette a sentire e tornò sotto il portico, piantandosi davanti alla porta. — Scostati — disse a Roy. — Dammi spazio.

Roy si allontanò.

— Un momento — intervenne Enoch. — Vuoi abbattere la porta?

— Puoi star certo che lo farò.

— Prova pure, allora…

Hank si mise in posizione, stringendo il manico dell’ascia. L’acciaio mandò un rapido bagliore sulla spalla e calò sul battente. Ma lo sfiorò appena e rimbalzò indietro, come spinto da una molla. L’ascia mancò di un pelo una gamba di Hank e ricadde, mentre l’uomo restava immobile, esterrefatto.

— Riprova — lo invitò Enoch.

— Perdio se lo farò! — urlò Hank, paonazzo di rabbia.

Stavolta vibrò l’ascia non più contro la porta, ma contro la finestra vicina.

L’ascia colpì il bersaglio e si sentì un tintinnio metallico, mentre l’acciaio volava in minuscoli frammenti. Una lama si era rotta, e Hank fissava sbalordito l’acciaio smozzicato e la finestra intatta.

Senza parlare allungò una mano e Roy gli tese la frusta. I due scesero in silenzio i gradini del portico.

Vedendo che Hank agitava nervosamente la frusta, Enoch disse: — Se fossi in te non ci proverei. Ho i riflessi molto pronti.

Accarezzando il calcio del fucile aggiunse: — Ti staccherei una mano prima che tu riesca a colpirmi.

— Hai il diavolo in corpo, Wallace — disse Hank, ansimando. — E anche mia figlia. Lavorate insieme, voi due. Vi nascondete nei boschi, vi incontrate di nascosto.

— Credo che adesso fareste meglio a tornarvene a casa — ammonì Enoch. — Se troverò Lucy, ve la riporterò.

I due non si mossero.

— Non è ancora detta l’ultima parola — fece Hank. — Tu hai nascosto mia figlia da qualche parte e me la pagherai.

— Sono pronto a farlo in qualsiasi momento, ma non adesso — disse Enoch, imbracciando minacciosamente il fucile.

— Andatevene e non tornate mai più… Via, tutti e due!

Esitarono per un attimo, cercando di indovinare le sue intenzioni, poi si volsero lentamente e, camminando affiancati, scesero il pendio della collina.

18

Enoch pensò che avrebbe fatto meglio a ucciderli tutti e due, perché non meritavano di vivere.

Abbassò lo sguardo sul fucile e vide la sua mano contratta, con le dita bianche e rigide che spiccavano sul legno lucido e scuro.

Fece un profondo respiro e cercò di dominare la rabbia che gli ribolliva dentro, rischiando di esplodere. Se quei due fossero rimasti ancora un po’, se non li avesse cacciati, sentiva che avrebbe ceduto all’ira incontrollabile.

Così era stato meglio per tutti, molto meglio. Un po’ oziosamente si chiese come fosse riuscito a dominarsi.

Meno male. Anche così, si rese conto di essersi messo in un bel pasticcio.

I due avrebbero detto che era pazzo, che li aveva minacciati col fucile. Magari che aveva rapito Lucy e la tratteneva contro la sua volontà. Non si sarebbero fermati di fronte a niente, pur di procurargli tutti i guai che potevano.

Enoch non si faceva illusioni sul loro conto, perché conosceva quella razza: meschini e vendicativi, piccoli insetti maligni della specie umana.

Li seguì con lo sguardo mentre scendevano il fianco della collina e si chiese in che modo una ragazza sensibile come Lucy avesse potuto nascere in una famiglia degenere. Forse la sua disgrazia aveva funzionato da barriera contro la cattiveria degli altri; le aveva impedito di diventare simile a loro. Se fosse stata in grado di parlare e di sentire, probabilmente sarebbe diventata insensibile e malvagia come qualsiasi altro membro della famiglia.