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Si voltò per posare Cucciolo sul tavolo, quando all’improvviso un piccolo rumore lo paralizzò.

Era il lieve ticchettio del materializzatore. Non poteva sbagliarsi, l’aveva sentito troppe volte. Inoltre, doveva trattarsi del materializzatore ufficiale, perché i viaggiatori normali venivano sempre annunciati da un messaggio della Centrale.

Si disse che doveva essere Ulisse o un altro rappresentante della Centrale.

Si avvicinò per vedere meglio, mentre già dal materializzatore usciva una figura alta e sottile.

— Ulisse! — esclamò Enoch. Ma si accorse di avere sbagliato. Il viaggiatore non era il suo amico.

Per un attimo gli sembrò di scorgere un cappello a cilindro, una cravatta bianca e un abito a code… Poi vide che l’essere era una via di mezzo tra un uomo e un topo: camminava eretto sulle zampe posteriori ma era coperto di pelo scuro e aveva il muso aguzzo proprio dei roditori.

Gli occhi, piccoli e rossi, scintillavano. Solo in un secondo tempo Enoch si accorse che portava un’arma a bandoliera, e che il metallo mandava bagliori nell’ombra.

C’era qualcosa di strano. Di solito, appena arrivati, i viaggiatori lo salutavano: quello, invece, si era limitato a lanciargli un’occhiata furtiva e si era rintanato nell’angolo.

Poi lo strano essere estrasse l’arma. Somigliava proprio a un fucile. "È questo il modo in cui vogliono chiudere la stazione" pensò Enoch. Uno sparo, il guardiano ucciso, l’impianto inutilizzabile… Ecco perché non avevano mandato Ulisse, che era suo vecchio amico.

Ma l’alieno non si mosse: sempre fermo nell’angolo, sollevò lentamente l’arma.

Enoch mandò un grido e, alzato il braccio, gli scagliò addosso Cucciolo. Dopo un attimo d’incertezza aveva capito quale fosse l’intento del visitatore: non uccidere lui, ma distruggere gli impianti della stazione. Infatti nell’angolo in cui si era rifugiato, e dal quale non si scostava, c’era il complesso dei comandi.

Se fosse riuscito a devastarlo, la Centrale avrebbe dovuto mandare una squadra di tecnici specializzati con un’astronave e sarebbero passati lunghi anni prima che la stazione potesse ricominciare a funzionare.

Al grido di Enoch la strana creatura si voltò e Cucciolo la colpì in pieno stomaco, facendola stramazzare a terra.

Enoch partì alla carica, e con un colpo ben assestato fece cadere l’arma che l’uomo-topo continuava a impugnare. Poi gli fu, sopra e, mentre cercava d’immobilizzarlo, sentì un odore disgustoso.

Circondò con le braccia il corpo dell’avversario, sollevandolo, e si stupì nel sentirlo tanto leggero. Allora lo alzò, e lo scaraventò nell’angolo opposto del locale. L’uomo-topo andò a sbattere contro una sedia, ma si rialzò con lo scatto di una molla, e si precipitò per riprendere la sua arma. Ma Enoch lo prevenne. Con un balzo lo raggiunse e lo afferrò per il collo, scuotendolo con furia selvaggia, tanto che la valigetta, che l’altro stringeva in pugno, gli sbatté più volte contro le costole.

Il fetore diventava insopportabile: Enoch aveva l’impressione che un martello gli picchiasse sulle tempie e una fiamma gli bruciasse la gola. La puzza che proveniva dal corpo dello sconosciuto era come un fiotto di gas venefico e toglieva il respiro. Enoch barcollò, sentendosi venir meno, con la nausea che gli torceva lo stomaco. D’istinto, lasciò la presa e si portò le mani al viso… Vide confusamente l’uomo-topo afferrare con un balzo l’arma, e precipitarsi verso la porta. Non lo sentì pronunciare la parola d’ordine, ma vide la porta aprirsi.

Un attimo dopo, lo sconosciuto era scomparso.

32

Enoch attraversò barcollante la stanza, e si appoggiò alla scrivania perché le gambe non lo reggevano. Il fetore diminuiva, e la sua mente cominciava a schiarirsi. Gli sembrava di aver fatto un brutto sogno: quanto era successo aveva dell’incredibile. L’essere immondo era giunto attraverso il materializzatore ufficiale, di cui si servivano solo i membri della Centrale Galattica: e nessun membro della Centrale si sarebbe mai comportato in quel modo. Inoltre, l’uomo-topo conosceva la parola d’ordine che serviva a far aprire la porta e, seconda coincidenza strana, oltre a lui, Enoch, solo i membri della Centrale conoscevano quella parola.

Enoch si era ripreso abbastanza da poter ragionare normalmente. Prese il fucile, lieto di constatare che la stazione non aveva subito danni, ma preoccupato al pensiero che l’uomo-topo fosse fuggito, e ora vagasse libero sulla Terra, cosa questa inammissibile e contraria alle disposizioni della Centrale. Gli abitanti dei pianeti appartenenti alla confraternita galattica non potevano per alcun motivo uscire dalle stazioni, nei pianeti non ancora affiliati.

Col fucile stretto in pugno, Enoch studiava il sistema di attirare l’uomo-topo nella stazione.

Pronunciò la parola d’ordine, entrò nel ripostiglio, e di lì uscì sull’aia.

Lo sconosciuto correva attraverso il campo, e aveva già quasi raggiunto il limitare del bosco.

Enoch lo inseguì quanto più velocemente poteva, ma non era ancora arrivato a metà del campo, che lo sconosciuto scomparve, con un balzo, nel fitto degli alberi.

Cominciava a farsi buio; sebbene il sole illuminasse ancora la sommità delle piante, il sottobosco era già in ombra. Mentre correva, Enoch scorse l’uomo-topo che, con la sua andatura a balzi, risaliva il versante di un piccolo burrone. Se fosse proseguito in quella direzione, la caccia sarebbe certamente durata tutta la notte: oltre il burrone c’era una specie di piattaforma rocciosa, che si protendeva nel vuoto, sulla quale lo sconosciuto sarebbe rimasto, è vero, in trappola, ma in posizione di vantaggio, pericolosa per chi cercasse di avvicinarsi. E non c’era tempo da perdere, perché il sole stava già tramontando e presto sarebbe scesa l’oscurità.

Enoch piegò verso ovest, per girare attorno alla piattaforma, sempre tenendo d’occhio l’uomo-topo che continuava ad arrampicarsi. Stava cacciandosi in trappola, come lui aveva previsto. Non poteva tornare indietro, e non aveva la possibilità di andare oltre. Una volta raggiunta la piattaforma, non gli restava che cercare di nascondersi fra le rocce.

Sempre di corsa, Enoch attraversò uno spiazzo coperto di felci e raggiunse un punto che si trovava circa cento metri sotto la piattaforma, dove fitti cespugli e qualche alberello gli avrebbero offerto un provvisorio riparo. Il terreno era cosparso di massi più o meno grossi, staccatisi dal pendio della collina durante inverni particolarmente rigidi: coperti com’erano di fitto muschio, rendevano pericoloso il cammino.

Senza fermarsi, Enoch scorse un’ombra sulla piattaforma. Si acquattò prontamente dietro un nocciolo e, tra l’intricato fogliame, vide la sagoma dell’uomo-topo stagliarsi netta contro il cielo, con l’arma in pugno. La testa si volgeva ora da una parte, ora dall’altra, come se lo sconosciuto stesse attentamente esaminando i dintorni.

Enoch rimase immobile, col fucile stretto in pugno, mentre le nocche delle dita, che s’era sbucciate contro un sasso, gli bruciavano dolorosamente.

L’uomo-topo scomparve dietro un macigno, ed Enoch trasse piano a sé il fucile, per esser pronto ad usarlo. Ma avrebbe osato sparare? Avrebbe osato uccidere quella creatura di un altro mondo?

L’altro avrebbe potuto ucciderlo nella stazione, quando lui era venuto meno per il fetore. Ma, invece di approfittare della sua momentanea debolezza per assassinarlo, si era dato alla fuga. Forse la paura era stata più forte d’ogni altro impulso; ma poteva anche darsi che non si fosse sentito di uccidere.

Enoch scrutò attentamente le rocce della piattaforma, ma non vide più alcun segno di vita. Doveva arrampicarsi subito sul pendio che portava alla piattaforma. In meno di mezz’ora sarebbe stato buio, e la faccenda doveva essere sistemata prima. Se lo sconosciuto fosse riuscito a scappare col favore delle tenebre, avrebbe avuto ben poca speranza di acciuffarlo.