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— Dimentica che ci ho messo due anni. Ho fatto un lavoro capillare. Comprata una macchina di seconda mano, ho girato per Milville dicendo che ero un cercatore di ginseng.

— Che cosa?

— Un cercatore di ginseng. È una pianta.

— Lo so, ma ormai non ha più mercato.

— Qualcuno che l’adopera c’è ancora. Inoltre fingevo di cercare altre piante medicinali, facendomi passare per un intenditore. "Facendomi passare" non è l’espressione adatta, sono riuscito a trovarne parecchie e nessuno ha fiutato il trucco.

— Ha finto di essere un tipo semplice, proprio quel che ci voleva per quella gente — disse Hardwicke. — Un tipo curioso ma inoffensivo.

Lewis annuì. — E ha funzionato anche meglio di quel che pensassi. Io mi limitavo ad andare in giro e la gente parlava con me. Ho perfino trovato del ginseng! C’è una famiglia in particolare, quella dei Fisher: abitano più a valle rispetto al fiume, sotto la fattoria dei Wallace che sorge su un costone da cui si domina la riva. Vivono lì pressappoco da quando vi si sono stabiliti i Wallace, ma hanno un sistema di vita completamente diverso. Sono cacciatori e pescatori, distillano alcol di contrabbando e in me hanno trovato uno spirito affine. Ero un irregolare, un uomo libero come loro e io li ho aiutati con l’alcol, sia a produrlo che a consumarlo. Qualche volta persino a venderlo. Sono andato a pesca e a caccia con loro, sicché parlavano liberamente e hanno cominciato a indicarmi i posti in cui avrei potuto trovare il ginseng, quello che loro chiamano "ginsang". Credo che uno studioso di scienze sociali troverebbe i Fisher interessantissimi. C’è per esempio una ragazza, una sordomuta molto carina, che fa scomparire le verruche con gli incantesimi…

— Conosco questi tipi caratteristici — l’interruppe Hardwicke, — Sono nato e cresciuto nelle montagne del sud.

— Sono stati i Fisher a raccontarmi della falciatrice e del resto. Così un giorno sono andato in fondo al pascolo dei Wallace e, dopo aver scavato un po’, ho trovato un cranio e alcune ossa di cavallo.

— Ma non può esser sicuro che si trattasse di uno dei cavalli di Wallace.

— Forse no — ammise Lewis. — Però ho trovato anche dei rottami di metallo: non molti, ma abbastanza per capire che si trattava di una falciatrice.

— Torniamo alla storia — l’incitò Hardwicke. — Dunque, mi ha detto che dopo la morte di suo padre Enoch Wallace ha continuato a vivere nella fattoria, senza mai allontanarsene. È così?

— Sì. È sempre rimasto nella sua casa, senza mai far cambiamenti. E l’edificio, come il suo proprietario, non è affatto invecchiato.

— Ci è andato?

— Dentro, no. Ma l’ho visto e posso descriverlo.

3

Aveva un’ora di tempo. Ne era certo, perché, da dieci giorni, teneva d’occhio Enoch Wallace e sapeva che, da quando usciva di casa fino a quando tornava con la posta, non passava mai meno di un’ora. Talvolta, quando il postino tardava o i due si fermavano a chiacchierare, l’intervallo si protraeva, ma Lewis si disse che non sarebbe stato prudente fare affidamento su di un’assenza più lunga.

Come al solito Wallace era scomparso giù per il pendio, diretto verso l’ammasso roccioso che torreggiava sulla scarpata digradante verso il fiume Wisconsin. Come sempre si sarebbe arrampicato su di un masso e, col fucile infilato sotto il braccio, sarebbe rimasto a guardare la natura selvaggia della valle in cui scorreva il fiume. Poi, sceso dal masso, avrebbe preso a passo lento il sentiero del bosco in cui a primavera fiorivano le violaciocche rosate, e da lì si sarebbe arrampicato di nuovo sulla collina, fino a raggiungere il punto in cui scaturiva la sorgente, sotto il campo incolto da più di un secolo. Quindi avrebbe proseguito lungo il pendio, dove il sentiero sfociava nella strada ormai quasi cancellata dalle erbacce, per fermarsi definitivamente davanti alla cassetta delle lettere.

Durante i dieci giorni in cui Lewis l’aveva tenuto d’occhio, non aveva mai cambiato itinerario, ed era probabile che lo seguisse da moltissimi anni. Wallace non aveva fretta. Camminava come chi può disporre di tutto il tempo al mondo, fermandosi di tanto in tanto per rinnovare la conoscenza con qualche vecchio amico: un albero, uno scoiattolo, un fiore. Era un uomo rude, dal piglio ancora soldatesco: vecchi trucchi e abitudini lasciatigli da anni amari di combattimenti sotto i più diversi capi. Camminava con la testa alta, le spalle erette e l’andatura sicura di chi ha conosciuto molte marce faticose.

Lewis uscì dal groviglio di tronchi: dove prima era stato un orto rigoglioso ora solo pochi alberi contorti e nodosi, resi grigi dagli anni, offrivano ancora una povera e meschina messe di mele.

Ai margini del boschetto si fermò per guardare la casa sul crinale soprastante, e per un brevissimo istante gli sembrò che fosse avvolta in una luce speciale. Era come se una preziosa essenza di sole avesse attraversato l’immensità dello spazio per riversarsi sulla casa e illuminarla, in modo da distinguerla da tutte le altre. Così, immersa nello splendore, sembrava una dimora ultraterrena, segnata in modo speciale. Ma subito la luce scomparve, ammesso che ci fosse stata davvero, e sulla casa tornò a brillare lo stesso sole che illuminava i boschi e i campi.

Lewis scosse la testa dicendosi che certo era stata un’allucinazione, un’illusione ottica. Non esiste una luce "speciale" e la casa era una costruzione del tutto normale, anche se straordinariamente ben conservata.

Non se ne vedevano più molte, ormai. Era un edificio rettangolare, lungo, stretto e alto, con decorazioni antiquate sul frontone e lungo le gronde. Aveva un aspetto spartano che non dipendeva dal tempo. Senz’altro era sempre stato così fin dal giorno in cui l’avevano costruito: semplice e severo, solido e robusto come la gente che ci aveva vissuto. Ciò nonostante era intatto, senza un segno di scrostatura nell’intonaco né un accenno di decadimento.

A una delle estremità c’era una specie di capanno che pareva fosse stato trasportato lì da qualche altro posto e appoggiato contro la casa per coprirne la porta laterale. Forse, pensò Lewis, quella che portava alla cucina. Il capanno era stato usato per stendere la biancheria, depositare stivali e soprascarpe e sistemare una panca per i secchi e bidoni del latte, o magari un canestro per le uova. Dal tettuccio usciva un tubo da stufa lungo circa un metro.

Lewis scese fino alla casa, si diresse verso il capanno e vide che la porta era socchiusa. Salì il gradino, spalancò il battente e rimase immobile per lo stupore. Non era un ripostiglio, come aveva pensato, ma il locale in cui Wallace viveva. La stufa da cui partiva il tubo ricurvo era una vecchia cucina economica, più piccola delle antiquate cucine di campagna. Sui fornelli stavano una caffettiera, una pentola e una teglia. Attaccati a opportuni ganci pendevano altri utensili da cucina e di fronte, in un angolo, c’era un letto di una piazza e mezza, con un pesante trapunta a quadratini di stoffa multicolore, di quelle che formavano la delizia delle signore di un secolo fa. In un altro angolo c’erano un tavolo e una sedia; appesa alla parete, una piccola credenza aperta che conteneva alcuni piatti. Sul tavolo era posata una lampada a cherosene che mostrava i segni di un lungo uso, ma pulitissima, come se fosse stata lavata e lucidata quel giorno stesso.

Non c’erano porte comunicanti con la casa, nemmeno il segno di un’antica apertura. L’assito che si appoggiava al muro era intatto, senza il minimo segno di interruzione.

A Lewis parve incredibile che non ci fosse una porta e Wallace vivesse in un ripostiglio, mentre avrebbe potuto disporre di tutta la casa. Come se ci fosse un buon motivo per non abitare in casa, ma bisognasse restarvi vicino. A meno che non lo facesse per penitenza, come gli eremiti medioevali che vivevano nelle grotte o nei capanni in mezzo al bosco.

Lewis si fermò al centro del tugurio e si guardò intorno, nella speranza di trovare un indizio per chiarire le insolite circostanze. Ma non c’era nulla, eccetto le semplici e nude necessità di un’esistenza spartana: la stufa per cuocere i cibi e scaldare l’ambiente, il letto per dormire, il tavolo su cui mangiare, la lampada per aver luce. Nemmeno un abito o un cappello di ricambio (anche se Wallace, a pensarci bene, cappello non ne portava).