— Ma se è stato perduto — obiettò Enoch — deve pur trovarsi da qualche parte, e continuare a esercitare la sua influenza. Non può esser andato distrutto.
— Dimentichi — gli ricordò Ulisse — che non funziona senza un custode adatto, un sensitivo di tipo speciale. In effetti il Talismano non è che l’intermediario tra il sensitivo e la forza spirituale. È un’estensione, un’appendice del sensitivo del quale acuisce le facoltà, dandogli la possibilità di esercitare la sua funzione.
— A sentirti, si direbbe che la perdita del Talismano sia collegata alla situazione che abbiamo qui.
— Alla stazione terrestre? Non direttamente, ma un legame c’è. Quello che succede sulla Terra è un fatto sintomatico, una conseguenza dei litigi meschini e degli spietati battibecchi che si manifestano in tante zone della galassia. Una volta il problema sarebbe stato affrontato, come hai detto tu, in modo educato e in nome dei princìpi, dell’etica.
Rimasero per qualche minuto in silenzio, ascoltando il sibilo del vento che faceva vibrare gli ornamenti esterni della mansarda.
— Ma non preoccuparti anche di questo — riprese Ulisse. — Tu non c’entri. Ho fatto male a parlartene e sono stato indiscreto.
— Vuoi dire che a mia volta potrei andare a raccontarlo. Non lo farò, stai tranquillo.
— So che non lo farai — disse l’altro. — Non ci pensavo nemmeno.
— Credi davvero che i rapporti nella galassia vadano peggiorando?
— Una volta — raccontò Ulisse — le razze erano tutte unite. C’erano delle divergenze, naturalmente, ma venivano superate, qualche volta in modo artificiale e poco soddisfacente. Eppure le parti in causa facevano del loro meglio per mantenere l’accordo, per quanto artificioso; di solito ci riuscivano perché lo volevano, questo è il punto. Esisteva un progetto, la formazione di una grande confraternita degli esseri pensanti. Ci rendevamo conto di possedere un fondo comune di cognizioni e di tecnologie che messe insieme, e riunendo le capacità di tutte le razze, ci avrebbero permesso di arrivare molto più lontano di qualsiasi civiltà che lavorasse da sola. Avevamo le nostre difficoltà, certo, e come ho detto le nostre divergenze, ma il progresso era continuo. Le piccole animosità e gelosie di poco conto venivano ignorate; ci occupavamo solo delle divergenze maggiori. Una volta sistemate quelle, le altre sarebbero parse così insignificanti da scomparire. Adesso tutto sta cambiando: le questioni insignificanti vengono ingrandite esageratamente e si tralasciano quelle capitali.
— Proprio come sulla Terra — osservò Enoch.
— Sì, sotto certi aspetti — convenne Ulisse. — Ma le circostanze sono molto diverse.
— Hai letto i giornali che ti ho conservato?
Ulisse annuì. — Non mi pare che le notizie siano molto belle.
— È la guerra, praticamente — disse Enoch senza mezzi termini.
Ulisse si mosse a disagio.
— Voi non fate mai la guerra?
— La galassia, vuoi dire. No, da quando esiste l’ordinamento attuale non la facciamo più.
— Troppo civili per combattere?
— Smettila di fare il caustico — lo rimbeccò Ulisse. — Una volta o due ci siamo andati vicino, ma non di recente. Molte razze della fratellanza hanno alle spalle una storia bellicosa, negli anni formativi.
— Quindi c’è ancora speranza, per noi. È un problema che si supera.
— Forse, col tempo.
— Ma non con certezza.
— Direi di no.
— Sto lavorando su un diagramma — disse Enoch. — È basato sul sistema statistico di Mizar. A quanto pare ci sarà proprio una guerra.
— Non ci voleva un diagramma per capirlo — commentò Ulisse.
— L’ho fatto anche per altri motivi; speravo che mi rivelasse il modo di mantenere la pace. Dev’esserci un sistema, una formula magari. Se riuscissimo a trovarla, o se sapessimo dove cercarla, a chi chiederla…
— Il sistema per evitare la guerra esiste — lo interruppe Ulisse.
— Vuoi dire che tu lo conosci?
— È una misura drastica. Può essere usata solo come ultima risorsa.
— E noi non siamo ancora a quel punto?
— Probabilmente sì. La guerra che incombe è del tipo che potrebbe distruggere migliaia d’anni di progresso, di cultura e civiltà. Resterebbero soltanto i brandelli. È possibile che scompaia quasi ogni forma di vita esistente sul pianeta.
— Il metodo di cui parli è già stato usato?
— Qualche volta.
— E ha funzionato?
— Immancabilmente. Non può non funzionare, o non l’avremmo preso in considerazione.
— E si potrebbe usare sulla Terra?
— Potresti farne richiesta.
— Io?
— Sì. Come rappresentante della Terra potresti comparire davanti alla Centrale e appellarti perché ti venga concesso di servirtene. Sei un membro della tua specie, avresti diritto a un’udienza e a testimoniare il caso. Se la Centrale ritenesse che nella richiesta ci sono fondati motivi, invierebbe una commissione di indagine a stendere il rapporto. Sulle basi del quale verrebbe presa una decisione.
— Hai detto io. In pratica potrebbe farlo chiunque.
— Chiunque riesca a ottenere udienza, sì. Per ottenere udienza devi sapere che esiste una Centrale Galattica, e tu sei l’unico su tutto il pianeta. Inoltre fai parte del personale galattico, svolgi le mansioni di guardiano da molto tempo e hai un ottimo profilo. Sono certo che ti ascolterebbero.
— Ma un uomo solo non può parlare a nome di tutta l’umanità.
— Sei l’unico della tua specie a possedere le qualifiche necessarie.
— Se potessi, mi consiglierei con qualcun altro.
— Ma non puoi. E anche potendo, chi ti crederebbe?
— Hai ragione — convenne Enoch.
Era proprio così. Dopo tanti anni di dimestichezza con i viaggiatori interstellari l’idea di una confraternita galattica non gli sembrava più assurda, ma se avesse parlato di queste cose ad altri lo avrebbero creduto pazzo.
— Di che metodo si tratta? — domandò, un po’ spaventato e pronto a incassare lo shock della rivelazione.
— Dell’idiozia — rispose Ulisse.
— Idiozia? — ripeté Enoch, sbalordito. — Non capisco. Siamo già abbastanza idioti anche adesso, sotto molti aspetti.
— Se pensi all’idiozia intellettuale devo ammettere che ne esiste anche troppa, e non solo sulla Terra. Quella di cui parlo è l’incapacità mentale. Incapacità di capire la scienza e le tecnologie che rendono possibile il tipo di guerra che sta per sconvolgere questo pianeta; incapacità di adoperare le macchine necessarie a combattere. Gli uomini non sarebbero più in grado di comprendere le conquiste scientifiche e meccaniche fatte da loro stessi. Quelli che sanno dimenticherebbero tutto, quelli che non sanno non riuscirebbero più a imparare. Tornerebbero i tempi della ruota e della leva. La guerra totale sarebbe impossibile.
Enoch sedeva rigido e immobile, incapace di parlare, paralizzato dal terrore; mille pensieri disordinati turbinavano nella sua mente.
— Ti avevo detto che è un sistema drastico — proseguì Ulisse. — Deve esserlo. Fermare la guerra costa molto. Il prezzo è alto.
— Non potrei mai — esclamò Enoch. — Nessuno potrebbe farlo.
— Forse tu no. Ma pensaci bene. Se ci fosse una guerra…
— Lo so. Se ci fosse una guerra sarebbe peggio. Ma il vostro sistema non mette fine a tutte le guerre, non è la cosa a cui pensavo. Potremmo sempre combatterci con altri mezzi, ucciderci.
— Con le mazze — disse Ulisse. — Forse con gli archi e le frecce, magari anche coi fucili, finché ne avrete e finché ci saranno munizioni. Poi, non sapreste più come fabbricare la polvere da sparo o procurarvi il metallo con cui costruire i proiettili. Combattereste, è vero, ma non ci sarebbe distruzione totale. Le città non sarebbero spazzate via dalle armi nucleari, perché nessuno sarebbe in grado di lanciare un missile o una bomba. Anche i mezzi di comunicazione e di trasporto attuali scomparirebbero, tranne i più semplici. La guerra sarebbe impossibile, meno che su scala locale.