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— Credi che avrebbe paura se le facessi un inchino alla vostra maniera?

— Credo — disse Enoch — che le farebbe molto piacere.

Ulisse fece un inchino formale ed esagerato, con una mano sul petto color cuoio e il busto piegato fino a metà. Lucy sorrise e batté le mani.

— Guarda — esclamò Ulisse, soddisfatto. — Credo di esserle simpatico.

— Allora perché non ti siedi? — lo invitò Enoch. — Così prendiamo tutti il caffè.

— Ah, non ci pensavo più. La vista di quest’altro essere umano mi ha fatto dimenticare il caffè.

Sedette a tavola, dove la terza tazzina era già pronta per lui, e Lucy andò subito a prendere il bricco.

— Ci ha sentiti? — domandò Ulisse.

Enoch fece segno di no con la testa. — Ti sei seduto davanti alla tazza e la tazza era vuota.

Lucy versò il caffè, poi andò a sedersi sul divano.

— Non rimane con noi? — chiese Ulisse.

— Le interessano tutti quegli oggetti strani. È riuscita a farne funzionare uno.

— Hai intenzione di tenerla qui?

— Non è possibile — rispose Enoch — perché la cercherebbero. Dovrò riaccompagnarla a casa.

— Non mi piace questa faccenda — disse l’altro.

— Non piace nemmeno a me. Di’ pure che ho fatto male a portare qui la ragazza, ma non ho avuto il tempo di ragionare.

— No, non hai fatto niente di male — lo consolò Ulisse.

— E lei non può danneggiarci — aggiunse Enoch. — Non potendo comunicare…

— Non è questo — riprese Ulisse. — Si tratta di un’altra complicazione, e a me non piacciono le complicazioni. Enoch, sono venuto per dirti che abbiamo dei guai.

— Guai? Perché?

Ulisse bevve una lunga sorsata di caffè: — È buono — disse. — Quando porto i chicchi a casa e lo faccio da me, il gusto è diverso.

— Allora, questi guai? — insisté Enoch.

— Ricordi il vegano che morì qui alcuni anni fa?

— Sì, lo splendente — rispose Enoch.

— Aveva un nome proprio.

Enoch rise. — Non vi piacciono i nomignoli che diamo noi.

— Non rientra nelle nostre abitudini — fece Ulisse.

— È un modo di dimostrare affetto — spiegò Enoch.

— Tu l’hai seppellito.

— Nel cimitero di famiglia — disse Enoch. — Come se fosse uno dei miei. E ho letto un verso sulla tomba.

— È stato molto bello da parte tua, è così che si fa — dichiarò Ulisse. — Ti sei comportato nel modo migliore, ma adesso il cadavere è scomparso.

— Scomparso? Ma è impossibile — protestò Enoch.

— È stato tolto dalla tomba.

— Come l’hai saputo? — protestò Enoch. — Come fai a saperlo?

— Non io, ma i vegani. Loro lo sanno.

— Ma se sono lontani anni-luce…

Improvvisamente non ne fu tanto sicuro. La notte in cui aveva avvertito la Centrale Galattica che il vecchio filosofo era morto, gli avevano detto che i vegani erano già informati e che non serviva il certificato, perché sapevano di cosa fosse morto.

La cosa sembrava impossibile, ma nella galassia c’erano tante cose impossibili che un uomo non poteva mai sapere quanto fidarsi del buonsenso.

Probabilmente ogni vegano era in contatto mentale con i suoi simili, oppure esisteva una specie di ufficio anagrafico (per dare un nome umano a qualcosa che restava incomprensibile) in comunicazione diretta con ogni individuo e al corrente di tutto quello che gli capitava.

Sì, pensò Enoch, doveva trattarsi di qualcosa del genere; non andava al di là delle stupefacenti possibilità in cui ci si imbatteva continuamente nella galassia. Ma mantenere il contatto anche coi morti, era un altro paio di maniche.

— Il corpo è scomparso — ripeté Ulisse. — Posso assicurarti che è la verità. E tu sei ritenuto responsabile.

— Dai vegani?

— Dai vegani, sì. E dalla galassia.

— Ho fatto del mio meglio — disse Enoch accalorandosi, — Ho fatto quello che mi è stato chiesto. Ho eseguito alla lettera i dettami della legge vegana, ho tributato al morto le onoranze in uso presso la mia gente. Non è giusto che la mia responsabilità si estenda indefinitamente. E comunque, non riesco a credere che il corpo sia scomparso. Nessuno può averlo preso, nessuno ne sapeva niente.

— Secondo la logica umana hai ragione tu — ribatté Ulisse. — Ma non secondo la logica vegana. E in questo caso, la Centrale Galattica è dalla loro parte.

— I vegani sono amici miei — disse Enoch, testardo. — Non ne ho mai conosciuto uno che non mi piacesse o con cui non potessi andare d’accordo. Vedrai che riuscirò a intendermi con loro.

— Se si trattasse solo dei vegani sono certo che ci riusciresti e non mi preoccuperei — continuò Ulisse. — Ma la situazione è più complessa di quanto credi. Vista da fuori sembra una questione da nulla, invece sono in gioco altri fattori. I vegani sapevano già da tempo che il cadavere era scomparso e, inutile dirlo, ne erano turbati. Ma erano disposti a mantenere il silenzio per i loro buoni motivi.

— Hanno fatto male. Dovevano venire da me. Non so che cosa sia successo…

— Non lo hanno fatto per riguardo a te, ma per altre ragioni — interruppe Ulisse. Finì il suo caffè e se ne versò una seconda tazza. Riempì anche quella di Enoch e allontanò il bricco.

Enoch aspettava.

— Forse non lo sapevi, ma quando fu installata la stazione terrestre parecchie razze della galassia si opposero — ricominciò Ulisse. — Le ragioni erano molte, come capita sempre in casi del genere, ma il motivo fondamentale era l’eterna competizione per la supremazia locale o razziale. Una situazione simile, io credo, a quella della Terra, dove vari gruppi e nazioni sono in lotta fra loro più o meno apertamente, per ottenere la supremazia economica. Nella galassia, naturalmente, le questioni economiche provocano tensioni solo di rado, ma esistono altre cause di attrito.

Enoch annuì. — Ne avevo avuto sentore, anche se non ultimamente. Non mi ero eccessivamente preoccupato.

— È innanzitutto una questione di direzioni — spiegò Ulisse. Quando la Centrale Galattica ha cominciato a espandersi in questa parte della spirale, ha voluto dire implicitamente che non valeva la pena sprecare tempo e sforzi in altre direzioni. Ma vi è un grosso gruppo di razze che da secoli sogna di potersi espandere negli ammassi globulari vicini. Sono ambizioni che hanno qualche fondamento, perché grazie alla nostra tecnologia il grande salto verso gli ammassi più prossimi è senz’altro possibile. C’è un’altra cosa: a quanto sembra gli ammassi sono liberi da polveri e da gas, per cui una volta raggiunti consentirebbero un’espansione più rapida che in tante zone della nostra galassia. Ma nella migliore delle ipotesi si tratta di supposizioni, perché in realtà non sappiamo che cosa troveremmo. Forse dopo tanti sforzi e un’enormità di tempo ci accorgeremmo che ci sono soltanto un po’ di appezzamenti da lottizzare, come i tanti che abbiamo già nella galassia. Ma per razze di una certa mentalità, gli ammassi globulari hanno un fascino tutto particolare.

Enoch assentì. — Capisco. Sarebbe la prima spedizione extra-galattica, il primo passo verso altre galassie.

Ulisse lo scrutò. — Anche tu — disse. — Avrei dovuto saperlo.

Enoch ribatté, convinto: — Condivido quel tipo di mentalità.

— Be’, comunque. Quando abbiamo cominciato a espanderci in questa direzione, il partito pro-ammassi globulari (voi lo chiamereste così) si è opposto in ogni modo possibile. Come certo avrai capito, l’esplorazione in questa zona dello spazio è appena all’inizio: abbiamo installato solo una decina di stazioni e ne occorrono un centinaio. Passeranno secoli prima che la rete sia completa.

— Ma gli oppositori non hanno rinunciato alla lotta — disse Enoch. — Sono ancora in tempo per fermare l’espansione in questo braccio della spirale.