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Ma una voce, dentro di lui, gli sussurrava: "Perché te la prendi tanto per gli affari di quella gente? Perché non informi la Terra dell’esistenza di razze non-umane nella galassia? Forse perché non ne sei autorizzato? E perché hai impedito a quell’uomo-topo di sabotare gli impianti della stazione? Se l’avessi lasciato fare, tu ora saresti libero di agire, senza timore di interferenze. Se l’avessi lasciato fare, per te sarebbe stato assai meglio".

"Ma non potevo farlo!" gridò un’altra voce nel suo cuore "Assolutamente non potevo!"

Un fruscio in un cespuglio, alla sua sinistra, lo riportò alla realtà. Si volse di scatto, pronto a far fuoco, e vide Lucy Fisher a non più di venti metri di distanza.

— Vattene! — le gridò, dimenticando che non poteva sentirlo.

Ma sembrava che lei non lo avesse nemmeno visto. Con la mano sinistra alzata, gesticolava in direzione delle rocce sovrastanti.

"Vattene" ripeté fra sé Enoch. "Vattene di qui!"

Lei si volse, lo vide e, intuendo il suo desiderio, fece un cenno di diniego; poi prese a risalire rapidamente il pendio.

Enoch balzò in piedi, con l’intenzione di seguirla e, improvvisamente, sentì come uno sfrigolio e percepì un intenso odore di ozono.

Tornò a gettarsi a terra e vide che, a pochi passi innanzi a sé, un tratto di terreno ribolliva fumando, mentre intorno i sassi e i frammenti di roccia si fondevano per il calore.

Capì allora che lo sconosciuto era armato di una pistola a raggi, di terribile potenza.

Facendosi forza, si rialzò e riprese a salire, con maggior cautela questa volta, e cercando sempre di ripararsi dietro qualche cespuglio.

Un secondo sfrigolio, un forte odore di ozono… L’uomo-topo aveva sparato ancora, colpendo una zolla d’erba che si incendiò, fumando, mentre le cime di alcune betulle, troncate di netto dal raggio mortale, precipitavano al suolo in un turbinio di cenere e di scintille.

Lo sconosciuto faceva dunque sul serio, doveva aver capito di esser chiuso in trappola.

Enoch era molto preoccupato per Lucy. Quella sciocchina avrebbe dovuto ubbidirgli. Non era un luogo per lei. Faceva già male a girare per i boschi a quell’ora: certamente Hank l’avrebbe nuovamente accusato di averla rapita. Chissà perché era arrivata fin lì…

Il crepuscolo s’infittiva, e solo la sommità degli alberi più alti era ancora illuminata dai raggi dell’ultimo sole. L’aria andava gradatamente rinfrescandosi, e il terreno emanava odore d’umidità. Poco lontano, un uccello mandava il suo lamentoso richiamo.

Enoch continuò a inerpicarsi con cautela, finché arrivò sotto un grosso tronco abbattuto, che sembrava messo lì come una barricata. Si nascose dietro di esso e riprese fiato.

L’uomo-topo era scomparso e non sparava più.

Sempre al riparo del tronco, Enoch esaminò il terreno davanti a lui. Calcolò che avrebbe potuto raggiungere la piattaforma con due balzi, riparandosi dopo il primo dietro un mucchio di pietre, e fermandosi poi proprio sotto il macigno che lo delimitava da quella parte. Una volta lassù, avrebbe deciso il da farsi.

Era impossibile far progetti, prestabilire una tattica. Una volta sulla piattaforma, avrebbe agito secondo l’ispirazione del momento: sperava di riuscire a catturare vivo lo sconosciuto, pronto a portarlo di peso fino alla stazione. Lì all’aperto, il fetore sarebbe stato meno micidiale.

Esaminò ancora attentamente i massi che si ammucchiavano sulla piattaforma, ma non riuscì a scorger l’uomo-topo; finalmente decise di muoversi, strisciando con la massima cautela per non far rumore. D’un tratto, avvertì un fruscio leggero alle spalle, e subito si volse, impugnando il fucile. Ma non fece neppure in tempo a prendere la mira, che un’ombra gli fu sopra e una grossa mano gli tappò la bocca.

— Ulisse? — riuscì a mormorare, ma l’altro si limitò a fargli segno di tacere, prima di lasciarlo libero.

Poi Ulisse gli si sdraiò accanto e sussurrò nell’orecchio: — Il Talismano. Ha il Talismano.

— Il Talismano! — esclamò Enoch, dimenticando ogni prudenza.

Dalla piattaforma sovrastante, rotolò un masso che cadde sobbalzando lungo il pendio. Enoch si appiattì al riparo del tronco: — Giù — gridò all’amico. — Giù, è armato.

Ma Ulisse gli artigliò la spalla: — Guarda, Enoch, guarda!

Enoch sollevò la testa e vide, sul ciglio del pendio, stagliate contro il cielo già scuro, due figure avvinghiate.

— Lucy! — urlò.

In una di esse, aveva riconosciuto Lucy. Nell’altra, l’uomo-topo.

"È riuscita a strisciargli alle spalle, quella sciocca!" pensò. Mentre lo sconosciuto dedicava tutta la sua attenzione al pendio, lei lo aveva aggirato, e colto di sorpresa. Era armata di un bastone, probabilmente ricavato dal ramo d’un albero, e lo teneva levato in alto, pronta a colpire, ma l’altro la stringeva, impedendole di muoversi.

— Spara — gli ordinò Ulisse.

Enoch puntò il fucile, aguzzando gli occhi nell’oscurità ormai quasi completa. Erano così vicini, quei due… troppo vicini.

— Spara! — urlò Ulisse.

— Non posso. È troppo buio.

— Devi sparare — gl’intimò Ulisse con voce tesa e dura. — Devi approfittare dell’occasione.

Enoch tornò a prendere la mira. Nonostante il buio, l’aria era limpida e la visibilità buona; ma non era solo l’oscurità a trattenerlo. Ricordava il colpo mancato, laggiù durante l’ultima "caccia"; se aveva sbagliato allora, poteva sbagliare anche adesso.

— Spara — tuonò Ulisse per la terza volta.

Enoch premette il grilletto e il colpo partì. Sull’orlo della piattaforma, appena visibile nell’ultimo chiarore del crepuscolo, la creatura di un mondo sconosciuto si afflosciò, inerte, col capo orribilmente squarciato.

Enoch lasciò cadere il fucile e si gettò al suolo, conficcando le unghie nel muschio, sopraffatto dall’orrore di quello che sarebbe potuto accadere se avesse sbagliato la mira… Fortunatamente, le lunghe e frequenti esercitazioni non erano state inutili!

La pace di quella sera tranquilla calmò il suo turbamento. Gli pareva che il cielo, e le stelle, e tutto l’universo gli si fossero stretti attorno per sussurrargli che erano con lui; per un attimo gli parve di aver intravisto una grande verità, e provò una serenità sconosciuta.

— Enoch — mormorò Ulisse. — Enoch, fratello mio…

La voce di Ulisse aveva un timbro nuovo, quasi fosse rotta dai singhiozzi; per la prima volta chiamava "fratello" il terrestre.

Enoch si drizzò in ginocchio, e vide che sopra i massi della piattaforma si diffondeva una luce delicata, come se una gigantesca lucciola avesse acceso la sua lampada per rischiarare la scena.

La "lucciola" si avvicinava, muovendosi tra le rocce, e Lucy pure: era come se la fanciulla camminasse reggendo una lanterna.

Ulisse posò una mano sul braccio di Enoch.

— Vedi? -. domandò.

— Sì. Che cosa…

— È il Talismano! — esclamò estatico Ulisse, in un sussurro. — E Lucy ne è la nuova custode. Colei che abbiamo cercato inutilmente per tanti anni!

33

"Impossibile stancarsi di questa grande serenità…" pensava Enoch mentre attraversavano i boschi. Avrebbe voluto poter vivere sempre così, e non avrebbe scordato mai quegli attimi di estasi…

Era una sensazione indescrivibile, che riuniva in sé l’amore materno, la fierezza paterna, l’adorazione di un innamorato, l’intimità di un amico, e molte altre cose… ancora. Annullava le distanze, e semplificava le questioni complesse; cancellava il dolore e la paura, pur lasciando un profondo rimpianto, l’impressione che mai più, nella vita, si sarebbe ripetuto un istante simile. Ma non doveva essere così, perché l’ebbrezza di quell’istante continuava, facendosi sempre più intensa… Lucy camminava in mezzo ai due amici, reggendo fra le braccia la valigetta che conteneva il Talismano; ed Enoch, guardandola al debole splendore di quelle luci, la paragonò a una bambina che stringeva al cuore il gattino prediletto.