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Enoch si voltò per accertarsi che Lucy lo seguisse. Lei sorrise, facendo un gesto come per assicurargli che tutto andava bene.

Lui fece segno che dovevano piegare a destra, ma subito dopo pensò che era inutile avvertirla perché Lucy conosceva la collina altrettanto bene, se non meglio.

Enoch svoltò e seguì il bordo del costone roccioso, arrivò all’interruzione e cominciò a scendere verso il pendio sottostante. Da sinistra arrivava il rapido mormorio del ruscello che dalla sorgente sotto il campo precipitava nel dirupo roccioso.

Il pendio era più ripido, adesso, ed Enoch fece strada in diagonale.

Strano che anche al buio riconoscesse alcuni punti caratteristici del paesaggio: la vecchia quercia bianca e contorta che si affacciava dal fianco della collina a un’angolazione pazzesca; il boschetto di robuste querce rosse che cresceva su una gobba di massi precipitati, in una posizione che nessun boscaiolo aveva mai osato sfidare; il piccolo stagno pieno di canne piumose, annidato su una terrazza ricavata nel fianco del colle.

Lontano si scorgeva una finestra illuminata ed Enoch piegò da quella parte. Tornò a voltarsi e vide che Lucy lo seguiva sempre a pochi passi.

Quando ebbero raggiunto la rozza staccionata, s’infilarono fra un paletto e l’altro e proseguirono sul terreno ormai piano.

Un cane cominciò ad abbaiare nel buio e altri gli fecero eco, risalendo il pendio in gruppo per avvicinarsi ai nuovi venuti. Arrivarono di corsa, passarono intorno a Enoch con la lanterna e si lanciarono su Lucy, cambiando immediatamente atteggiamento. La vista della ragazza li trasformò da una muta di guardiani in un comitato d’accoglienza. Si alzarono sulle zampe posteriori, una massa indistinta di cani. La ragazza li accarezzò sulla testa e gli animali cominciarono a girarle intorno con passo festoso.

Poco oltre la staccionata c’era un orto attraversato da un sentiero attraverso il quale Enoch fece strada con cautela. Da qui sbucarono nell’aia e si trovarono di fronte alla casa. Era malandata e sbilenca, con i contorni indistinti nel buio, ma la luce che usciva dalla finestra di cucina era calda e morbida. Enoch attraversò l’aia e bussò alla porta della cucina. Venne ad aprire Ma’ Fisher, una donna alta e ossuta, avviluppata in qualcosa che sembrava un sacco più che un vestito.

Fissò Enoch con uno sguardo tra spaventato e bellicoso, poi scorse la figlia alle sue spalle.

— Lucy! — gridò.

La ragazza si fece avanti di corsa e la madre la strinse fra le braccia.

Enoch posò la lanterna a terra, mise il fucile sottobraccio ed entrò in casa.

La famiglia sedeva a cena intorno a un gran tavolo, in un angolo della cucina. In mezzo al tavolo era posata una lampada a petrolio decorata. Hank balzò in piedi, ma i tre figli e lo sconosciuto che mangiava con loro rimasero seduti.

— Così l’hai riportata — disse Hank.

— L’ho trovata — rispose Enoch.

— L’abbiamo cercata fino a poco fa — disse Hank. — Dovevamo ricominciare dopo cena.

— Ricordi quello che mi hai detto oggi? — domandò Enoch.

— Ti ho detto un mucchio di cose.

— Fra l’altro, che ho il diavolo in corpo. Be’, provati ad alzare le mani su quella ragazza ancora una volta e ti farò vedere che razza di diavolo ho dentro.

— Con me non attacca — ribatté Hank in tono di sfida.

Invece, era spaventato. Si capiva dal corpo teso e la faccia cascante.

— Parlo sul serio — rincarò Enoch. — Provaci e vedrai.

I due uomini rimasero uno di fronte all’altro un momento, fissandosi negli occhi, poi Hank tornò a sedere.

— Vuoi mangiare un boccone con noi? — disse.

Enoch fece segno di no e poi, rivolgendosi allo sconosciuto: — Lei è l’uomo del ginseng?

L’altro annuì. — Così mi chiamano.

— Voglio parlarle. Fuori.

Claude Lewis si alzò.

— Non deve andarci mica — intervenne Hank. — Quello non può costringerla. Che parli qui!

— Non importa — rispose Lewis. — Anch’io volevo parlargli. Lei è Enoch Wallace, vero?

— Già, eccolo là — si intromise Hank. — Dovrebbe essere crepato di vecchiaia da cinquant’anni, invece guardalo. Ha il diavolo in corpo… Lo dico io, quello e il diavolo hanno fatto un patto.

— Hank — disse Lewis — stia un po’ zitto.

Poi girò intorno al tavolo e si avviò alla porta.

— Buona notte — disse Enoch agli altri.

— Signor Wallace — disse Ma’ Fisher — grazie per aver riportato la ragazza. Hank non la picchierà più, prometto. Ci baderò io.

Enoch uscì, chiuse la porta e prese la lanterna. Lewis lo aspettava nell’aia.

— Allontaniamoci un poco — disse Enoch.

Arrivarono fino in fondo all’orto, poi si fermarono.

— Lei mi sorveglia — ricominciò Enoch.

Lewis annuì.

— Per incarico ufficiale o solo per il gusto di spiarmi?

— Temo si tratti di una cosa ufficiale. Mi chiamo Claude Lewis e, non c’è motivo che glielo nasconda, appartengo alla CIA.

— Io non sono un traditore né una spia — protestò Enoch.

— Nessuno lo pensa. La teniamo d’occhio, tutto qui.

— Sa del cimitero?

Lewis annuì.

— Ha tolto qualcosa da una tomba.

— Sì — confermò Lewis. — Quella con la lapide strana.

— Dov’è?

— Il cadavere? A Washington.

— Non avreste dovuto portarlo via — disse Enoch, accigliato. — Questo provocherà un mucchio di guai. Deve riportarlo al più presto.

— Ci vorrà un po’ di tempo — rispose Lewis. — Devono trasportarlo in aereo. Ci vorranno più o meno ventiquattro ore.

— Non si può fare prima?

— Cercheremo.

— Faccia più presto che può. È molto importante che il cadavere torni nella sua tomba.

— Tenterò, Wallace, ma non so.

— E… Lewis.

— Sì.

— Non cerchi di fare scherzi. Si limiti a fare quello che le ho detto. Mi mostro ragionevole perché non posso fare diversamente, ma provi a tentare qualche mossa…

Afferrò Lewis per il petto della camicia, strizzando il tessuto.

— Ha capito, Lewis?

L’altro non si mosse, non cercò di liberarsi dalla stretta.

— Sì, ho capito — si limitò a dire.

— Cosa diavolo l’ha spinta a fare quello che ha fatto?

— Mi hanno dato un incarico.

— Un incarico, già! Quello di spiarmi, non di violare le tombe.

Lasciò andare la camicia.

— Mi dica cos’era quello che abbiamo trovato — riprese Lewis.

— Non è affar suo, maledizione! — esclamò Enoch, furibondo. — Pensi piuttosto a restituire il cadavere. È sicuro di poterlo fare? Non c’è niente che lo impedisca?

Lewis fece segno di no. — Niente. Chiamerò appena troverò un telefono e li avvertirò che è della massima importanza.

— È la verità sacrosanta — disse Enoch. — Restituire quel morto sarà la cosa più importante che abbia mai fatto. E non dimentichi nemmeno per un momento che non siamo in gioco noi due soli, ma tutta la Terra. L’umanità intera. Se mancherà di parola, dovrà fare i conti con me.

— Con quel fucile?

— Forse — rispose Enoch. — Non si faccia illusioni, non creda che stia scherzando. In una situazione simile sarei disposto a uccidere chiunque.

— Wallace, c’è qualcosa che può dirmi?

— No. Niente.

Enoch prese la lanterna.

— Va a casa?

L’altro annuì.

— Non mi pare che la nostra sorveglianza la preoccupi.

— Infatti — ammise Enoch. — Quello che mi secca è la sua interferenza. Riporti il corpo e continui a tenermi d’occhio quanto vuole. Ma non metta alla prova la mia pazienza, non faccia mosse sbagliate, tenga le mani a posto e non tocchi niente.